KENYA: buona notte, Shiru
Publish date 31-08-2009
Il racconto che pubblichiamo è frutto di anni di vita keniota dell’autore, ed è tratto da tante storie vere, che si incrociano tutte nello slum di Kibera, il più grande di Nairobi.
di Kizito Sesana
Era solo una bambina di strada che non valeva niente, che non era nessuno. Una bambina che molto tempo prima era scappata da una mamma, capace solo di mendicare e ubriacarsi. Quella sera, si era beccata una bastonata alla gamba sinistra e ogni passo era una pena. Di tanto in tanto, senza fare rumore per non farsi scoprire, si appoggiava alla parete di una baracca, aspettando che il dolore passasse. Ma il dolore più forte era alla testa, che sanguinava. L’avevano sorpresa con altri amici, mentre cercavano di rubare da una bancarella sulla Ngong Road. Erano tutti bambini e bambine di strada come lei, dai dieci ai quattordici anni, spinti dalla fame e dalla disperazione. Speravano di trovare un po’ di pane e salsicce, ma il proprietario, che dormiva sul retro li aveva scoperti e si era scagliato su di loro come una furia. Con un bastone li aveva picchiati senza pietà. I più veloci erano scappati in tutte le direzioni, ma lei e Shikò erano troppo impegnate a riempirsi la bocca col pane secco trovato su uno scaffale, e si erano fatte prendere. Nella fuga, Shiru e Shikò si erano perse di vista. Dov’era, dunque, quel Dio buono e padre di tutti di cui ogni tanto parlava suor Elisa, dopo aver distribuito un po’ di pane e latte al loro gruppo di bambine? Suor Elisa era buona e dolce, ma le aveva ingannate. Anche quel Dio doveva essere un padre egoista e cattivo, che si preoccupava di mangiare lui per primo, invece di occuparsi dei suoi figli. E poi era lui, quel Dio, che mandava in quei giorni di fine luglio quel tempaccio gelido, che inaspriva la vita in strada e le sofferenze delle bambine. «Altro che Dio!», pensò Shiru. E intanto non vedeva l’ora di trovare quella discarica che aveva notato mentre passava di lì qualche giorno prima. Ormai doveva essere vicina. |
Il dolore per la ferita alla testa era ormai insopportabile e usciva ancora un po’ di sangue. Finalmente, dietro l’ultima fila di baracche e un rigagnolo puzzolente, trovò la discarica illegale. Era un posto orribile, ma era pur sempre un rifugio perfetto per una bambina come lei. Così pensava Shiru, mentre si preparava una “tana” in mezzo all’immondizia, e ci si intrufolava, coprendosi con un gran mucchio di sacchetti di plastica. «Finalmente in pace!», si disse tra sé e sé la bambina. Ma il dolore non la lasciava dormire. E poi pensava a Kavaya, che lo scorso marzo era morto, buttato giù da un autobus. Era salito su un matatu e mentre si frugava in tasca per cercare qualche spicciolo, era stato spinto fuori dalla porta dal controllore. Che gli aveva gridato: «Fuori di qui, chokora!». “Chokora”, ovvero “spazzatura”; è così che chiamano i bambini di strada a Nairobi… Kavaya aveva battuto la testa sulla strada. I suoi amici avevano capito che era grave e, prendendolo per le braccia e i piedi, lo avevano portato all’ospedale. Ma non ce l’aveva fatta; era arrivato già morto, un pupazzo disarticolato e sporco. Shiru aveva pianto, perché Kavaya a volte era buono e la proteggeva. Davvero, ma dov’è questo Dio buono ? |
Al funerale, poche ore dopo, nell’immenso cimitero, fra cumuli di terra smossa, c’erano solo loro, i bambini di strada, a seguire la sgangherata bara di Njaro. All’ultimo momento era venuto anche un “padri” a dire una preghiera e dare una benedizione. Ma che gliene poteva importare a Dio di quel povero corpo? Il “padri” era un muzungu, un bianco; era giovane e sembrava quasi impaurito di trovarsi in loro compagnia. Aveva detto delle cose giuste: che Dio non poteva benedire questa città, che condanna i suoi figli a vivere nella miseria; che non dà loro alcuna educazione; che insegna la violenza e poi li scaglia l’uno contro l’altro. Una città - aveva detto – che nutre i suoi figli con l’ immondizia e poi li lascia morire come immondizia. Dio non avrebbe lasciato che le cose continuassero ad andare così per sempre; sarebbe intervenuto a sostenere quelli che lavoravano per il bene e la giustizia. Belle parole.... Ma erano solo parole.
Shiru, invece, non aveva bisogno di parole; aveva bisogno di protezione e di affetto. Njaro la proteggeva quando i ragazzi più grandi volevano “giocare” con lei, e le dava sempre le cose più buone da mangiare. Kizito Sesana |
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