Verdure al contrattacco

Publish date 31-08-2009

by Andrea Gotico


“Se i problemi della mafia sono percepiti dalla gente come problemi da osservare stando a rispettosa distanza e vinca chi può, senza lasciarsi coinvolgere più di tanto, chi ci guadagna è la mafia. A rimetterci sono i cittadini” ha detto Giancarlo Caselli* (dalla prefazione di “Le mani in pasta”, di Carlo Barbieri, Ed. Consumatori), ex procuratore capo di Palermo. Ci avviciniamo, allora, e cerchiamo di capire, con l’aiuto di una responsabile della cooperativa “Placido Rizzotto”.

di Elena Miglietti


 


Per contenere e poi sconfiggere la criminalità mafiosa è necessaria un’organizzazione che le si contrapponga, non solo nelle forme di repressione, ma anche con l’impegno della società civile. Le mafie, infatti, esercitano sul territorio un’egida di controllo, ponendosi in netto contrasto con la sovranità dello Stato, con la quale tuttavia riescono a coesistere. È un fatto inquietante, un effetto deleterio che rende la presenza delle mafie capace di inquinare il tessuto sociale ed economico.
Le mafie non sono più, purtroppo, un fenomeno locale di alcune sfortunate regioni; nel tempo la criminalità organizzata ha tessuto un fitto reticolo di investimenti che hanno attecchito in altre regioni, in Italia e all’estero.

Per colpire al cuore le organizzazioni mafiose si deve procedere ad una aggressione dei patrimoni illegalmente acquisiti. Il percorso legislativo in questo senso non è stato semplice né immediato: solo nel 1982 viene approvata la legge Rognoni - La Torre che introduce, per la prima volta nell’ordinamento, misure patrimoniali restrittive, quali il sequestro e la confisca dei beni ai mafiosi. Purtroppo allora, come spesso accade, la risposta dello Stato a tale proposta di legge fu tardiva e successiva agli omicidi di Carlo Alberto Dalla Chiesa e dello stesso Pio La Torre.

Pur nella sua innovatività, la legge Rognoni - La Torre colpisce sì i beni dei mafiosi, ma non ne disciplina il destino. Cosa che avviene solo nel 1996, con la legge 109, una legge sollecitata dall’iniziativa popolare: cittadini, associazioni e altre realtà sociali, non più disposte ad avvallare la violenza, l’ignoranza e la volgarità delle mafie. Si deve all’associazione Libera e all’impegno del suo presidente don Luigi Ciotti la raccolta di oltre un milione di firme, necessarie all’approvazione della legge. Nessuno dimenticherà più il momento in cui don Ciotti scaricò la montagna di firme raccolte su un’esile Irene Pivetti, allora presidente della Camera.

La legge 109/1996, approvata con voto unanime, rappresenta per la società civile uno strumento formidabile: essa infatti prevede l’utilizzo sociale dei beni confiscati alle mafie. I beni vengono recuperati dalla collettività cui furono illegalmente sottratti. L’esempio virtuoso dell’applicazione di questa legge è l’assegnazione di terreni e beni immobili confiscati a cooperative formate da giovani, che oggi producono olio, pasta, farina, vino, passata di pomodoro, legumi, con il marchio Libera Terra.

Il lavoro di queste cooperative nei territori ad alta densità mafiosa rappresenta un’importante contaminazione positiva di una cultura, quella mafiosa, che fa del controllo la propria ragion d’essere, che trasforma i diritti dei cittadini in favori concessi, naturalmente da ricambiare, prima o poi, in qualsiasi modo.
In terre che hanno visto da decenni i braccianti lavorare solo per chiamata diretta da parte dei gabellotti mafiosi, garantire a qualcuno di loro un lavoro regolarmente retribuito, con contributi versati e ferie maturate e riconosciute, rappresenta un esempio dirompente di come si possa fare impresa nell’assoluta legalità, di come una sana ed onesta economia sia un obiettivo non impossibile da raggiungere, che potrebbe rappresentare per molte regioni del sud d’Italia un determinante fattore di sviluppo.

La cultura mafiosa trae buona parte della propria forza dall’esistenza, e dalla persistenza, di banalissimi luoghi comuni: primo fra tutti quello che accredita alle mafie la capacità di creare ricchezza e quindi opportunità di lavoro. In realtà, la creazione di ricchezza esiste, ma solo a vantaggio dei singoli, i boss mafiosi, a svantaggio della collettività: sono infatti circa 180.000 i posti di lavoro regolari che le mafie sottraggono ogni anno alla società civile. L’esperienza di lavoro delle cooperative del circuito Libera Terra sta contribuendo ad alimentare un circolo virtuoso nel territorio di appartenenza.

La cooperativa Placido Rizzotto, ad esempio, collabora nell’entroterra palermitano con aziende che offrono servizi, con agricoltori disponibili a conferire alla cooperativa il proprio grano e con braccianti che chiedono di poter lavorare per la cooperativa, che garantisce diritti e salario equo. In cinque anni sono stati fatti diversi passi avanti, realtà come la cooperativa Placido Rizzotto, partita con un capitale iniziale di soli 25.000 euro, oggi rappresenta una realtà economica e produttiva di rilievo.

I bravi e coraggiosi ragazzi che hanno fatto una scelta ardita, oggi sono immersi in un quotidiano di lavoro dove non è più solo importante il valore simbolico della realtà che rappresentano, ma fondamentali sono l’andamento del raccolto, i costi di produzione, la prospettiva della distribuzione: impresa appunto! Finalmente sono uomini e donne che lavorano con la prospettiva di un futuro professionale, oltre che personale, e la consapevolezza di essere parte di un’azienda che ormai è, a tutti gli effetti, inserita nel mercato.

Per aiutare realtà come la cooperativa Placido Rizzotto in questo percorso, è nata nel maggio 2006 l’agenzia Cooperare per Libera Terra, costituita da circa quaranta membri (tra cui la Coop che distribuisce nella propria rete di vendita i prodotti Libera Terra) con lo scopo di agevolare la nascita e lo sviluppo di forme di imprenditoria cooperativa dedite alla gestione dei beni confiscati. Si tratta di uno strumento necessario, infatti molti giovani iniziano a riconoscere in queste cooperative una valida possibilità di lavoro nella propria terra: al bando per la selezione dei giovani da formare e che diventeranno i futuri soci di una nuova realtà nel Corleonese, hanno aderito più di 350 persone, quasi il triplo di quelle presentatesi nel 2001 per costituire la cooperativa Placido Rizzotto.

Dall’approvazione della legge 109/96 la situazione è evoluta. Molto rimane ancora da fare a livello legislativo, tuttavia il grande risultato sono l’adesione e il sostegno della società civile, che approva la volontà di affrancare l’individuo da ogni tipo di dipendenza, tramite il lavoro associato.












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