Il pendolo della vita: avere - donare

Publish date 08-03-2009

by Giuseppe Pollano

Concludiamo il nostro cammino quaresimale con un confronto diretto: la figura di Giuda e la figura di Gesù. Un parallelo per cogliere in queste due figure gli estremi di come in negativo o in positivo l’uomo, dunque ciascuno di noi, può essere.

di Giuseppe Pollano

L’estremo negativo incarnato da Giuda, ma che tutti portiamo in noi, consiste nel fatto che l’uomo interpreta e costruisce se stesso unicamente sulla categoria dell’avere; l’estremo positivo incarnato da Gesù è invece il modo in cui l’uomo si realizza portando a pienezza la categoria del donare.

avere
Non c’è nulla di demoniaco nell’avere, è semplicemente una elementare necessità della vita: per continuare ad esistere e continuare ad essere me stesso ho bisogno di moltissime cose del mondo che non fanno parte della mia persona. Questo continuo passaggio da ciò che è fuori di me, a me, è avere, un istinto sano e naturale, un bisogno profondo, un desiderio, un diritto. Ma noi non siamo come gli animali che hanno un quadro ben chiaro dei loro bisogni, il nostro spirito conosce l’illimitato, non conosce misura, e quando l’avere prende questa strada si incomincia ad entrare nel disordine. La nostra cultura del consumismo è impostata sul “sempre di più”, stimola tutti i giorni a desiderare cose più belle, più nuove, più efficienti. L’avere allora comincia a diventare pericoloso e può inebriare se non si è padroni di se stessi. Se non si decide di voler essere, a poco a poco l’avere affascina.
Se voglio tanto, di più, tutto, come faccio a procurarmelo? È molto semplice: pagando. Il denaro si trasforma in tutto ciò che io voglio, posso comprarmi tutto ciò che è necessario e anche le cose inutili. Un sottile innamoramento inconscio del denaro domina l’uomo, ed è il peccato, nessuno è escluso da questo segreto e fortissimo fascino. Nella pagina dell’Apocalisse che descrive il crollo di Babilonia, chi piange sono i suoi mercanti (Ap 18, 11-13).

Il nostro cuore è fatto per amare tutte le cose più belle del mondo, i valori grandi, ma quando l’amore così freddo per il denaro conquista il cuore, è come se il cuore lentamente rimpicciolisse, diventasse davvero un cuore di pietra, una pietra che ha perso tutti gli orizzonti più belli. Lo dimostra Giuda: non è stato lui a mettersi dietro al Signore, è stato scelto da Gesù e quando Gesù chiama è perché ama molto, quindi è stato molto amato, riempito di fiducia e di amicizia per diventare un futuro apostolo, ma tutte queste magnifiche cose di cui si vive, a poco a poco scompaiono tutte. Gesù diventa più niente e se è più niente si può farlo diventare anche lui una cosa che si vende.
Anonimo, Il bacio di Giuda, Firenze, Uffizi La domanda di Giuda è di una crudezza inesprimibile: “Quanto siete disposti a darmi se ve lo consegno?”. Questo è un puro e semplice contratto. L’unica mentalità valida per chi vive solo più di avere è il contratto vantaggioso. Tutto il resto, le cose belle, le cose nobili, diventano sciocchezze: dove non c’è contratto comincia il mondo dell’inutile, del completamente superfluo; non è un caso che Iddio sia stato definito l’essere più inutile di tutti, perché non lo posso né vendere né comprare. Questa mentalità scende anche sulle persone: se un uomo e una donna non possono essere comprati e venduti o non possono comprare e vendere, fare girare insomma del denaro, sono perfettamente inutili; anzi, questa mentalità non si ferma qui: se i poveri si devono sfamare, allora sono dannosi e si schiacciano. Questa è la logica sottesa alla grande tragedia economica del mondo. Tutto dipende dal fatto che l’uomo si è costruito soltanto più sull’avere.
Poiché tutti siamo almeno un po’ malati di questa malattia, dobbiamo allora specchiarci in questo povero uomo che è arrivato al punto di poter dire di Gesù, conosciuto come lui lo ha conosciuto, sentito come lui lo ha sentito, allora quanto mi date? Paralizza questa domanda. Non è poi così difficile dare Gesù per qualcos’altro: se io prete lascio la mia preghiera perché mi interessa di più una trasmissione televisiva, non ho fatto un contratto con nessuno, l’ho fatto con me stesso: do Gesù per un telefilm.

