TRAPIANTI: un nuovo compleanno

Publish date 31-08-2009

by Redazione Sermig


Fanno discutere le dichiarazione di Gordon Brown sulle regole dei trapianti di organi. È possibile gestire un sistema sanitario nazionale in prospettiva etica? Parla il Direttore del Centro Nazionale Trapianti. Nefrologo, dal 1976 al 1997 Nanni Costa ha lavorato presso l’ospedale Sant’Orsola di Bologna, occupandosi tra l’altro di trapianto di rene. Dal ‘97 al ‘99 è stato coordinatore regionale delle donazioni in Emilia-Romagna e dirigente del servizio ospedaliero presso l’assessorato alla sanità della stessa regione. È Direttore del Centro Nazionale Trapianti dal febbraio 2000.

di Alessandro Nanni Costa


Gli orientamenti, le decisioni, gli equilibri da tener presenti parlando di etica dei trapianti sono davvero tanti. Credo perciò sia necessario anzitutto individuare una bussola etica: il trapianto di organi oggi non è una sperimentazione ma un programma terapeutico consolidato, al quale i pazienti hanno diritto. Ed i pazienti che hanno bisogno di un organo in Italia, in questo momento, sono ca. 9300.
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Un primo problema etico è relativo all’accesso alle liste. Infatti, se più o meno sappiamo chi e dove sono i 6500-7000 pazienti che attendono un rene (sono il 15-20% di quelli in dialisi), non abbiamo la stessa certezza per il trapianto di fegato (1500 pazienti in lista, ma quelli che potrebbero giovarne sono molti di più). Per il cuore, sono ca.700, ma sappiamo che il trapianto non è l’unica alternativa terapeutica. Quanto ai pazienti con una fibrosi cistica del polmone, un tempo morivano attorno ai 15-20 anni, oggi alcuni arrivano ad oltre 20 anni in attesa di trapianto e saranno sempre di più.
Allora, abbiamo il dovere di curare tutte le persone che ne hanno il diritto, anzitutto assicurando loro il massimo dei risultati: siamo di fronte ad un bene scarso, da usare nel modo più attento possibile. La nostra rete risponde a questa esigenza: la qualità dei trapianti italiani è probabilmente la migliore a livello europeo. Sta anche aumentando il successo: mediamente, a 5 anni, il 70-80% dei casi. È una terapia che ridà un’ottima possibilità di vita.

Un secondo tema: la volontà della donazione. Un dato europeo: non esiste nessuna correlazione tra Paesi che hanno un sistema di silenzio-assenso e incremento del numero degli organi; neppure è vero, al contrario, che tutti i Paesi che pretendono una scelta in vita ottengono migliori risultati. Li ottengono quei Paesi che riescono a portare la possibilità della donazione a quanti più soggetti possibile in morte cerebrale. Quindi il problema etico va affrontato con un’organizzazione sanitaria efficiente, che favorisca l’incremento dei donatori. Io non amo tanto l’idea di dono d’amore, ritengo che il dono degli organi sia espressione di una consapevolezza civica, intesa nel senso del civis, della comunità, per la quale io attuo una scelta consapevole, personale, in un momento difficile. Tante opposizioni al trapianto dipendono dal fatto che la gente ha paura di pensare alla morte. Perciò deve essere preparata, deve aver ricevuto informazioni, deve poter esercitare una scelta consapevole, non forzata. Pensiamo ad una crescita complessiva della società e del mondo della sanità che favorisca questo, ed otterremo maggiori risultati.

Dobbiamo anche dare motivo di fiducia a chi deve fare questa scelta. Come? Il familiare che perde un congiunto si fa tre domande: è veramente morto? Avete fatto tutto il possibile? Che cosa farete di questi organi? Se la risposta alle tre domande è affermativa, se il rapporto con l’ospedale e con i medici è stato positivo, se il familiare ha la certezza che degli organi prelevati si farà buon uso, è probabile che esprima volontà favorevole. Se il soggetto è stato trattato male, se il medico ha formulato la domanda con le mani in tasca, senza spiegargli come funziona il sistema e che uso poteva essere fatto di quegli organi, la volontà sarà negativa.

