ABRUZZO: vita da sfollati

Publish date 31-08-2009

by Redazione Sermig


I ritmi in albergo sono quelli di una vacanza. Ma qui la gente non è in vacanza. Non si sta divertendo. Qui le persone sono ancore scosse, confuse...

di Claudia Calisti


In occasione del ponte del 2 giugno, io e mio marito ci siamo recati a Montesilvano (Pescara) per trascorrere un paio di giorni con dei miei parenti sfollati per via del terremoto del 6 aprile. Per sfruttare appieno il tempo a disposizione, abbiamo alloggiato nello stesso loro albergo. È stata una esperienza forte. Insieme a loro, a centinaia le famiglie che hanno fatto di quelle stanze d’albergo la loro casa, della hall con la TV il loro salotto dove fare due chiacchiere prima di andare a dormire.
terremoto
foto: Rosario Incarbone

I bambini corrono e giocano con le porte a sensori che restano sempre aperte per il loro va e vieni. Le cameriere nella sala pranzo conoscono tutti per nome, e se qualcuno manca all’appello se ne accorgono immediatamente e chiedono notizie: più di qualcuno, infatti, preferisce consumare il pasto nell’intimità dello spazio più ristretto della sua stanza.

Il tempo non è dei migliori. “Terribilmente variabile - ci dicono - fino a qualche giorno fa c’era un caldo estivo, ‘mo vento e pioggia!”. E piomba su tutti un senso di noia. Al mare se piove, che fai? E loro al mare ci stanno da quasi due mesi. Allora si passeggia, magari a braccetto con una vicina di stanza o di tavolo. E nascono amicizie. Tra loro l’intimità si fa subito profonda: il terremoto, a loro, non l’hanno raccontato, non l’hanno visto alla tivù, ma lo hanno vissuto di persona; e con esso tutte le conseguenze, tutte le emozioni, tutte le paure. Da un momento all’altro, tutto è distrutto. I sacrifici, il lavoro, le fatiche quotidiane azzerate, schiacciate senza pietà.

Gli alberghi della costa accolgono bambini, uomini, donne e anziani che su quella terra che ancora trema non ci possono stare. Chi potrà rientrare dovrà immancabilmente fare i conti con la paura che tutto possa ripetersi con quell’impietosa violenza. I più fortunati hanno perso la casa, o il lavoro, o tutt’e due. Ai più sfortunati, quella notte ha strappato parenti ed amici.

I ritmi in albergo sono quelli di una vacanza. Ma qui la gente non è in vacanza. Non si sta divertendo. Qui le persone sono ancore scosse, confuse. A volte si distraggono parlando del più e del meno ma poi il pensiero torna alla loro situazione e i loro occhi si rifanno tristi. Le madri guardano i loro piccoli, felici di poterli ancora stringere tra le braccia, ma impaurite di fronte ad un futuro in cui toccherà ripartire da zero.

Instauriamo conversazioni con persone che non conosciamo. Il protocollo è sempre uguale: ci chiedono perché mai siamo lì e poi iniziano a parlare. Noi ascoltiamo. Partono sempre da molto lontano ma alla fine tornano puntualmente a quella notte, indelebile e nitida nelle loro memorie. Qualcuno ci racconta dei brevi rientri in casa. Magari dell’emozione nel risentire il miagolio dei gatti di strada a cui davano da mangiare prima del terremoto. Come se quel fatto regolare e metodico potesse regalare loro dei flash di vita quotidiana ora tanto rimpianta.

Altri raccontano le fughe e la corsa a casa dei parenti più stretti, per assicurarsi che nessuno fosse rimasto sotto le macerie. Non sono i dettagli che colpiscono – nemmeno loro li ricordano in quel trambusto – ma è quel coinvolgimento forte, come se ogni volta rivivessero quelle sensazioni con la medesima intensità. Nel ritmo incessante della pioggia, mia zia guarda il vuoto e dice fra sé e sé: “Tutta questa pioggia … chissà dentro quelle chiese distrutte che potrà ancora fare questo tempo!”. Mio zio, invece, prima affacciato al balcone, poi facendo avanti e indietro per la stanza, pensa alle tendopoli e poi a quella tenda che senz’altro monterà lui quando sarà ora di rientrare per coloro la cui casa è dichiarata agibile. “Io in casa non ci dormo”.

Una donna, seduta nella hall in mezzo ad altre due signore, confessa che i volti e le vite delle persone che ha conosciuto dopo il sisma in albergo sono diventati parte della sua stessa vita. Dice: “Come posso dimenticarmi di nonna Tina? E del piccolo Giovanni che si è preso tutte ‘ste influenze a stare tra i bambini?”.

Io mi sento stringere il cuore. Il destino di queste persone è stato minacciato, gravemente compromesso, ma l’amore ha iniziato subito a lavorare. Senza lasciare spazio a titubanze né tentennamenti il male di quella notte è stato immediatamente rimpiazzato da tanti gesti altruisti, molte volte eroici di persone comuni che hanno salvato, aiutato, spesso mettendo a repentaglio la loro stessa vita.

Nelle tendopoli, così come negli alberghi, il dolore della perdita si lascia curare dal fiore di una nuova amicizia, la paura schiude la porta ad una conversazione che rischiara e riscalda, regalando un sorriso. Denudate dall’avere, molte persone hanno saputo coraggiosamente mettere in gioco il loro essere vive, rendendolo di volta in volta, in semplicità, ascolto, supporto, amicizia, disponibilità, umanità, perché mai come in una situazione di questo tipo gli altri siamo noi.

Un bambino, nella hall, corre verso la sua nuova maestra e le mostra un disegno: dei lunghi rettangoli affiancati l’uno all’altro. E lei, sorridente, gli fa una carezza ed esclama: “Bravissimo Luca! Hai disegnato gli alberghi. Bravo!”.
Brevissime scene, forse scontate in un altro contesto. Ma non certo in quella situazione.

Prima della nostra partenza, una signora, tra gli ospiti dell’albergo che hanno perso la casa, ci viene incontro per dirci: “Oggi sono stata a Castel di Sangro, dove sono nata e vi ho preso dei dolcetti locali. Così ve li portate su a Torino!”. Quale dono poteva essere più vero e sentito? Mi mancano le parole. Mi scuote dentro pensare che con tutti i pensieri quella signora si sia ricordata di noi e dei dolcetti locali. Continuare a pensare agli altri, nonostante le difficoltà… che grande esempio mi ha regalato!

Grazie di cuore a queste persone che con tanta dignità stanno affrontando una prova davvero dura. Non dimentichiamoci di pregare per loro perché la terra continua a tremare. Perché la ricostruzione è appena agli inizi e l’inverno non è poi così lontano.

Claudia Calisti

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