Un mestiere da maratoneta

Publish date 31-08-2009

by Simona Carrera


Cosa “passa” tra un regista e gli attori?
Intervista a Mauro Avogadro

di Simona Carrera

Mauro Avogadro è uno dei più importanti registi del teatro italiano, ha lavorato con Luca Ronconi e ha diretto attori come Umberto Orsini, Giulia Lazzaroni, Massimo Popolizio, Elisabetta Pozzi e molti altri. In questo momento sta portando in tournée in Italia la sua “Donna del mare”, che sta riscuotendo successo sia di critica sia di pubblico.

Come avviene la scelta del testo da portare sulla scena?
La scelta di un testo può avere diverse motivazioni: ci sono testi che fanno parte di un tuo personale percorso, che hai coccolato per anni e che diventano uno spettacolo perché trovi le condizioni giuste; altri hanno bisogno di un cast di un certo livello e allora devi aspettare di avere gli attori giusti. Ci sono poi i testi che ti vengono commissionati, e nulla vieta che anche questi siano stimolanti perché diventano un viaggio di conoscenza, ti obbligano a metterti alla prova su un terreno che non conosci, che è nuovo. Un esempio per tutti: Rossella Falk mi chiese di dirigerla ne Il leone d’inverno di J. Goldman, una piacevole commedia d’intrattenimento famosa per la versione cinematografica con Peter O’Toole e Katharine Hepburne. La sfida era mettere in scena una commedia incentrata sul divertimento, mantenere alto il livello artistico e avere successo al botteghino perché si trattava di una produzione privata. Ci sono riuscito e questo è stato gratificante.

Come lavori con gli attori per riuscire a far arrivare il tuo messaggio allo spettatore?
Fondamentalmente io mi definisco un regista di attori: credo che ciò che è alla base dell’esito di uno spettacolo, oltre alla costruzione dello stesso, è il lavoro forte e duro sulla recitazione che faccio con gli attori. Difficilmente gli attori possono cambiare la recitazione, perché cambiarla significherebbe uscire da una griglia che ho costruito e che farebbe apparire l’attore stesso scollato dallo spettacolo.
Nel mondo teatrale italiano si fa poco lavoro sulla recitazione per cui, molto spesso, sono proprio gli attori i miei fans più calorosi.

Tu sei anche Direttore della Scuola di Teatro del Teatro Stabile di Torino. Come scegli e come lavori con gli aspiranti attori?
Il tentativo, mio e degli altri docenti, è spesso quello di capire quali sono le caratteristiche dei ragazzi, ma soprattutto cerchiamo di comprendere quanto questi giovani si aspettano dalla Scuola. Poiché la preparazione per la grande drammaturgia è lunga e dura, non si deve essere contaminati dall’idea di una Scuola alla Amici di Maria De Filippi; devo stare attento perché devo capire chi vuole veramente fare l’attore, chi desidera imparare quali sono gli strumenti appropriati. In tre anni di corso quello che si cerca di fare è di sviluppare il potenziale tecnico ed espressivo dei ragazzi, di far intraprendere un percorso di conoscenza che parta dal presupposto che essere altro da sé nell’interpretazione di un personaggio richiede una grande maturazione personale. Cerchiamo di far capire bene ai giovani quante e quali sono le difficoltà a essere interpreti, e che non ci sono scorciatoie: il mestiere dell’attore è un mestiere da maratoneta e non da centometrista!

 

 

 

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