Per una politica SCALZA

Publish date 10-08-2012

by Matteo Spicuglia

di Matteo Spicuglia - Il servizio, la coerenza e le idee non invecchiano. Negli scritti di 35 anni fa di Benigno Zaccagnini, un metodo valido ancora oggi… Roma, maggio 1978. Ultimi giorni del sequestro Moro. Benigno Zaccagnini è il segretario dell’epoca della Democrazia Cristiana. Sguardo cupo, spalle curve, accovacciato sul divano del suo ufficio. Ernesto Olivero arriva a Roma per incontrare quell’amico. Sono ore drammatiche. “Cos’è la felicità?”, chiede Ernesto. “È un attimo. Un attimo, di tanto in tanto”. È anche grazie a quelle parole di Zaccagnini che Ernesto e il Sermig hanno capito il valore di un minuto. Benigno Zaccagnini (foto) era così: uno degli uomini più potenti d’Italia, ma di una semplicità assoluta. La morte di Moro lo lacerò: lui, sostenitore della linea della fermezza, diviso tra il legame per il maestro e amico di una vita e una concezione altissima della politica, lontana dal compromesso. A distanza di 35 anni, i suoi discorsi colpiscono ancora per la loro attualità. L’esempio di un politico scalzo…

POLITICA PER SERVIRE
“Vengo dalla Resistenza, sento ancora oggi l’orgoglio di aver partecipato attivamente a quella straordinaria ed esaltante stagione della nostra storia, e mi onoro di aver combattuto il fascismo. Vengo dalla Costituente e ancora ripenso con nostalgia e commozione al clima politico e umano di quei tempi, quando su tutto prevalse un grande, libero confronto di opinioni, e le idealità della Democrazia Cristiana riuscirono a compenetrare così profondamente la nostra carta costituzionale. Mi sento e mi sforzo di essere cattolico, anche se mi accorgo che è molto difficile esserlo davvero. Sono arrivato alla politica da una milizia di carattere religioso, ed ho cercato di essere fermo e coerente, di non muovermi, di non spostarmi da queste mie premesse. Ho dovuto talvolta constatare, tuttavia, che — forse a causa di un troppo lungo esercizio del potere — il partito, la realtà concreta del partito si stava gradualmente attestando in posizioni tali, assumendo compiti di conservazione o trascurando di interpretare le novità della società italiana, da correre io il pericolo di trovarmi, a un certo momento, a sinistra, o addirittura all’estrema sinistra. Il guaio è che quando si rimane coerentemente ancorati a certe posizioni personali, quando si resta fedeli alla propria coscienza, questi rischi, questi pericoli si corrono”. “La logica propria delle istituzioni non può mai essere agganciata alla logica del potere dei partiti senza, con questo, far venir meno le garanzie di imparzialità e di obiettività delle istituzioni stesse, che non possono mettersi a servizio dei partiti, dovendo essere unicamente al servizio dei cittadini. Io sono sicuro che i cittadini si attendono dai partiti soprattutto questo: che essi usino il potere come un servizio da rendere alla collettività”.

LA FORZA DELLE IDEE
“Sono sempre stato accusato di essere un ottimista: ma io penso, l’ho sempre detto, che senza ottimismo non si possa far politica. Un ottimismo che significhi speranza, fiducia nelle proprie idee, coerenza e coraggio: il contrario, cioè, non tanto di quella meditata consapevolezza che a volte può condurre allo sconforto, quanto del cinismo, dell’arido professionismo politico. Ho sempre pensato anche che il fascino della politica stia nell’essere costantemente tesi ed ancorati ad un patrimonio ideale. (…) Più che nella validità di strumenti, che pur sono importanti, ho sempre creduto fermamente nella capacità di comprensione e nella straordinaria possibilità di mutamento che nasce dalle idee, dalla forza delle idee. Mi pare che mai come in questo momento abbiamo avuto bisogno di ricorrere all’ottimismo della fiducia e della speranza, alla coerenza ideale ed al senso della realtà, alla forza liberante e innovatrice delle idee”.

