ISRAELE: la pace costa

Publish date 31-08-2009

by Redazione Sermig


Un membro arabo della Knesset, un docente universitario ed un direttore di Centri per la pace ebrei hanno incontrato la Fraternità del Sermig ieri, all’Arsenale della Pace. Ernesto Olivero ha presentato i sogni dei giovani di “Medio Oriente Terra Amica”.

A cura della redazione



Delegazione israeliana con Mauro Sarasso dell' UPF
La pace ha un costo e non tutti quelli che desiderano la pace sono pronti a pagarne il prezzo”. Questa è una delle certezze emerse dall’incontro che si è svolto ieri sera, 15 marzo 2007, presso l’Arsenale della Pace di Torino. E, conseguentemente, un’altra certezza: “La pace tra Israele e Palestina non c’è ancora perché ci siamo dimenticati che dobbiamo coinvolgere la popolazione in questo processo di riavvicinamento”.

Ecco perché loro tre sono venuti in delegazione in Italia, “appartenenti a partiti diversi ma con un unico sogno: portare la pace in Medio Oriente”. Talab El Sana è un parlamentare arabo, eletto nel 1992 alla Knesset (il parlamento israeliano) dove organizza senza sosta incontri con delegazioni straniere per promuovere la pace. Hod Ben Zvi è educatore e direttore di due Case della pace (a Gerusalemme e a Gaza), oltre che Segretario Generale dell’Universal Peace Federation (UPF) per Israele. Shuki Yariv Ben-Ami (di origine Dakota) è filosofo e docente universitario, da 40 anni attivista per la pace ed il dialogo interreligioso, presidente della “World Media Association” ed è ambasciatore dei Nativi d’America a Gerusalemme.

A portarli in Italia, proprio l’UPF, una ong internazionale presente nel Consiglio economico-sociale dell’ONU, in persona di Mauro Sarasso e Sergio Coscia, responsabili della sezione italiana e torinese. In programma, vari incontri in tutta la penisola, in particolar modo con gli amministratori pubblici.
Quando iniziano a parlare, un primo segno di comunione è subito evidente nella “traduzione a catena” che fanno tra di loro: dall’italiano all’inglese all’ebraico e viceversa.

La serata si apre con il saluto di ERNESTO OLIVERO, “padrone di casa”, il quale presenta il simbolo del Sermig - la Bandiera della Pace - e sintetizza la storia dell’Arsenale della Pace. Entra poi nel vivo del tema dell’incontro: “Noi abbiamo osato pensare che il Medio Oriente diventi Terra Amica. Abbiamo invitato alcuni ragazzi israeliani e alcuni palestinesi a stare con noi per qualche giorno; li abbiamo coinvolti nelle nostre attività e ad un certo punto i palestinesi hanno visto che gli israeliani avevano i loro stessi sogni, e viceversa”.

Lo sguardo dei tre ospiti si fa attento, mentre Olivero prosegue: “Questi giovani, i vostri giovani, ci hanno chiesto: perché non costruite un Arsenale della Pace al confine tra Israele e Palestina?”. E lui mantiene la promessa di portare la richiesta ai governi dei loro Paesi: “Voi siete delle autorità: perché non ci date un pezzo di terreno al confine tra Israele e Palestina? Noi costruiremo, con i soldi dei giovani del mondo, un grande Arsenale come questo, metà da una parte e metà dall’altra, con due porte che si aprono alle due estremità: non sarà una casa di parte, ma sarà dalla parte della pace e della giustizia. Inviteremo i bambini disabili palestinesi e israeliani. Chissà che il dolore non unifichi i due popoli…”.

15 marzo 2007, Arsenale della Pace

Il Sermig non tradisce la fiducia dei giovani, per questo è credibile. Se noi adulti ci sforziamo di non tradire i giovani, ci accorgeremo che ‘Medio Oriente Terra Amica’ è possibile” conclude Olivero. Passa la parola agli ospiti, i quali raccolgono il sogno suo e dei giovani, ricordando che proprio per dei “pezzi di terra” c’è la guerra tra Israele e Palestina. Promettono di sostenere come potranno questo progetto, augurandosi che possa portare non solo ad una casa di pace, ma anche a dei pezzi di terra di pace.

