Wrestling: Più è finto e più ci piace

Publish date 31-08-2009

by Mauro Tabasso

"Giocare al wrestling" è l’ultima moda. C’è anche chi ne ha fatto un CD…

di Mauro Tabasso


Hai un bell’essere un atleta dal fisico robusto e prestante, ma, secondo me, se ti arrivano quei 100 - 120 kili da un paio di metri d’altezza dritti dritti sul “pomo d’Adamo”, come minimo ti disfano - operazione chiamata in gergo informatico “undo” (è inglese, si pronuncia “andù” e significa “disfa”), solo che in un caso simile non c’è “redo” (“rifallo”) che tenga… Ti disfano e basta, senza appello. Se sei normale. Se invece sei nato su Krypton al massimo dai due colpetti di tosse e via. Un buffetto del genere non ha certo nulla a che vedere con una pepita di Kryptonite. Ma siccome la/le persone di cui sto per parlarvi non domano incendi con potenti sbuffi del loro apparato respiratorio, non combattono il crimine (almeno che io sappia), non si cambiano nelle cabine telefoniche ma in luminose sale trucco,

e soprattutto non volano alla velocità della luce, dobbiamo dedurre che non sono dotati di super poteri, ma sono persone normali, ottimi atleti, forse, ma normali, e ancora inspiegabilmente vivi. Sì, perché queste persone di legnate da 120 kili o giù di lì ne prendono una per ogni osso in ogni incontro che disputano.

Di chi sto parlando? Ma dei mitici atleti del “Wrestling”, disciplina che non so se definire sportiva o cinematografica, ma confesso che propendo per la seconda delle ipotesi, considerando questi sportivi sicuramente degli ottimi stuntman. Sono abbastanza indifferente alla televisione in genere, ma è un fatto che, così come accade per alcuni reality show, ogni settimana è proprio il Wrestling a incollare al televisore milioni di persone nel nostro Paese e nel mondo, soprattutto bambini e adolescenti, utenti che a volte fanno fatica a distinguere la realtà dalla fiction (“il Wrestling è finzione” come ha ammesso pubblicamente Eddie Guerrero - uno dei campioni più seguiti dai giovani - in occasione dei funerali di un collega improvvisamente scomparso). E come se non bastasse le recenti feste natalizie hanno portato una pioggia di pseudo-giocattoli e gadget (massicciamente pubblicizzati) dedicati proprio agli eroi di questo sport. Dai pupazzi ai videogames con tutte le vie di mezzo.

Tra queste, guarda un po’, perfino un CD. Il paladino della giustizia e della lealtà (così si spaccia, o lo spacciano) John Cena (si legge Sina), che accompagnato dai The Trademarc (è scritto proprio così) fa del suo grido di battaglia “You can’t see me!” il titolo dell’album, stroncato a sprangate dalla critica di mezzo mondo. Raramente un disco ha collezionato una tale pila di recensioni al vetriolo, alcune delle quali degne di un monologo di Beppe Grillo.Qualcuno ha perfino aggiunto pesanti insulti ai colpi di sbarra. E ora anche io sto per dare il mio modesto (e civile) contributo. Erano mesi che io e il fido Gianni (Giletti, quello della pagina qui a destra) meditavamo su come gestire al meglio lo spazio che l’illustre redazione di codesto giornale ci concede. Una delle idee era quella di parlare più che della “Musica che non c’è” proprio di quella che “non dovrebbe esserci”. Perciò cominciamo (senza soluzione di continuità, almeno per ora) a farci un nemico, anche se questo è particolarmente grosso e cattivo.

Alcuni autorevoli recensori hanno definito il contenuto del cd in questione un “simil rap/hip-hop goliardico e fracassone”, altri “la solita pappa riscaldata dell'ennesimo rapper finto arrabbiato e con la faccia da fighetto che farfuglia a caso sopra una base musicale cose senza senso compiuto”.

Insomma nessuno ha accolto troppo teneramente quest’opera, che però, fregandosene altamente, sta vendendo camionate di copie in tutto il mondo. Dal canto mio posso solo dire che secondo me il rap e l’hip-hop (per loro fortuna) stanno proprio da un’altra parte, e questo disco - esclusivamente riservato ai fan - non è che una fortunata, anche se discutibile, operazione di mercato. Anche noi qui, al Laboratorio del Suono, abbiamo fatto qualche prodotto più commerciale, se volete. Ma un disco come quello di Cena è veramente un gadget e basta: contenuto musicale/artistico che oscilla tra il meno infinito e lo zero assoluto. Una cosa che giova solo al portafogli (il suo). Eppure finché ci sarà qualcuno disposto a comprare un prodotto del genere, ci sarà anche chi è disposto a fabbricarlo.

E ancora una volta, dobbiamo tragicamente ammettere che abbiamo la musica che ci meritiamo, la televisione che ci meritiamo e anche il mondo che ci meritiamo. Uno dei migliori testi che Ernesto (Olivero - Direttore di questo giornale) ha scritto e io ho avuto l’onore di musicare recita così: Se cambio anch’io il mondo cambia… Se cambio io, il mondo ha cominciato a cambiare. Io gli credo, e voi?

 

 

 

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