Nella gabbia di un attimo

Publish date 10-08-2012

by Andrea Gotico

a cura della redazione - La breccia tra l’oggi e il domani. Nell’ultimo rapporto del Censis, l’immagine di italiani che non sanno più progettare il futuro e hanno fatto della vita un eterno presente. L’attimo presente è la chiave per vivere bene la vita. Ma solo se apre al futuro. Altrimenti il presente diventa una prigione. Usa parole dure uno degli ultimi rapporti del Censis intitolato Fenomenologia di una crisi antropologica. Il rattrappimento nel presente. Una ricerca a tutto tondo sulla vita dei giovani e non solo, che fa emergere un aspetto nuovo della crisi. Il futuro fa paura? Difficile programmarsi la vita? Nessun problema: tutto può essere coniugato al presente. Nessuna visione del domani, poca voglia di rischiare, l’unico obiettivo è conservare il poco o il tanto che si ha già tra le mani. “L’individualismo ci ha insegnato a fare solo quello che ci piace, - dice il Censis - questo meccanismo è talmente radicato che non riusciamo più ad affrontare nessun sacrificio per ottenere un risultato che pure desideriamo e che sappiamo ci ripagherà degli sforzo fatti. Nell’Italia di oggi serpeggia una patologia su cui ancora non si è riflettuto abbastanza e in modo organico: il presentismo. Siamo cioè una società che non avanza, ma che, credendo di avanzare, gira a vuoto e ricade sempre su se stessa, perché appiattita sul presente”. Una frattura che investe tanti ambiti della società ed è destinata a cambiare lo spazio in cui viviamo.

Ecco alcuni stralci del rapporto. Sempre più provinciali. “Siamo un Paese astorico, non tanto perché abbiamo perso il senso della storia passata, anzi forse mai come quest’anno sono stati fatti sforzi, alcuni coronati da successi insperati, per recuperare il senso del nostro passato; ma siamo astorici perché tendiamo, collettivamente ed individualmente, a vivere fuori dalla storia: nessuno sa dire con certezza se siamo in guerra oppure no, se abbiamo una politica estera nazionale e come ci rapportiamo ai grandi fenomeni mondiali, come l’esplosione delle economie emergenti. È un provincialismo volontario, dettato dalla paura delle trasformazioni e da un attaccamento immaturo alla nostra qualità della vita”. Contano ancora gli esempi? “In una società che è abituata a vivere nell’immediato più che nella storia e quindi nelle emozioni più che nei fatti, perdono anche di efficacia le esortazioni morali, perché le esortazioni vengono percepite solo a livello emotivo. Tutti ci sentiamo responsabili e solidali, ma questa bontà non si confronta con la storia: posso mandare un sms di solidarietà con i terremotati di Haiti, perché quella tragedia mi ha emozionato, ma non trovo poi il modo di occuparmi 5 minuti a settimana del mio vicino di casa. L’affievolirsi della dimensione trascendentale dell’esistenza non è dettata allora solo dallo scetticismo verso quella sfera, dall’agnosticismo o dal disinteresse tradizionale verso il sacro e le sue tematiche. La dimensione trascendentale resta, ma subisce anch’essa l’accorciamento della prospettiva personale: se il passato non mi riguarda, se il futuro ha importanza solo per l’emozione che riesce a darmi oggi, se conta solo il presente, allora la trascendenza finisce per essere solo un fatto emotivo, non contribuisce a costruire la persona”. Calo di desiderio.

In un mondo dominato dalle emozioni allora, mancano le passioni, conta quello che provo nel presente, non la tensione che porta a guardare lontano. Non c’è più qualcosa di appetibile, in grado di muoverci e di smuoverci, di metterci in movimento verso un altrove, voler mantenere le posizioni raggiunte, individualmente e collettivamente, è qualcosa di più simile ad una paura che ad un desiderio. Se non aspiro a qualcosa che posso anche non ottenere, se non metto in conto che non solo posso fallire, ma posso anche rischiare di perdere parte di quello che ho, il desiderio è monco, non ha cioè la forza di rivoluzionare la mia vita, individuale e collettiva. L’ottenimento facile, la soddisfazione immediata del desiderio, produce personalità fragili, dipendenti quantomeno dal sostegno altrui, dal bisogno di continue conferme che i loro desideri saranno soddisfatti senza sforzo, perché ritengono, sotto, sotto, di non poter sostenere alcuno sforzo”.

NPSpecial – Riparatori di Brecce 2/8

Nel mondo di oggi si è approfondita una frattura tra uomo e Dio, tra politica e gente comune, tra giovani e adulti. Non è questo il mondo che vogliamo. Serve un cambiamento di rotta. Quando non si riesce più ad essere credibili, a dire una parola decisiva, quando anche le guide sono cieche, è tempo di guardare più alto e più lontano, è tempo di non fermarsi alla denuncia ma di “restituire”, è tempo di tornare a far vivere la profezia, è tempo di riparare le brecce. Non come tappabuchi, ma come ricostruttori di vita, di una vita piena di dignità. Il mondo si può cambiare!

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