HOD BEN ZVI offre poi una lettura del conflitto in corso: “Il problema in Israele è che questa piccola terra è terribilmente influenzata da molte potenze esterne. Il mercato delle armi è il più grosso business che esista sulla faccia della terra, qualunque sia il tipo di arma. Questi enormi interessi chiedono che le armi siano vendute ed utilizzate e stanno influenzando la realtà di molti Paesi. Se riuscissimo a trasformare gli Arsenali del mondo in case di pace, come è accaduto qui, sicuramente diminuirebbe la quantità di violenza che c’è nel mondo”.


Shuki Y. Ben-Ami
Interviene SHUKI Y. BEN-AMI che commenta: “Sento il desiderio di togliere i miei calzari, perché questo in cui ci troviamo è un luogo santo” e recita la profezia di Isaia (2,4) che ha accompagnato l’acquisizione dell’ex Arsenale militare da parte del Sermig:
Forgeranno le loro spade in vomeri,
le loro lance in falci;
un popolo non alzerà più la spada
contro un altro popolo,
non si eserciteranno più nell'arte della guerra.
Prende la parola TALAB EL SANA, il quale esordisce: “Non credo che le religioni siano la causa dei conflitti, è la politicizzazione della religione che crea i conflitti. I fondamenti delle religioni sono gli stessi: ama Dio, ama il prossimo che hai intorno. Il dramma del Medio Oriente è che non abbiamo imparato dagli errori degli altri. Qualche anno fa in Europa è stato abbattuto un muro, noi nella nostra terra ne abbiamo costruito un altro”.
Continua ricordando che nel 1992, quando a 31 anni fu eletto al parlamento israeliano, una legge proibiva di parlare con leader o esponenti palestinesi, pena la prigione ed un processo. “Ma se voglio fare la pace, devo per forza dialogare con il mio nemico. Se si sparava sul nemico si veniva premiati, se si tentava di dialogare si veniva puniti! Lo sforzo più grande che dobbiamo fare è trasformare il nostro nemico in amico”. Fortunatamente questa legge è stata abolita, ma portare la “parte della pace” in parlamento rimane faticoso: “Molte volte mi devo confrontare con altri parlamentari che credono di poter utilizzare le armi per raggiungere la pace. Io dico sempre che con le armi si possono solo uccidere persone, distruggere le case. Non ho ancora visto un carrarmato che costruisce. In Medio Oriente abbiamo usato tutto ciò che serve alla distruzione, l’unica cosa che non siamo ancora riusciti ad utilizzare è il nostro cervello”.

Talab El Sana

Eppure la cosa più bella che abbiamo, e che ci differenzia da tutto il resto dell’universo, è la capacità di sederci fianco a fianco, guardarci negli occhi ed iniziare a dialogare per conoscerci. Con questa relazione possiamo costruire cose meravigliose. Le nostre dispute sono per un pezzo di terra, ma la terra è per viverci dentro, non per morirci sopra. Che valore può avere la terra se le persone sopra sono tutte morte? Occorre divenire consapevoli della sofferenza che c’è dall’altra parte; se continuiamo a crogiolarci sulle nostre sofferenze, continueremo a pensare che gli altri sono il Satana. È necessario capire che siamo interdipendenti: la sicurezza dei palestinesi deriva dagli israeliani e viceversa. In questo modo potremo cominciare ad interagire”.


Hod Ben Zvi
HOD BEN ZVI racconta le attività che l’UPF e molte altre ong insieme stanno realizzando dal 2000 in poi: “Abbiamo iniziato nella parte sud di Israele invitando imam e rabbini, insieme alle mogli: un incontro tra coppie. Volevamo superare la fase degli incontri in cui ci si limita a dichiararsi reciproco, generico, rispetto. Parlando, si è iniziata a creare un po’ di tensione. Allora un mio maestro giapponese ha detto con decisione: forse dovremmo pregare, non esteriormente, ma con profondità. Tutti sono rimasti spiazzati… il terzo giorno, l’atmosfera è cambiata completamente; le persone hanno iniziato ad apprezzare i punti comuni e non si sarebbero più lasciate… Da quel momento abbiamo avuto incontri di dialogo interreligioso una volta ogni quindici giorni/un mese, a livelli diversi”.

