Esperienza iconografica all’Arsenale

Publish date 01-03-2017

by Redazione Sermig

Finalmente, dopo qualche giorno necessario per pensare e rielaborare, condividiamo le riflessioni di chi ha frequentato questo laboratorio in cui abbiamo realizzato un volto di Gesù, secondo la tecnica dell’iconografia e seguendo il modello del Pantocratore del Sinai.

Quel Gesù non capito.
Sembrava quasi un gran paciugo e forse come nella nostra vita, questo dipinto rischiava di non arrivare al dunque, come se mancasse sempre qualcosa di importante; ma nel silenzio e nella preghiera ecco … Pian piano quello sguardo che sembrava triste, ora diventa uno sguardo consolatore, penetrante, che arriva fino all’anima. Quel sorriso non fatto ora diventa conforto che mi parla e mi dice: “Io sono con te”, quel volto tumefatto ora diventa un volto di Padre, che soffre con me e per me e si fa carico dei miei dolori. Ecco allora che pian piano, quello che sembrava un pasticcio, pur rimanendo tale, assume un significato nuovo, diventando Volto Nuovo. Quella che sembrava una foto triste ora diventa un’icona di vita, della mia vita, che annulla il buio con la sua luce.

(A.)

Disegnare un’icona non è fare un semplice disegno ma è mettersi in comunicazione con la figura che stai rappresentando, parlare intimamente con Lui delle tue emozioni che stai vivendo in quel momento particolare della tua vita…

(B.)

Il Tuo volto Signore ho cercato
Su una tavola bianca col tempo le mie mani Ti han rappresentato
I miei occhi Ti hanno contemplato
La preghiera mi ha accompagnato
La Tua mano Signore mi ha guidato
La Tua presenza ho assaporato
Il Tuo volto Signore ho trovato
Il mio cuore hai scaldato
Così tanto da voler condividere col mondo intero la gioia immensa che ho provato
Nel dipingere il tuo incarnato.

(C.)

Prima di iniziare l'icona ero convinta di volerla regalare ai miei genitori; dopo poche pennellate è nato il desiderio di tenerla per me nella mia camera, sopra il mio letto e la mia testa. È difficile spiegare a parole il percorso interiore che ha accompagnato la trascrizione della tavola: la terra rossa e i colori, dalle ombre alle luci, mi hanno parlato di Te, di me, della nostra storia, al punto che tra una pennellata e l'altra mi sono domandata spesso se non fossi tu a trascrivere il mio volto piuttosto che io il tuo. Durante il lavoro, mentre il tuo volto prendeva forma e vita come uscito non soltanto dalla mia mano, ma direttamente dal mio cuore, sentivo che da quel volto prendevo forma e vita anche io. Signore mio, grazie di aver guidato la mia mano, la mia mente e il mio cuore in questo lavoro che è stato preghiera, tempo restituito a te per la mia felicità e la gioia di coloro che attraverso me, spero, possano incontrarti

(D.)

