Riflessioni sul credo (1/16)

Publish date 05-04-2013

by Giuseppe Pollano

Mosaico del Credo, Cattedrale ortodossa della Santissima Trinità (New York)

di Giuseppe Pollano - Poiché ogni professione di fede inizia sempre con “Credo”, è utile mettere a fuoco la nozione del credere. Credere può essere inteso come un sentimento interiore di fede, come una convinzione che Dio c’è, ma occorre essere più precisi. Infatti il “Credo” della Chiesa cattolica non è soltanto un sentimento o una convinzione che Dio c’è o altri aspetti della nostra esperienza.


PREMESSA: IL CREDO DEGLI APOSTOLI

Io credo in Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra; e in Gesù Cristo, suo unico Figlio, nostro Signore, il quale fu concepito di Spirito Santo, nacque da Maria Vergine, patì sotto Ponzio Pilato, fu crocifisso, morì e fu sepolto; discese agli inferi; il terzo giorno risuscitò da morte; salì al cielo, siede alla destra di Dio Padre onnipotente; di là verrà a giudicare i vivi e i morti. Credo nello Spirito Santo, la santa Chiesa cattolica, la comunione dei santi, la remissione dei peccati, la risurrezione della carne, la vita eterna. Amen.


CHE COSA È LA FEDE?

La forma di conoscenza personale mediante la quale, sotto l’impulso della grazia, si accoglie la rivelazione di Dio in Gesù Cristo

La fede, essendo una forma di conoscenza, tocca la sfera dell’intelligenza e, in quanto personale, quella di uno non vale per l’altro, sono io che intelligentemente devo credere.
Questa forma di conoscenza non è di carattere naturale, ma proviene da un dono che Dio offre a tutti, da una luce interiore che potenzia la mia conoscenza e, grazie all’impulso della grazia, io posso scegliere di accogliere la rivelazione di Dio come me la dà Gesù perché è lui che mi dice le cose di Dio che non sapevo. La fede è un’adesione a Gesù, a tutto ciò che lui mi dice. Ecco perché è una conoscenza diversa da quella che ci è già possibile con l’intelligenza, che fornisce le ragioni della fede e la riconosce come proprio approfondimento e maturazione riguardo alle domande che l’uomo porta in sé: “Che cosa posso conoscere? Che cosa ho diritto di sperare? Che cosa devo fare? Chi sono io?” (E. Kant).
Con l’intelligenza umana infatti siamo già capaci di ragionare su Dio e di riconoscere che Dio c’è. Ma questo non è ancora la fede.

In Rm 1,18-20 viene dichiarato che l’ira di Dio è su coloro che soffocano la verità nell’ingiustizia, perché, pur essendo Dio conoscibile con l’intelligenza dalle cose che si vedono, essi non lo conoscono. È quindi chiara l’affermazione che l’intelligenza umana da sé è già capace di arrivare a riconosce l’esistenza di Dio. Sap 13,1-9 ripete lo stesso concetto e pone la grande domanda: se gli uomini si entusiasmano del cosmo e della bellezza dell’universo anche attraverso le scienze, come mai non sono arrivati all’autore? È dunque responsabilità dell’intelligenza umana rendersi conto di Dio.
Il cosmo è un complesso sconfinato che si regge su un linguaggio matematico. C’è da notare che una forza o un’energia impersonale non è capace di linguaggio matematico, quindi dietro il cosmo c’è un soggetto che lo sta pensando in modo matematico, tanto che, se ne sono capace, la mia intelligenza coglie quel linguaggio e lo tramuta in formule. A questo soggetto matematico si può dare il nome di Dio. È questo un modo elementare, ma non superficiale, di accorgersi che Dio c’è. Ma questo non ha nulla a che vedere con la fede: ci possono arrivare tutti, ma continuare a rimanere atei rispetto a quello che di può sapere di più di Dio e che soltanto Dio può dirmi di se stesso.

Ci deve essere qualcuno che conosce Dio dal di dentro a dirmi le cose che io dal di fuori non vedo. Non è un concetto strano. Se io voglio conoscere una persona posso sottoporla ad un insieme di analisi, ma se quella persona non mi dice nulla di se stessa, rimane qualcosa che continua ad essere impenetrabile e sconosciuta. Quando viene Gesù, che sa di Dio perché è Dio e mi dice di Dio, a questo punto il mio problema è: gli credo o no?

Credere è un atto di fiducia che io faccio rispetto una persona che sa più di me e che io suppongo non si sbagli e non abbia intenzione di ingannarmi. Torniamo alle formule matematiche. Se non le capisco o ritengo un pazzo chi le propone oppure ci credo, perché lo ritengo cosciente di quello che dice, non intenzionato a prendermi in giro. In questo caso faccio un atto di fede naturale, ci credo. D’altronde noi continuamente viviamo di atti di fede naturali: da quando si comincia a credere al papà e alla mamma, a quando si va dal medico o dal meccanico per far riparare l’auto: ci credo perché non so e ho fiducia. Sono molte di più le cose che conosciamo per atti di fede che quelle per constatazione diretta!

G. B. Conti, Miracolo dei pani e dei pesciDi fronte a Gesù mi pongo nello stesso atteggiamento: tu mi dici cose che per me sono inaccessibili, mi dici che Dio è Padre, mi rispieghi tutto il mondo, sei credibile? È la mia intelligenza che ora mi fa ragionare e mi fa dire: sì, sei credibile, non sei un esaltato. La mia intelligenza scruta Gesù Cristo, lo analizza dal punto di vista storico e tutta la sua storia mi persuade che Gesù non si sbaglia, non si inganna e non mi inganna. A questo punto, se sono coerente e non ho ragioni nascoste per oppormi alla fede mi apro al Signore con la certezza che mi rivela quello che io non vedo. È la verità. Guardavi in alto e non scorgevi Dio, Gesù ti toglie il velo e tu vedi.

Tra noi e Gesù c’è un continuo rapporto illuminativo attraverso l’ascolto della sua Parola, che ci dice cose a cui non arriveremmo da soli. Chi arriverebbe da sé, attraverso il suo vissuto, ad ammettere che è meglio perdonare che fare giustizia? Alla giustizia ci arriviamo perché è razionale, ma, andare oltre, a livello umano è molto difficile. Tutto il vangelo è “oltre” e se affermo che è meglio perdonare che fare giustizia, devo però aggiungere: “Perché lo hai detto tu, Gesù, credo”. Il giusto vive di fede, afferma ripetutamente la Scrittura. La fede è grande soprattutto quando vivo della Parola di Gesù non perché è evidente, ma quando non è evidente. Ad esempio, la legge del Sinai mi dice di non uccidere, confermando una cosa che già sapevo attraverso la mia coscienza; ma quando mi dice di amare il nemico, ebbene qui si supera il ragionamento. Nella vita ci sono sempre momenti in cui camminiamo solo sulla Parola di Gesù, come Pietro che getta le reti dopo la notte di pesca infruttuosa: io farei diverso, sentirei diverso, ma sulla tua Parola ci credo.


 
 
Giuseppe Pollano
tratto da un incontro all’Arsenale della Pace
testo non rivisto dall'autore

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