Un altro intervento è stato condotto dalle donne legate all’UPF sulla popolazione, per cancellare l’angoscia e il risentimento causati dalla sofferenza: “Queste donne hanno visitato casa per casa le famiglie che hanno perso dei cari o hanno avuto dei feriti. Non hanno preso le parti dell’una o dell’altra, le hanno visitate con cuore di madre, ascoltandole, cercando di capire la loro sofferenza; pian piano il desiderio di vendetta, di rivendicazione, di odio si è trasformato in comprensione, in dolcezza e questo ha aiutato a lenire le ferite”.

C’è poi il lavoro del Centro di Gaza: “Lì ci occupiamo dei ragazzi e delle loro famiglie. Abbiamo realizzato un torneo di calcio con 16 squadre proprio nel momento peggiore del conflitto; nonostante tutto, siamo riusciti a far sì che i ragazzi potessero completare il loro torneo. Questo li ha coinvolti con uno spirito diverso, gioioso, rispetto a quello che stava accadendo attorno a loro.
A Gaza abbiamo un asilo, dove ogni giorno diamo da mangiare a 250/300 bambini. Purtroppo in quest’ultimo periodo si è complicata la situazione degli aiuti umanitari ed è difficile continuare a sfamare questi bambini…

Abbiamo poi un Centro nel cuore di Gerusalemme, dove si incontrano leader di varie religioni, del settore umanitario, altre persone che dedicano la loro vita a portare la pace, palestinesi ed israeliani.
C’è anche un altro membro del parlamento che lavora con noi, l’on.Ran Cohen, che non ha potuto essere qui proprio per i dialoghi di pace in corso in questi giorni. Talab El Sana e lui invitano delegazioni da ogni parte del mondo per promuovere la cultura della pace, proprio nelle aule del parlamento. “Pian piano stiamo trasformando il parlamento israeliano in un piccolo Arsenale di Pace” osserva con ironia Hod Ben Zvi.

Altre iniziative coinvolgono gli educatori, i gruppi sportivi, i giornalisti e tanti altri livelli della società. “Perché operare su tanti livelli? Perché la pace può essere realizzata solo se tutti i brandelli di questa società sfilacciata possono ricucirsi insieme” conclude Hod Ben Zvi.
Shuki Ben-Ami aggiunge: “Quasi il 75% israeliani e il 75% dei palestinesi vogliono la pace, ma pochi vogliono spendersi per realizzarla, pochissimi sarebbero pronti a morire per essa. Molti stanno seduti a casa aspettando che la pace arrivi. Per realizzare la pace dobbiamo essere più coraggiosi di quelli che provocano la guerra. Siamo ancora in attesa di leader coraggiosi disposti a spendersi per la pace. Pensiamo che questa pressione debba venire dal basso: se riusciamo a mettere insieme educatori, giornalisti, medici, parlamentari, probabilmente questa pressione comincerà a spingere”.

Raccontano che li rattristano molto le obiezioni sull’utilità del lavoro per la pace: loro stanno giocando con convinzione il tutto per tutto e si aspettano dal popolo italiano sostegno ed incoraggiamento, non ostacoli. Uno degli ostacoli più grossi è costituito dal “prendere parte” per Israele o per Palestina da parte di amministratori pubblici o associazioni del resto del mondo. Il ruolo che viene chiesto ai Paesi esteri è, al contrario, quello dei bravi genitori con due figli che litigano: possono anche pensare che abbia iniziato l’uno o l’altro, ma non lo esternano ed aiutano invece in tutti i modi i due figli a superare ciò che è stato e rappacificarsi.

Un’ultima riflessione riguarda l’ambito educativo: “Purtroppo – osserva Talab El Sana - nei sistemi educativi israeliano e palestinese si insegna spesso a negare la realtà dell’esistenza del popolo palestinese, da un lato, e dello Stato israeliano dall’altro. Quindi è difficile maturare il desiderio di creare un legame e superare le barriere”.
Per questo i tre ospiti concludono l’incontro con un appello a tutti coloro che sono disponibili, amministratori pubblici ed enti privati: “Contattateci per scambi tra i vari livelli della popolazione civile italiana e/o di quella israeliana e palestinese, tra educatori, giornalisti, politici, giovani… incluse eventuali proposte al parlamento israeliano”.
Già perché volere, veramente, la pace significa lavorare, concretamente, per la pace.

A cura della redazione
da Nuovo Progetto aprile 2007
Vedi anche:
Speciale “Medio Oriente Terra Amica”
Speciale “Tenda della Pace”
ISRAELE: Sharon e Ahmad
Scheda Israele formazione ed educazione 

 

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