Dale Recinella al Sermig

Publish date 26-10-2015

by Andrea Gotico

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“Io credo che riuscirò a vedere la fine della pena di morte negli Stati Uniti”. Con queste parole, Dale Recinella ha concluso la sua testimonianza sull’accompagnamento alle persone condannate a morte negli USA, tenuta ieri sera, 22 ottobre 2015, all’Arsenale della Pace di Torino.

Sposato con Susan e padre di cinque figli, da quasi vent’anni presta servizio come cappellano laico cattolico nelle prigioni della Florida dove assiste i circa quattrocento uomini del braccio della morte e i duemila in isolamento detentivo a lungo termine.

Durante la sua conferenza, organizzata dal Comitato Paul Rougeau in collaborazione con la Caritas diocesana di Torino, Recinella spiega che negli USA sono 19 gli stati che non hanno la pena di morte; 7 di essi l’hanno abolita recentemente e questo – afferma ancora Dale – “è anche dovuto al rifiuto da parte dell’Unione Europea di continuare a fornire agli USA le droghe e le sostanze chimiche necessarie all’iniezione letale. A causa di questo provvedimento, altri 11 Stati della confederazione stanno tenendo una moratoria sulle esecuzioni, le hanno bloccate. In questi 11 Stati, inclusa la California, c’è la metà dei condannati a morte di tutta la nazione e proprio a causa dell’embargo, del divieto di portare queste sostante chimiche negli Stati Uniti, metà dei condannati a morte hanno la loro esecuzione bloccata. 5 degli stati che adesso hanno bloccato le esecuzioni stanno aspettando di poter abolire la pena capitale”.

Interpellato sulla possibilità di vedere un giorno la pena capitale abolita nel suo paese, Recinella risponde: “Stiamo arrivandoci un po’ alla volta, e per questo continuiamo ad aver bisogno delle vostre preghiere e del vostro aiuto. Qualcuno nei media dice che agli americani non importa nulla di quello che si pensa in Europa. Non credeteci, non è vero, la vostra opinione conta e anche il vostro rifiuto di permettere che questa mostruosità torni in Europa”.

“Una domanda che di solito pongo alle persone a cui racconto questi episodio è: per chi è? A chi giovano queste uccisioni? Chi ne trae beneficio? Alcuni dicono che questo viene fatto per i familiari delle vittime del crimine. È una bugia!”. Dale e la moglie da molti anni assistono anche i familiari delle vittime del crimine e sulla base di questa esperienza afferma che quando la condanna anziché a morte è all’ergastolo, i familiari della vittima iniziano subito a riprendersi, il loro processo di guarigione ha inizio. Quando invece la condanna è a morte la loro guarigione, il loro tentativo di riprendersi è come congelato per dieci, venti o trent’anni o per quanto tempo ci vorrà finché avviene l’esecuzione.

“Quando sono seduto nella stanza dei testimoni dell’esecuzione in prima fila – continua Dale – di solito c’è seduto alla mia destra un familiare della vittima del crimine… Viene aperta la tenda e viene letto il mandato di esecuzione e poi il direttore del carcere da inizio alla procedura e poco tempo dopo la persona viene dichiarata morta e la tenda viene richiusa. Ricordo una giovane donna che assisteva all’esecuzione dell’assassino di una sua cara zia. In quel momento balzò in piedi con i pugni alzati gridando con tutte le sue forze: ‘è tutto qui, è tutto qui quello che succede?’. Cosa era successo? Nel momento in cui lo Stato ha dichiarato morto quell’uomo, quella povera donna si rese conto che le avevano mentito. Non si sentiva meglio, guarita, non sentiva una chiusura al suo dolore, chiaramente l’esecuzione non ha riportato sua zia indietro e adesso aveva l’immagine di un’altra uccisione con cui avrebbe dovuto avere a che fare il resto della sua vita. Io inoltre leggo le dichiarazioni dei familiari delle vittime che vengono intervistate dopo un’esecuzione. Non dicono mai: ‘Sto molto meglio, sono guarito’, dicono solo: ‘Grazie a Dio, è finita. Adesso lasciateci in pace così possiamo cominciare a riprenderci’. Se la condanna fosse stata all’ergastolo la loro guarigione sarebbe cominciata una ventina di anni prima”. Dio non ci ha fatti in un modo tale che noi possiamo uccidere una persona alle sei e poco dopo sentirci bene. A volte, i lividi sui cuori anche delle guardie e del personale carcerario cominciano a manifestarsi fisicamente sul corpo dei loro familiari in casa, diventano violenti. Alcuni direttori di carcere che sono andati in pensione stanno iniziando a rompere il silenzio su questo tema dicendo appunto come la pena di morte rovina e massacra anche le guardie. Dale continua dicendo che nella sua esperienza la pena di morte non da niente a nessuno tranne forse ai politici che però non sono mai vicini a quanto accade, non vengono mai a contatto con questa realtà. Tocca, danneggia tutti quelli con cui viene a contatto. “Preghiamo perché possiamo liberarcene negli Stati Uniti e nel resto del mondo”.

Al termine Dale saluta Ernesto Olivero ricordando la sua precedente conferenza tenuta al Sermig nel 2005: “Sono stato qui nel 2005 per una lunga conferenza e a casa conservo una foto ingrandita del momento in cui Ernesto Olivero mi ha consegnato la bandiera della pace ed è bello essere di ritorno qua”.

All’incontro erano presenti Pierluigi Dovis, responsabile della Caritas Diocesana, Don Alfredo Stucchi, cappellano nel carcere di Torino e Karl Louis Guillen, ex detenuto nel braccio della morte in Arizona poi scarcerato in seguito al riconoscimento della sua innocenza. Maria Grazia Guaschino, vice presidente del Comitato Paul Rougeau, ha efficacemente tradotto le parole del relatore.

Dale Recinella
Nel braccio della morte
edizioni San Paolo

Simone Bernardi
Foto: Giovanni De Franceschi

 

 

 

 

 

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