LE RISPOSTE ALLA CRISI
“Il travaglio politico di tutte le forze politiche italiane, si sta svolgendo contemporaneamente alla più grave crisi economica del mondo occidentale dopo il 1929, alla più allarmante crisi del nostro Paese negli ultimi trenta anni. Anche se non è esclusiva dell’Italia – dal momento che investe largamente tutti i Paesi più industrializzati del mondo – tale situazione è per noi grave e preoccupante più che per altri. (…) Quando leggiamo le cifre che i tecnici ci forniscono del numero dei lavoratori in cassa integrazione, del numero dei lavoratori disoccupati, dei giovani in cerca di lavoro che non trovano sbocchi né in attività manuali né in impieghi professionali, quando soprattutto sentiamo e leggiamo di operai che vengono licenziati, non possiamo non sentire in noi stessi, prima di tutto come cristiani, la sofferenza e il dramma umano che ciascuna di queste situazioni provoca o nasconde. Io, il dramma di queste famiglie lo sento con profonda passione, con angoscia, forse perché l’ho vissuto sulla mia pelle. (…) Non abbiamo molto tempo dinanzi a noi. Questa crisi, infatti, ha messo in dubbio, presso larghi strati di popolazione, la possibilità stessa di ripresa del nostro sistema; e l’ancor fragile società italiana rischia, perciò, di ripiegarsi nello scetticismo e nella disperazione che caratterizzarono altri gravi momenti della sua storia. La fiducia che si possa preparare un avvenire migliore potrebbe lasciare il posto alla sensazione di ridursi a una società bloccata, in cui le risorse ridiventano improvvisamente scarse provocando una dura lotta per la loro spartizione. Una crisi, insomma, di energie e di valori che potrebbe colpire il Paese in misura ben più forte di quella indicata dagli stessi dati sulla caduta del reddito e della occupazione. Una crisi che dà soprattutto ai giovani l’immagine di una società che non ha spazio per ricevere il loro contributo di lavoro e di iniziativa”.

L’ETICA IN ECONOMIA
“Le lacerazioni profonde del tessuto sociale, l’imporsi di sistemi economici e burocratici non dominabili dalla comune conoscenza, l’irrompere di un materialismo volgare, la tendenza alla mercificazione della vita quotidiana, e i numerosi fenomeni che costituiscono i frutti amari di un progresso per altri versi esaltante, hanno spesso condotto l’uomo ad essere servo e funzionario della sua stessa oppressione e quasi sempre prigioniero di una nuova, angosciosa solitudine. Mi pare perciò che la crisi odierna, che pure colpisce così duramente l’ordine economico e quello statuale, assuma una tale qualità che per superarla davvero non può bastare il ricorso all’iniziativa politico-economica, fosse anche la più sofisticata ed efficace. Per uscire da questa crisi occorre qualcosa di più: un grande sforzo collettivo, una forma più appagante di partecipazione che non si fermi alla pura esercitazione democratica, ma si faccia carico del compito di trarre l’uomo dalla sua moderna solitudine e di ricondurlo, interamente liberato, ad una società civile degnamente ricostituita. Utilizzare tutte le risorse disponibili per gli investimenti e per l’occupazione, significa indicare un grande obiettivo nazionale: ma significa anche essere consapevoli che l’esodo dei capitali e l’evasione fiscale costituiscono reati previsti dalla legge, reati che devono essere avvertiti nella coscienza di tutti i cittadini come veri crimini contro la Nazione. Ed ugualmente condannabili ci devono apparire quegli impieghi speculativi e quel cattivo uso delle risorse che hanno come inevitabile contropartita la sofferenza di lavoratori destinati a perdere l’occupazione, o di giovani che il posto di lavoro non riusciranno a trovarlo”.

NPSPECIAL - CAMMINARE SCALZI 7/7

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