Il trapianto, dicono i giornalisti, è un evento fortemente notiziabile. L’abbiamo visto, in negativo, in occasione dell’incidente di Firenze (trapianto di tre organi infetti da Hiv, avvenuto nel febbraio 2007 al policlinico Careggi - n.d.r.): ci siamo trovati in prima pagina. Dobbiamo saperlo e far sì che tutto il nostro lavoro sia orientato verso una fortissima trasparenza. Solo così avvieremo quel cerchio positivo di fiducia per cui sarà normale il gesto di solidarietà. È l’unico modo con il quale conciliare la libera scelta delle persone e il diritto del cittadino ad essere curato (art.32 Costituzione).

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Un altro aspetto etico riguarda l’allocazione del bene scarso organo. Ci sono dei sistemi di tipo quasi automatico - riguardo al rene - basati sulla compatibilità genetica fra donatore e ricevente. Altri sistemi - per fegato e cuore - lasciano più margine di scelta al medico, ma si sta affermando anche per il fegato un sistema basato su parametri che individuano il paziente con più probabilità di morire e quindi che deve ricevere per primo. Le applicazioni dell’etica però dipendono molto dalle condizioni, non sono mai matematiche. Per esempio: se hai caratteristiche immunogenetiche che non sono simili a nessuno, non riceverai mai l’organo, rimarrai in lista d’attesa e sarai svantaggiato. Io credo che una persona abbia anche il diritto di giocarsi il suo 80% di probabilità di riuscita ad un anno, anziché l’89 o il 95%: non credo valga per ciò meno di altre persone.

Altro punto molto delicato: l’età. Anni fa, l’età massima per ricevere era attorno ai 50 anni, adesso è 70 anni, 65 per il fegato. Ma è giusto che un soggetto a 65 anni e 3 giorni non riceva più un fegato in urgenza, se ha mangiato dell’amanita falloide (fungo velenoso, distrugge le cellule del fegato con effetti spesso mortali - n.d.r.)? Io non ho dubbi: non è giusto. I limiti di età sono sempre destinati a saltare: 15 anni fa nessuno pensava che i 65enni potessero ricevere dei trapianti.

Altro aspetto importantissimo: l’accoglienza. Si pensi a quanto è difficile in tutta Italia parcheggiare vicino ad un ospedale, e sempre a pagamento. Se è così per l’accesso all’ospedale, pensiamo cosa vuol dire avere difficoltà per essere inseriti in lista di attesa, rimanervi anni, essere trattati diversamente perché nati in zone differenti d’Italia. In una parte d’Italia ci sono meno donazioni, meno trapianti. Così, i pazienti di queste regioni migrano nelle regioni dove ci sono più possibilità. Ma questo comincia a creare qualche conflitto, trattandosi sempre di allocare un bene scarso. Ecco perché, ancora una volta, il metodo migliore ed il più etico è aumentare i donatori.
Qualcuno potrebbe dire: facciamo una lista unica nazionale, facciamo viaggiare gli organi anziché i pazienti. Oggi non si fa, perché le regioni che hanno investito nel procurement non avrebbero più interesse a farlo, mentre le regioni che hanno investito meno non sarebbero stimolate a migliorare.
Però ai pazienti vanno date istruzioni chiare, vanno chiariti i termini delle liste di attesa, vanno ascoltati e indirizzati. Solo una ricerca comune, costante e condivisa ci può aiutare in questa direzione.

Un’ultima riflessione riguarda la sicurezza. L’episodio di Firenze ci ha profondamente toccato. Ma è un preciso evento sentinella, che deve far riflettere e responsabilizzare ognuno di noi. La persona che in laboratorio ha fatto l’errore ha auto-validato l’esame e non l’ha ricontrollato. L’errore perciò non è avvenuto in carenza di regole, ma in assenza del rispetto delle regole sulle procedure di controllo. Lavoreremo in tutta Italia su quest’aspetto, ma soprattutto sulla consapevolezza e responsabilizzazione dell’operatore sanitario.

Molti trapiantati festeggiano il compleanno il giorno del trapianto: il trapianto è davvero una nuova vita. Per questo l’organizzazione che lo regola deve basarsi assolutamente su principi etici, non astratti ma rispettosi delle necessità di chi ha bisogno di essere curato.

Alessandro Nanni Costa

I dati citati nell’articolo sono di maggio 2007.

Per approfondimenti:
trapianti.ministerosalute.it
donalavita.net

 

 

 

 

 

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