La verità ci salverà

Publish date 11-08-2012

by Matteo Spicuglia

Massimo Gramellini intervista Ernesto Oliverodi Matteo Spicuglia - Dove sta andando l’informazione nel mondo? Velocità, approssimazione, ruolo delle fonti: bisogna arrendersi alla manipolazione? Onestà e consapevolezza, l’impegno di addetti ai lavori e del pubblico.
 
 
Primavera del 2007. Il papa è in Brasile per un viaggio di pochi giorni. L’occasione è l’apertura della V Conferenza generale dell’episcopato latinoamericano presso il santuario mariano di Aparecida. Un’occasione per riflettere sui problemi della Chiesa e della società e affrontare il futuro con più consapevolezza. Negli stessi giorni, in Italia, il dibattito pubblico è dominato dalla polemica sui Dico, il riconoscimento delle unioni civili proposto dal governo. Il mondo cattolico è in fermento e si dà appuntamento a Roma, in piazza San Giovanni per il Family Day. Dall’altra parte dell’oceano, nell’agenda del papa ci sono tantissimi temi, anche l’appello contro le cosiddette unioni libere, un dramma per il Brasile dei meninos de rua, dei bambini senza padri e a volte senza madri, dell’infanzia violata. Benedetto XVI usa parole forti, parla al Paese che lo accoglie, ma la logica delle notizie è più forte: i giornali italiani dedicano pagine e pagine a quel discorso, interpretato da tutti come un sostegno a distanza del pontefice al Family day e una rimbrottata al governo.

Abbattimento statua di SaddamAprile 2003, Baghdad. Un’immagine che fa storia: l’abbattimento della statua di Saddam Hussein nel centro della città. Il regime cade sotto l’avanzata delle truppe americane e inglesi. I media di tutto il mondo commentano l’esultanza degli iracheni di fronte alla distruzione di un simbolo. La gioia che conferma la bontà di quella guerra: gli iracheni liberati, come sessanta anni prima le popolazioni europee. La retorica si sciolse di fronte alla realtà: nella piazza, intorno alla statua del dittatore, non c’erano folle festanti, ma solo un piccolo gruppo. Nessun problema per le emittenti televisive: le immagini erano zoomate, la piazza deserta non si vedeva. Il racconto poteva essere piegato ad ogni esigenza.

Marzo 2010, Messico. Un quotidiano lancia a tutta pagina il suo scoop: la foto del subcomandante Marcos, fotografato per la prima volta senza passamontagna. L’immagine fa il giro del mondo, con tanto di analisi e commenti. Ma il clamore dura poco: il 2 aprile, si scopre che la persona della foto in realtà è un cooperante italiano, Leuccio Rizzo, 38 anni di Galatina (Lecce), in Messico da 2 anni con il comitato Chiapas ‘Maribel’ di Bergamo. Nessuno aveva verificato la sua identità. Aprile 2010, Italia. Edizione di punta del principale telegiornale del Paese. Un quarto d’ora di notizie del giorno, poi altri 15 minuti di amenità varie: servizi sulla passione per la corsa, sulla clinica degli aerei, sulla bontà del gelato, sulla moda delle unghie finte, e via dicendo. Più che notizie, intrattenimento.

Brasile, Iraq, Messico, Italia: esempi che dicono molto sui mali e i limiti dell’informazione di oggi. La realtà sceneggiata, le scelte editoriali, a volte la scarsa professionalità: aspetti non nuovi, ma amplificati dalle novità tecnologiche degli ultimi anni. La chiave per capire come è cambiato il modo di fare giornalismo è la velocizzazione di tutto il sistema. Internet, gli strumenti di comunicazione, l’aumento esponenziale di canali di trasmissione: in una società mediatizzata il flusso di notizie cresce a dismisura. La funzione informativa ha ancora un valore, ma un giornale, una rivista, un sito di news, un telegiornale hanno accentuato il loro essere prodotto, un semplice bene offerto al mercato dei consumi. Chi fa un tg sembra non poter più prescindere dai dati di ascolto, chi prepara un giornale dal rapporto tra pagine e pubblicità, tutti dall’esigenza di semplificare il racconto: via le sfumature, la realtà in bianco e nero. In uno scenario simile, è sempre più difficile avere tempo e denaro a disposizione: ci si fida ciecamente delle fonti ufficiali, è comodo limitarsi a quello che dicono le agenzie di stampa, internet ha dato lo status di notizia a fatti che in molti casi non possono essere verificati. Scrive in un suo libro Mimmo Candito, storico inviato di guerra de La Stampa: “L’identità di un inviato era fissata soprattutto dalla sua capacità di organizzare e articolare le notizie ricercate sul campo: un inviato non solo racconta un fatto, ma dà a questo fatto dimensione profondità, senso, contestualizzazione. Questo suo specifico lavoro presuppone però un investimento di tempo che la velocizzazione non riesce ad accettare, nemmeno quando quel rifiuto comporti perdita di approfondimento e carenza di verifica”.

CanditoAldo Maria Valli all'Arsenale della Pace sulla comunicazione parla del giornalismo di guerra, ma la sua analisi è generalizzabile. È per assenza di approfondimento che il papa in Brasile è stato travisato; è per assenza di contestualizzazione che le immagini di Baghdad sono state commentate con toni trionfalistici; è per assenza di verifica sul campo che la faccia di un cooperatore è stata scambiata per un rivoluzionario; è per una perdita di senso che in un tg le notizie vengono sostituite con servizi da rotocalco. Ha tante facce la manipolazione: a volte, è voluta, dettata da esigenze politiche o industriali, altre volte inconsapevole, figlia dell’approssimazione. È possibile uscirne? Non serve rimpiangere i tempi passati. Ogni epoca ha limiti e potenzialità, che nascono però anche dalle scelte dei singoli. Chi fa il giornalista può accettare la sfida di trasformazioni che non dipendono da lui, ribaltandole a suo favore.

Alcuni esempi: internet è un mare magnum in cui perdersi, ma anche dove è possibile discernere. La velocizzazione è inesorabile, ma anche uno stimolo a fare della formazione personale una priorità. La verifica delle fonti è sempre più complessa, faticosa, ma non impossibile. La verità un bene sempre più raro, ma per cui vale la pena lottare, cercando di lasciare la propria scrivania appena se ne ha la possibilità. Insomma, serve un’etica, un approccio onesto alla complessità della realtà, un impegno richiesto anche al cittadino comune. Inutile nasconderlo: una buona informazione non cade dal cielo, nasce anche dalla misura in cui viene ricercata e richiesta.

Ammette sconsolato Marco Guidi, inviato de Il Messaggero: “Se riesci ad andare in Darfur, scopri che alla fine i tuoi bellissimi servizi li hanno letti sì o no i tre o quattro colleghi amici”. Un disinteresse di fondo che spiega più di tante parole come mai ogni giorno si parli di gelati e sfiziosità nel cuore di un telegiornale. “Il popolo, - scriveva negli anni ‘50 Igino Giordani, giornalista e politico santo - ha fame di vita, attende dalla stampa, malgrado scandali e delusioni, un nutrimento di fede, un’azione educativa, un aiuto a vincere nell’amore la morte”. È ancora così? Ognuno dia la sua risposta.
Matteo Spicuglia
 
 
 
 

This website uses cookies. By using our website you consent to all cookies in accordance with our Cookie Policy. Click here for more info

Ok