La grande gita
Publish date 05-06-2018
di Fatima El Maliani - Due anni fa al Sermig conobbi suor Gabriela. Un mercoledì venne all’Arsenale e ci raccontò ciò che faceva in Romania, dei bambini che usavano la colla come droga per non sentire la fame e il freddo, dei bambini che non avevano un posto dove dormire e che molto spesso pur di guadagnare qualche soldo si prostituivano oppure lavoravano nella criminalità. Quella sera decisi che prima o poi sarei andata a Baia Mare ad incontrare e aiutare quei ragazzi.
Un anno dopo sono entrata in un collegio internazionale a Duino (Trieste) che promuove molti valori tra cui quelli in mezzo ai quali sono cresciuta al Sermig: il rispetto, l’educazione, il volersi bene, la pace e l’amore per la diversità. Mi ricordo ancora quando in un’assemblea un professore ci parlò della Project Week, una settimana in cui abbiamo la possibilità di andare in un Paese europeo per far conoscere i nostri ideali, valori e per fare un po’ di servizio.
Mi venne un brivido, ero felice. Avrei potuto rendere realtà quel sogno che avevo iniziato a coltivare, potevo andare in Romania. La sera stessa ne ho parlato con la mia compagna di stanza, e insieme ad un amico giapponese abbiamo organizzato la “grande gita”.
Eravamo in 13, nessun italiano. Siamo partiti da Trieste venerdì 2 marzo e siamo arrivati a Baia Mare sabato sera. Padre Albano è venuto a prenderci alla stazione e ci ha accolti a casa sua. Eravamo stanchi e siamo andati a dormire. Il giorno dopo, domenica, alle 11 c’era la messa ungherese. Siamo andati in quattro. Padre Henri, a cui ero stata presentata, saputo che ero musulmana mi aveva sorriso e baciato la testa. Padre Albano durante la messa ci aveva presentati al resto delle persone. Siamo stati riempiti di regali, ci hanno dato delle cartoline, delle rose di candela e delle palline colorate da mangiare. È stato stupendo vedere che le persone non erano irritate nell’averci nella loro chiesa, eravamo in quattro e tra noi c’era solo una cristiana.
Nel pomeriggio era in programma l’incontro con i ragazzi. Ci siamo poi spostati alla “Centrale”, il posto in cui viene fatta l’accoglienza e dove vengono svolte la maggior parte delle attività con i ragazzi. Ero in ansia. I ragazzi erano già arrivati. Li abbiamo raggiunti, già da fuori si sentiva la musica. Siamo entrati ed erano tutti nel salone a ballare. Ero un po’ intimidita, non sapevo se entrare nel salone e ballare con loro oppure stare ferma con la schiena attaccata al muro a guardarli.
Non avevo mai visto un trans-sessuale prima. Ho parlato con una/o di loro, Joanina. Lei stava sempre con noi in cucina, in realtà era un lui, ma nel momento in cui ci parlavo, mi sfuggiva completamente di mente il fatto che fosse trans perché era talmente simpatica e gentile, che reputavo meno importante il come apparisse. Lei era felice, forse non quanto penso si meriterebbe di essere, ma per lei quello era stare bene, e io ero contenta. Abbiamo servito da mangiare ai ragazzi, erano molto affamati. Arrivavano a mangiare anche tre o quattro piatti a testa.
Il giorno dopo, lunedì, abbiamo lavorato con suor Gabriela nella scuola di alfabetizzazione. La lezione si teneva all’interno di un container. Era molto carino: una grande lavagna, tanti disegni attaccati al muro, dei tavolini e delle piccole sedie. Mi ricordo ancora che quel giorno un bambino, Alex, mi era passato vicino e mi aveva tirato i capelli ridendo. C’ero rimasta un po’ male ad essere onesta. Suor Gabriela si avvicinò in seguito e mi disse che si era appena drogato. Quel giorno abbiamo disegnato con i bambini, mentre suor Gabriela stava con alcuni di loro a fare un po’ di matematica.