Se qualcuno mi guarda come una merce, se mi ha già calcolato, la vita diventa terribile, diventa un incubo umano: allora per toglierci da questo scenario disumano abbiamo davvero bisogno di sprofondare gli occhi in Gesù, che realizza invece l’estremo positivo che è quello del donare.


donare

Come l’avere dipende dal fatto che io devo esistere, il donare parte dall’idea complementare che anche tu devi esistere, non solo io. Se accetto questa semplicissima constatazione e la faccio a poco a poco entrare nel mio cuore, ecco che ho la medicina per far fronte al rischio dell’egoismo che uccide: se anche voi dovete vivere, allora io incomincio a pensare che ciò che è necessario per me evidentemente è necessario per voi, mi metto su un’altra logica, a poco a poco rovescio le posizioni. Non mi guardo più dicendo: “chissà questa gente quanto può servirmi”, ma diventando elargitore di dono dico: “chissà cosa serve a questa gente”.
Di quanto, in che misura, di che cosa sono elargitore? Gesù qui è meraviglioso. Le frasi di Pietro (1Pt 1,18-19) e della lettera agli Ebrei (Eb 9,11-14) ricordano che se Giuda ha messo in tasca trenta monete, Gesù ha tirato fuori dalle sue vene e arterie il sangue vivo, è morto. Gesù dona la vita, non si è fermato prima, e perché fosse chiaro che donava la vita l’ha fatta sanguinare. Per gli ebrei il sangue era la vita, han quindi visto che la vita usciva, se ne andava via da Gesù. Questo è l’estremo della elargizione, Gesù aveva detto che non c’è amore più grande di dare la vita, ma quando lo disse nessuno poteva immaginare questo svuotamento di sangue che hanno poi visto realizzare.

Il dono dipende dalla quantità di bene che si desidera per l’altro. Accorgersi che gli altri in fondo sono tutti poveri è una scoperta meravigliosa, nel senso che per tanto che abbiano c’è ancor qualcosa, e spesso molto, che non hanno. Diventa una attenzione agli altri, finalmente non è più una attenzione spasmodica di guardare sempre se stessi, di pensare a ciò che non si ha ancora, a ciò che gli altri hanno. Mi spoglio allora da tutto questo e incomincio a guardare te e vedo che hai bisogno di tante cose: manchi di pace, di serenità, etc. e io mi ingegno a venirti incontro, comincio a desiderare per te ciò di cui tu hai bisogno, tocco la gratuità, scopro cosa è donare.

Donare è una vocazione che ci mette in questione. Gesù non è venuto in terra per sé, ma per noi, quindi anche noi, nel nostro piccolo, con i nostri limiti, desideriamo poter dire che la nostra vita è per gli altri. Poi disporrà Dio nel concreto a dare un senso a questa intenzione.
Bisogna credere che il donare non è una eccezione magnifica, è la regola della vita, è la normalità, perché altrimenti Gesù Cristo non la avrebbe inaugurata. Donare è la giustizia pura e semplice della vita. Tornano in mente le parole che tutti i giorni ripetiamo: “prese il pane e disse: questo è il mio corpo dato per voi, questo è il calice del mio sangue versato per voi”. Il “per” è l’ossessione degli egoisti, trovano tutte le maniere per rimuoverlo, per trovare pretesti. L’egoista è paurosissimo del “per te”: interrogato a fondo su per chi vive, anche se non osa dirlo, deve rispondere: per me. Quando si dice che Dio geme e piange nei poveri non si fa una bella metafora poetica: è un Dio che è Dio, non è un Dio che piange e poi è finita, è un Dio che è giusto, è un Dio che ha dato tutto, goccia per goccia, e chiederà tutto.

È pertanto importante soffermarsi su queste due figure che incarnano proprio due maniere di essere uomini, due estremi. Se interpelliamo Giuda e gli domandiamo quand’è che tu sei proprio chi sei, risponde: quando ho; se interroghiamo Gesù, sappiamo tutti la risposta: quando do. Ecco il pendolo della vita: avere-donare. Sappiamo dal vangelo che il dono diventa tesoro per la vita eterna.
Giuseppe Pollano
tratto da un incontro all’Arsenale della Pace
deregistrazione non rivista dall'autore


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