Solidarietà: la vera par condicio

Publish date 19-06-2015

by Carlo Maria Martini

Patxi Velasco Fano, Quando non lo hai fatto...Carlo Maria Martini – Qualche tempo fa ho consultato un compact disk, che contiene tutti gli scritti ed i discorsi di Giovanni Paolo II. Ho chiesto a questo le ricorrenze della parola solidarietà nei testi del papa dal 1979 al 1994 e la risposta del computer è stata: aspetta. Dopo qualche minuto che il computer continuava a dire attendi io pensavo di aver sbagliato tasto, non essendo molto pratico; dopo circa dieci o dodici minuti è venuta la risposta: oltre 24.000 ricorrenze di questa parola negli scritti è qualcosa di assai rilevante per una parola.
Il termine solidarietà è entrato da poco nel vocabolario ecclesiastico: si ritrova nel Vaticano II, nove volte in tutto e tra queste nove ricorrenze è significativa ad esempio quella del documento Apostolìcam Actuositatem, n. 14, dove sotto il titolo L'Ordine nazionale e internazionale dice così: «Tra i segni del nostro tempo è degno di speciale menzione, il crescente e inarrestabile senso di solidarietà di tutti i popoli, che è compito dell'apostolato dei laici promuovere con sollecitudine e trasformare in sincero affetto fraterno». È da un testo come questo nel Vaticano II che emerge la fortuna e l'uso di questa parola nel vocabolario ecclesiastico, in relazione al crescere dell'uso della parola del vocabolario civile a partire dal XIX secolo.

Noi sappiamo bene che quando una parola viene utilizzata molte volte in molteplici contesti, essa si espone al rischio di genericità e di ambiguità. Rischia di diventare un appello vano, puramente verbale. Ciò non toglie che questo vocabolo, malgrado tante discussioni e scetticismo al proposito, sia ancora oggi portatore di una grande capacità allusiva, tanto che è difficile trovare oggi qualcuno che si dichiari essere contro la solidarietà, se non nel senso di essere contro gli abusi che si possono fare di questo termine, per coprire forme di assistenzialismo o addirittura di spreco, ma il valore ideale della solidarietà rimane in se ancora fra i valori universalmente riconosciuti; la parola fa da sigla e da riferimento sintetico di un'unità e interdipendenza, che l'umanità è chiamata a riconoscere preliminarmente alle diversificazioni in cui l'umanità si articola. Mi pare che in questo senso, la parola solidarietà partecipa del destino di altre parole e categorie di respiro universale, come i diritti umani; parole pensate espressamente con l'intento di un elevata condivisibilità, entro un contesto di laicità e di un ampio pluralismo di idee.


Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico...

Mi limiterò a richiamare due icone bibliche particolarmente significative su questo tema: quella della parabola del Buon Samaritano (Lc 10,25-37) e quella del Giudizio Finale (Mt 25). È noto infatti che nella Bibbia non ricorre come tale la parola solidarietà, tuttavia l'idea e le sue istanze possono contare su numerosi riferimenti.
L'intera vicenda di Israele può essere letta alla luce della solidarietà di Dio che fa causa comune con i destini di quello che chiama ad essere il popolo, e suscita in esso la coscienza di un'unità del tutto inedita, radicata nell'alleanza.

Ma vorrei concentrare la mia attenzione sul brano di Luca, che mi sembra adatto per riflettere su una figura di solidarietà, quella che si attua nelle forme di immediatezza, dei rapporti brevi, delle relazioni faccia a faccia, dell'incontro con il volto dell'altro. Vorrei sottolineare qualche aspetto simbolico dell'icona biblica.
Anzitutto la vicenda narrata della parabola si svolge su una strada, quella che collega Gerusalemme, città santa, a Gerico, simbolo della città secolare, e la strada fra le due è il luogo della distanza, ma anche del collegamento tra le due città. Su questa strada camminano gli uomini, simboli dell'una e dell'altra città; cammina il rapinato, il samaritano, che probabilmente erano due commercianti che viaggiavano per i loro affari, camminavano il sacerdote e il levita, uomini di religione. La strada è quella realtà di vita comune dove tutti si ritrovano, ma è anche il luogo degli scontri, degli egoismi di gruppo, che giungono alla violenza, come quella dei rapinatori. È il luogo degli egoismi privati, o forse motivati da pretesti cultuali, come quelli del sacerdote e del levita, la stessa strada è anche il luogo della prossimità vissuta, come quella del samaritano. Perciò è nella vita quotidiana, nei rapporti della vita di ogni giorno, al di là delle ideologie e dei ruoli, che si gioca, anzitutto, la solidarietà. Essa richiede di uscire dai ruoli, di dimenticare le convenienze, per accorgersi di essere semplicemente, uomo o donna, essere umano.

La parabola dice di più, notando che il samaritano si fermò presso il ferito, non perché professasse principi di solidarietà sociale o teorie sull'uguaglianza di tutti gli uomini – su ciò tace il racconto – ma perché passandogli accanto lo vide e ne ebbe compassione, lo guardò nel volto e ascoltò il suo cuore. Nella conclusione della parabola, alla domanda: «Chi di questi tre ti sembra sia stato il prossimo di colui che è incappato nei briganti?», la risposta suona: «Chi ha avuto compassione di lui», anche se la parola compassione è oggi anch'essa sospetta, e non è volentieri messa in rapporto con la solidarietà.
L'espressione biblica indica che quest'uomo lasciò parlare il cuore, sentì dentro di sé fremere quel senso di comunione, di esigenza, di prendersi cura dell'altro, che è nel fondo di ciascuno di noi, quando non è soffocato da infrastrutture che accumulano diversità, pretesti, difese. Mi pare che ci venga detto qui che la solidarietà fa appello alle forze più profonde, più native, che sono dentro di noi, che superano tutti i confini storici, culturali, razziali, religiosi, per toccare le persone nel loro profondo.


Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il Regno...

Voglio fare un accenno alla seconda icona che ho ricordato, quella del Giudizio Finale, e in particolare in questa icona così nota di Mt 25, allo stupore di entrambe le categorie, sia quella della destra, che quella della sinistra, di fronte al fatto, alla parola del re che dice: «Ciò che avete fatto, o non avete fatto, a uno solo dei miei fratelli più piccoli, l'avete fatto o non l'avete fatto a me».
Leggo in questo stupore non soltanto una profonda dottrina teologica, su cui non insisto qui, ma anche uno stimolo a riflettere ulteriormente su un aspetto della solidarietà che supera quello della parabola del Samaritano. In essa si vede il volto dell'altro sofferente, qui invece si supera il volto immediato, per estendersi a ciò che esso significa simbolicamente, a tutte quelle situazioni in cui non si vede più, se non in qualche modo, il volto dell'altro. È il campo vastissimo delle relazioni sociali, di carattere mediato o istituzionale.
Infatti dentro ad una relazione in qualche modo istituzionale (ad esempio di tipo politico, amministrativo, economico, finanziario, lavorativo), comunque mediato da grandi istituzioni sociali, non è possibile vedere l'altro con immediatezza, incontrarlo, stabilire con lui un dialogo, lasciarsi commuovere da un volto. Non è possibile vedere l'esito del nostro operato. Tutto ciò potrebbe farci pensare che solo nell'immediatezza effettiva di un rapporto possa essere davvero vissuta la solidarietà. È un concetto abbastanza comune che la solidarietà sia dei volontari, di quelli che agiscono di buon cuore. La società come tale è altro.

Mi pare che proprio in una società come la nostra nasca questa sfida formidabile, quella di mostrare che anche l'agire faticoso e spesso frustrante di chi non riceve un riscontro immediato per la sua opera a favore di altri, abbia un senso, anzi sia di assoluta necessità.
Penso all'uomo politico che rischia di non vedere in che senso e in che misura il suo servizio possa veramente essere opera di solidarietà; all'uomo tentato di lasciare la propria sfera di responsabilità pubblica per altri settori di operatività più immediati e più promettenti, dove le proprie convinzioni gli sembrano poter trovare espressioni in forma quasi più pura e senza compromessi.
Penso a chi vive in modo esemplare ogni responsabilità di carattere secondario nella società: dal ricercatore coscienzioso che mette i frutti delle sue conoscenze a servizio del bene di tutti e non di se stesso; penso a chi esercita responsabilmente un lavoro manuale parcellizzato e spersonalizzato, senza poter vedere che anche la qualità del proprio prodotto può essere intesa come servizio di solidarietà effettiva con l'altro e con la società. Occorre quindi a mio avviso estendere la considerazione delle forme di solidarietà possibile anche a queste, forse meno immediate ed appariscenti, ma non meno preziose per la crescita della società tutta, che necessita di solidarietà a tutti i suoi livelli mediati e immediati. Anzi dobbiamo dire che le forze della solidarietà concernenti il secondo livello, quello mediato, vanno viste come indispensabile completamento del primo. Si tratta di due aspetti complementari di un'unica solidarietà.


La profezia del farsi prossimo

È proprio la logica del farsi prossimo anche là dove il mio prossimo è distante, o addirittura non realisticamente incontrabile fisicamente (pensiamo all'ambito dei rapporti internazionali), a farsi attivamente e efficacemente presente.
Occorre riconoscere il valore profetico realizzato dalle forme di solidarietà immediata verso gli ultimi, riconoscibili nelle molteplici attività di volontariato esistenti. Penso però che questa logica di profonda solidarietà non debba essere appannaggio esclusivo delle attività di volontariato, ma provocazione effettiva, perché non venga a mancare alla società intera questo apporto non superfluo, ma anzi essenziale e sempre più urgente.
Trovo una conferma a questo in Giovanni Paolo II nella sua lettera enciclica Sollecitudo rei socialis, forse uno dei testi più significativi per la società: «Quando l'interdipendenza viene così riconosciuta, la correlativa risposta come atteggiamento morale e sociale, come virtù, è la solidarietà. Questa non è un sentimento di vaga compassione o di superficiale intenerimento per i mali di tante persone vicine e lontane, al contrario è la determinazione ferma e perseverante di impegnarsi per il bene comune, ossia per il bene di tutti e di ciascuno, perché tutti siano veramente responsabili di tutti».
Si noti come, stando a questa definizione, la solidarietà tenda ad assumere il ruolo tradizionalmente assunto dalla giustizia, la virtù orientata per eccellenza al bene comune.
La solidarietà ha quasi il ruolo di virtù sociale fondamentale.
In questa luce vorrei concludere: solo se anche le trame complesse e articolate delle strutture economiche, giuridiche, sociali e politiche di un Paese saranno innervate dal riconoscimento delle solidarietà possibili – quindi doverosamente praticabili– che la solidarietà potrà dispiegare al massimo grado tutte le sue potenzialità.

Società nuova - Rubrica di Nuovo Progetto

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