Quel lunedì ho conosciuto Sandu, un bambino di 10 anni credo che già a guardarlo si capiva che faceva uso di colla molto frequentemente. Sul momento sembrava essere molto aggressivo, ma subito dopo avergli proposto di colorare insieme si è tranquillizzato. La sera del giorno dopo ho parlato anche con Alex. Nel giro di un’ora aveva imparato a suonare una canzone con un bicchiere, era contentissimo, l’avrà suonata almeno 5 volte consecutive, mi ha abbracciata.
Questi bambini, per quanto siano in difficoltà, poveri e affamati, continuano ad essere bambini, ad aver voglia di giocare, di imparare anche solo a fare un po’ di musica con un bicchiere. Prima di parlare con suor Gabriela pensavo che Alex avesse 8 anni. Era piccolo di statura, portava giacche enormi, aveva sulla testa un cappellino verde come i suoi occhi e un sorriso riempito da denti rovinati. Scoprii successivamente che aveva 13 anni. Suor Gabriela mi disse che la colla gli aveva bloccato la crescita e che la mancanza di cibo non aiutava. Non mi capacitavo del come tutto questo potesse effettivamente essere vero, è stato incredibile vedere gli effetti che la colla ha sui bambini. Mi ha fatto arrabbiare il tutto. Non volevo crederci, siamo davvero fortunati.
Durante tutta la settimana, a pranzo mangiavamo insieme ai bimbi. Alcuni di noi aiutavano in cucina, altri cercavano di parlare con i bambini gesticolando, altri ancora cantavano con loro. Io cercavo di imparare a usare il kandama, un gioco in legno che quasi tutti i bambini avevano. Subito dopo pranzo ci spostavamo nel container per fare scuola e quella era la parte che mi piaceva di più, c’erano all’incirca 20 bambini ogni giorno. Disegnavamo e coloravamo, un giorno abbiamo fatto dei braccialetti con le perline, poi abbiamo giocato con il pongo.
Due volte a settimana ai ragazzi viene offerta la pizza da una signora che la cucina e gliela porta; ogni venerdì c’è un volontario di una grande azienda italiana in Romania che si è preso l’impegno di cucinare e portare la cena ai ragazzi di strada in centrale. La sera invece c’è un po’ di intrattenimento e la cena. Quello penso sia stato il momento in cui ho interagito di più con i ragazzi più grandi.
Suor Gabriela un pomeriggio ci ha portati a Craica, un quartiere di Baia Mare. Ci vivono quasi 200 famiglie in condizioni di povertà assurde. Una sfilza di baracche tirate su a forza con materiali di recupero, ai due lati di una ferrovia abbandonata da anni. I bambini piccoli giravano attorno a noi con delle scarpe giganti, che alla fine più che proteggerli impastavano neve sciolta mischiata a fango e terra con i loro piccoli piedi. Sandu ha voluto mostrarmi casa sua, sembrava orgoglioso di avere una casa, il come non sembrava un problema.
L’ultimo giorno a scuola abbiamo pitturato le facce dei bambini, volevano quasi tutti diventare spiderman, c’erano anche ragazzi che non avevamo mai visto prima, tutti ci chiedevano in rumeno di colorare le loro facce. Tanta felicità e allegria perché noi eravamo lì per loro: un’esperienza incredibile, indimenticabile, unica. Ho visto cose che non credevo esistessero realmente, ho parlato con delle bambine che per quanto piccole fossero, vivevano in condizioni nelle quali anche un adulto farebbe fatica a stare, ma loro sorridevano.
Il fatto di stare lì per una settimana mi ha fatto crescere. In Romania non ho fatto grandi cose, ho solo vissuto con i ragazzi, ho fatto quello che facevano loro. Ero contenta mentre lo facevo perché sentivo che stavo facendo del bene a qualcuno. Ed è proprio quando capisci che anche tu vali, che inizi a guardare oltre, impari che non c’è bisogno di soldi per rendere felici le persone, basta un po’ di compagnia, un pranzo assieme, una canzone suonata con i bicchieri, dell’energia e tanto, tanto amore da condividere.
Fatima El Maliani
NPFocus