Fin da piccolo avevo capito cosa non avrei fatto da grande. Ed i segnali erano evidenti: disegnavo un cane con cinque zampe, coloravo a casaccio, senza un senso, senza un verso ben preciso. Direi che tutto era chiaro. Poi ad un certo punto in arsenale si organizza un corso di iconografia, e, in base ai miei “capolavori” d’infanzia, anche in questo caso era chiaro che io e questo corso non avevamo molto da dirci. Ma come spesso succede la vita stravolge i programmi e quindi mi lascio convincere a mettermi in gioco e decido di partecipare a questo corso. Sin da subito (come sempre succede quando sono in arsenale) mi sono sentito a casa, in famiglia, a mio agio. Gran parte del merito è di chi ci conduceva in questa esperienza, che con la sua semplicità ci incoraggiava (non ero l’unico ad essere preoccupato per quello che avrei potuto combinare) facendoci capire che affidandoci anche stavolta avremmo fatto del bene. E così è stato.
Il corso si è svolto in 4 giorni (2 fine settimana) e pian piano da una semplice tavola di legno è emerso qualcosa che per me è straordinario, a tal punto che più guardo il risultato finale e più non credo ai miei occhi. E’ stata un’altra dimostrazione di tutto quello che si vive e si crede in arsenale, cioè che nella vita tutto è possibile. In alcuni momenti del corso la mia paura (credo dettata dalla mancanza di fede e di fiducia) aumentava perché più lavoravo su quella tavola di legno e più mi sentivo lontano da quello che doveva essere il risultato finale. Ma andiamo al corso. Non potevo aspettarmi di meglio. Ancora una volta si è materializzata la frase “i piccoli che fanno cose grandi”.
Chi ci stava seguendo non trascurava nessun dettaglio, spiegava in modo preciso e puntuale tutti i minimi particolari, dal significato dell’icona (in questo caso era il Cristo Pantocratore) all’uso scientifico e spirituale dei colori e dei materiali utilizzati (praticamente uova e terra, e da qui bellissima la frase “il creato che fa il creatore)”. Il tutto attraversato da semplici ma profondi momenti preghiera comunitaria e personale (personalmente dovevo anche chiedere scusa a Cristo per quello che stavo facendo al suo volto), che oltre ad aiutare a lavorare su una tavola di legno, aiutavano a lavorare interiormente.
Più si avvicinava la fine del corso e più cominciavo ad agitarmi perché non ero soddisfatto del risultato (in mezzo ci si mette anche la classica voglia di fare sempre meglio) ma poi guardando con calma quella tavola di legno lo stupore cominciava a bussare alla porta del mio cuore, cominciavo a sorridere, felice di quello che ero stato in grado di fare (ovviamente con un aiutino), contento per la bellezza di ciò che c’era di fronte ai miei occhi (ancora una volta risuona la frase di una pagina della regola “… venire a contatto con ciò che è bello …”).
La mia gioia cresceva sempre di più. Più guardavo l’icona e più sorridevo, ero contentissimo, a tal punto da diffondere immediatamente la gioia del lavoro iconografico (come indicato nella preghiera che recitavamo durante il corso) condividendo con tantissime persone la foto definitiva dell’icona e descrivendo il modo in cui si svolge il corso, a tal punto da suscitare curiosità negli altri: anch’essi adesso vogliono provare questa bellissima esperienza. Ma la gioia non è finita con la fine del corso.
La settimana successiva le icone sono state benedette durante la messa in arsenale, ed anche in quella occasione, con un po’ di incredulità e con lo zampino della Provvidenza (infatti non sarei dovuto andare per altri impegni) la gioia e lo stupore sono tornati a farsi vivi riempiendo il mio cuore. Adesso finalmente era possibile far vedere l’icona dal vivo a chi prima aveva ricevuto solo la foto (infatti per qualche giorno andavo girando con l’icona a portata di mano).
Quell’icona per me ha un valore grandissimo per quello che rappresenta, per tutto il lavoro che c’è dietro, per la fortuna che ho avuto a partecipare a questo laboratorio, per tutto quello che mi ha dato. Il suo viaggio non è ancora terminato perché vedrà la Sicilia approdando a casa mia, da mia mamma, che adesso non avrà solamente i miei capolavori d’infanzia.

(E.)

Ho iniziato questa nuova esperienza pensando, ancora prima di incominciare, di non essere capace di scrivere un’icona.
A maggior ragione dopo aver visto ciò che ci veniva proposto: il volto di Gesù (il Cristo Pantocratore).
Mi ha colpito molto il fatto che per scrivere un’icona si debbano rispettare regole precise di componimento, utilizzando un linguaggio che è stato codificato nel tempo.
Grazie alle spiegazioni però ho capito subito che un’icona non è una rappresentazione artistica, una semplice immagine religiosa, ma è invece Preghiera.
Per poterla scrivere abbiamo dovuto in qualche modo “scoprirla” e qui si è aperto tutto un modo di particolari, segni, tratti, simboli, colori, luci e ombre che a prima vista non avevo notato perché concentrato sull’insieme.
E poi scopri che tutto dell’icona ha un significato: la tavola di legno su cui si scrive che ricorda il legno della Croce, l’uovo che viene mescolato con i minerali naturali per realizzare i vari colori che ricorda la vita... Ogni colore, luce e ombra ha poi un suo significato preciso.
La sensazione che ho avuto quando ho iniziato a scrivere la mia icona è stata come se dovessi mettermi in cammino seguendo un percorso indicato ma che dovevo percorrere da solo, in silenzio e nella preghiera.
E’ significativo che siamo partiti dalle grafie e da un fondo scuro per terminare con le “luci”, come se il percorso di scrittura dell’icona mi aiutasse a meditare e mi guidasse dal buio alla luce, rendendo tutto più chiaro, tanto è vero che le luci sull’icona le facevano prendere forma e le davano profondità.
Scrivere un’icona è sicuramente un’esperienza che non si dimentica, che rimane dentro, che ci ricorda che anche il silenzio parla e che si può pregare scrivendo il volto di Gesù.
La benedizione in chiesa ha poi posto il sigillo che quanto è raffigurato è realmente presente su questo semplice pezzo di legno “scritto” da me.
Grazie!

(F.)

 

 

 

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