LA CINA VA IN AFRICA

Publish date 31-08-2009

by Redazione Sermig


Le riflessioni di un camerunense a spasso per il suo continente. Siamo di fronte ad un nuovo colonizzatore e l’Africa rischia un nuovo debito estero.

a cura di Pierre Monkan


Chi come noi viaggia nel Sud del Mondo non ha potuto non constatare l’invasione delle merci cinesi in tutte le latitudini. Dopo un po’ di anni che non ero più andato in missione nei Paesi africani al di fuori del mio Paese di origine, il Camerun, fui terribilmente sorpreso in un mercato del Mali vedendo donne cinesi contendersi i clienti con le povere donne maliane rivendendo paccottiglie e legumi locali. Lo scorso settembre ho rivisto la stessa scena in Camerun e in Capo Verde. Trovi dei cinesi perfino nelle piantagioni a comperare o barattare i prodotti agricoli prima della loro maturazione.
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Immense navi trasportano straordinarie quantità di legno pregiato dall’Africa alla Cina, senza che i cinesi abbiano pagato un centesimo per gli alberi tagliati, e ancora pelli di animali, piante rare e metalli. Un gigantesco trasloco di risorse che sta ulteriormente impoverendo l’Africa e che sta avvenendo nel silenzio generale della comunità internazionale.

Pechino ha iniziato la sua penetrazione in Africa a metà degli anni ‘90 attratto soprattutto dalle ricchezze naturali del Continente, in primis il suo petrolio e il gas, senza tralasciare il carbone, il rame, il cobalto e l’oro, tutte risorse di cui ha bisogno per la crescente supremazia economica mondiale. È avvantaggiata dal fatto che i manufatti cinesi sono a buon mercato rispetto ad altri manufatti di importazione ed a volte anche a quelli localmente prodotti.

Cercando di capire i perché di questa nuova colonizzazione dell’Africa, sono andato a documentarmi.
La Cina sta investendo massicciamente in Africa ed è il principale consumatore di prodotti africani. A sentire alcuni leader o commercianti, si direbbe che essi vedono l’invasione come una opportunità di sviluppo, ma in realtà penso che, come nei secoli passati, il colonizzatore fa esclusivamente i propri interessi.

Contrariamente a molte opinioni sulla cooperazione sviluppatesi in Europa in questi ultimi decenni, si possono sinteticamente definire in tre punti gli aspetti più significativi dell’espansione cinese sul Continente Africano:
- l’assoluta indifferenza dell’Europa dinanzi a questo fenomeno, che pur riguarda da vicino il Vecchio Continente;
- il saccheggio delle risorse naturali pregiate dell’Africa, a costo zero, e ad uso e servizio della ricerca scientifica e della produzione cinese;
- la creazione di aziende sul modello - come direbbe qualcuno, schiavista - dell’economia cinese.

Ciò che colpisce maggiormente è quanto vanno dicendo i sostenitori di questa invasione, cioè che, a differenza degli europei, i cinesi realizzano e consegnano in tempo quanto promettono ai governi africani. Ma una cosa che spesso non viene detta è che i Cinesi consegnano generalmente le opere chiavi in mano e quasi mai coinvolgono gli africani stessi nella progettazione e manovalanza.

È nel 2006 che la presenza cinese ha raggiunto il massimo livello politico, quando nel mese di novembre quasi tutti i capi di governo e di Stato africani sono convenuti alla grande kermesse FOCAC (Forum per la Cooperazione tra Cina e Africa, organismo creato nel 2000). Da allora la Cina è impegnata a promuovere le relazioni economiche, politiche e culturali tra Cina e Africa.

Pechino aveva accuratamente preparato l’evento nonché l’exploit mediatico dello scorso anno per una serie di ragioni. Prima di tutto perché la penetrazione commerciale in Africa ha raggiunto la piena maturazione; inoltre si è celebrata la commemorazione dell’apertura della prima cooperazione con uno Stato Africano: l’Egitto di Nasser. Infine si sono toccati i temi della cooperazione Sud-Sud, cioè “tra il più grande Paese in via di sviluppo del mondo (la Cina) e il continente con il più alto numero di Paesi in Via di Sviluppo (l’Africa)”…

Questa presenza cosi capillare non ha lasciato indifferenti gli altri attori internazionali. Dagli Stati Uniti all’Unione Europea alle istituzioni finanziarie internazionali, sono tutti preoccupati del comportamento spregiudicato dei cinesi sia a livello politico - per il sostegno dato ai governi di Sudan e Zimbabwe e la mancanza di ogni condizionalità legata al rispetto dei diritti umani o alla “good governance” -, sia dal punto di vista prettamente economico, perché, dicono alla Banca Mondiale, molti governi africani sarebbero seduti su una bomba a orologeria, una “nuova trappola del debito” creata dai prestiti che la Cina ha offerto in questi anni all’Africa. La Cina smentisce, staremo a vedere.

Che si tratti o no di colonialismo cinese, un merito si deve riconoscere a questo fenomeno: ha fatto riaccendere i riflettori sull’Africa, sul suo sviluppo economico e sul suo peso politico dopo tanti anni di oblio. Nel dicembre scorso si è svolto a Lisbona il secondo vertice dei 27 Membri dell’Unione Europea ed i 53 presidenti dell’Africa (il primo appuntamento, dal 2000) in cui si è preannunciata una inversione di rotta con lo slogan “Meno aiuti, più partnership”.

Pierre Monkan
Da: L’ascoltamondo, n.6/2007
Notizie dal Laboratorio Diocesano Emergenza e Mondialità
(Diocesi di Torino) 

 

 

 

 

 

 

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