Quale avvento vivremo? (1/2)

Publish date 30-11-2008

by Giuseppe Pollano


Vogliamo incarnare l’avvento come Dio e la Chiesa si aspettano, con il grande realismo della “preparazione” e lasciandoci coinvolgere dall’amore.

di Giuseppe Pollano

TRE TIPI DI AVVENTO

Il termine avvento può essere interpretato in almeno tre modi.
Il primo in un senso del tutto insignificante, il fantasma dell’avvento stesso. Purtroppo questo, per come siamo fatti, può accadere e allora la preparazione è irreale.
Ammesso che questo significato dell’avvento non tocchi i cristiani, può però accadere di fare un avvento molto leggero. Il gioco dell’avvento: un presepio, un cambio di alcuni momenti, gesti, canti, colore dei paramenti. Tutto questo è un segnale che ci vuole perché l’uomo vive di segni, ma ovviamente se ci limitassimo a questi segnali, senza che l’avvento giungesse a toccarci il cuore e la libertà, noi giocheremmo all’avvento e sarebbe increscioso vivere la preparazione in questo modo così puerile.
Escludiamo anche questa ipotesi.
Noi vogliamo interpretare l’avvento come incarnazione dell’avvento stesso, vivere questo evento come Dio e la Chiesa si aspettano, con il grande realismo della “preparazione”

COME REALIZZARE L’IDEA DELLA CHIESA SULL’AVVENTO?

La Chiesa, quando parla di avvento nei suoi testi liturgici, dà una definizione molto semplice e profonda: “Il tempo di avvento è tempo di preparazione alla solennità del Natale, prima venuta del figlio di Dio tra gli uomini … e di attesa della seconda e ultima venuta del Cristo alla fina dei tempi” (Calendario Romano, 39).

Preparazione e attesa: due termini interessanti. Evidentemente proiettano verso un futuro, termini dinamici, non religiosi, ma dell’esistenza. Nella vita dalle più piccole alle più grandi occasioni sperimentiamo che attendere significa che qualche cosa che non c’è ancora riesce però a influire molto sul mio presente: non mi lascia tranquillo, mi mobilita in senso o negativo se io temo ciò che aspetto, e allora inquietudini, ansie, paure, insonnie, o in senso positivo se invece ciò che il futuro mi sta avvicinando è bello e buono. In ogni caso il mio modo di essere adesso è svegliato, è smosso, è disturbato se è paura o entusiasmato se è una cosa bella. Questo influsso modificante è ovviamente proporzionato all’importanza dell’evento.

L’avvento è per la coscienza cristiana questa specie di mobilitazione: sta per accadere qualcosa che ti viene incontro e che vuole scuotere il tuo cuore, chiamare la tua coscienza, rallegrarti. Stiamo aspettando Dio e perciò ci prepariamo, con il massimo realismo possibile. Realismo non è solo avere dei bei pensieri o dei bei sentimenti, si tratta di fare qualche cosa che entri nei nostri comportamenti.

Ci sono tante maniere di aspettare e prepararsi. Cioè possiamo avere sentimenti diversi, obiettivi diversi, e allora anche degli atteggiamenti diversi. La vita ci insegna che nessuna preparazione e attesa ci prende tanto dentro come quando è in gioco l’amore. Questo è il tipo di attesa che noi viviamo nei riguardi di Dio, perché egli viene come uno che ci ama. E quando un amante ti viene incontro e tu sai che ti guarda con amore, tutto questo ti scuote. L’amore con cui Dio ci ha amati, dice Paolo, ci domina, ci prende, ci spinge (cfr 2 Cor 5,14).

Da parte sua è così. L’incognita è: da parte nostra che cosa sarà? Se l’attesa dell’avvento diventa un incontro di amore, allora possono cambiare molte cose.
Vogliamo vivere un avvento serio, motivato dall’amore che sa sempre inventare cose nuove e migliori e non da un amore che nasce dal fatto che ci siamo innamorati di qualcuno, che sarebbe già importante, ma è Dio che si è innamorato di noi. Questa è la grande verità. Se tu credi che Dio non solo è amore ma è un innamorato di te, allora non puoi più restartene in pace, ti lasci smuovere. L’amore di cui siamo amati ci domina, ci commuove, ci convince e ci rende anche capaci di grandi cose. Tolto l’amore cadiamo nel duro giudizio che Paolo (1Cor 13,2-3) dà su tutto quello che potremmo fare di bello e di buono con la carità. In concreto: se uno ti ama e ti viene incontro, l’unica cosa che conta è come tu rispondi.

Unendo tali verità concludiamo che l’avvento deve essere il tempo forte in cui l’amore fra Dio e noi, noi e Dio, si ravviva e ci domina. Senza tale accentuazione l’avvento non avrebbe significato.

CRESCERE NEL COMPORTARSI IN MODO DA PIACERE A DIO (1 Ts 3,12.4,1)

Nel bene bisogna crescere, non basta conservarlo. Il vangelo ci dice che non ci sono mete raggiunte le quali puoi riposarti, che ti devi santificare, che non puoi accontentarti di come sei già santo. Allora accetto che il mio avvento sia molto serio, il più serio impegno che io vivrò.
“Il Signore vi faccia crescere e abbondare nell’amore vicendevole e verso tutti”, scrive Paolo ai Tessalonicesi. Paolo è molto concreto: si deve crescere nell’amore! E poi li invita a comportarsi in modo da piacere a Dio: è stata la caratteristica di Gesù: io ho un pane da mangiare, il mio pane è far piacere al Padre. È una grande e bellissima regola dell’amore alimentarsi della gioia dell’altro.

Il cristiano interrogato sul come vive potrebbe davvero rispondere: vivo in modo da piacere a Dio. Gli diciamo Padre, preghiamo, andiamo all’eucaristia, accettiamo la fatica di essere testimoni, amiamo, perdoniamo. Allora in questo tempo di avvento specchiati in Cristo (cfr 2 Cor 3,18) e nella sua Parola, lascia che la Parola venga, che sia lei a piacerti e anche a turbarti. Apro il vangelo, leggo che se tuo fratello ha qualche cosa contro di te vai a riconciliarti, e questa parola mi ferisce e mi disturba, capisco però che Dio non vuol farmi male ma bene e allora, passato il primo momento, gli chiedo aiuto e mi lascio convertire dalla Parola. Ecco allora che il comportamento A (vado all’altare tranquillo) diventa il comportamento B (vado a cercare il mio fratello). Il Signore fascia la ferita, dice la scrittura.

Signore, ti piaccio di più? Porsi questa domanda e trovare risposte anche piccole, ma possibili e realistiche è il modo molto serio di incarnare una preparazione per andare incontro al Signore e cercare di piacergli di più. Non trascurare poi quelle piccole cose che sono anche sacrifici. Un piccolo sacrificio è intaccare un piccolo difetto. Il difetto ha la caratteristica di essere una cosa che continua, è un’abitudine. In questo senso muoio a me stesso, faccio morire un disordine, una cosa spiacevole a Dio. E mi elevo. I piccoli sacrifici contrastano l’abitudine che abbiamo tutti dentro di egoismo e amor proprio che invece ci coltiva un po’ troppo.
Ci sono innumerevoli tipi di sacrifici, da quelli più fisici a quelli più psichici, spirituali. Abbellite la vostra vita cristiana di queste piccole finezze che spesso vede solo Dio. D’altronde lo facciamo per lui.

 
a cura della redazione
fonte: incontro all’Arsenale della Pace
di Giuseppe Pollano


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