Negli occhi dei bambini

Publish date 31-05-2013

by Gian Mario Ricciardi

di Gian Mario Ricciardi - Serve un colpo d’ala per ripartire dai cocci di un 2012 in frantumi.
È un anno di paure il 2012. Paure sconosciute: di perdere il lavoro a cinquant’anni e non ritrovarlo più. Un’angoscia che prima ti annebbia lo sguardo su presente e futuro, poi ti toglie la parola, infine la voglia di vivere. E sempre di più c’è chi non ce la fa e si uccide: imprenditori, artigiani e commercianti in difficoltà, ma anche operai impotenti di fronte ai fulmini micidiali di una crisi che non passa più. Cito solo il più agghiacciante: un padre a Brescia, pubblicitario che ha perso il lavoro e si lancia dal balcone con i due figli di 14 anni e pochi mesi. Loro che ne sapevano? Sono morti perché lasciati soli, anche da noi, in ogni paese, in ogni città.

Paure che crescono di potenza: di non poter avere un futuro normale e sereno. Così molti giovani rinunciano a lottare. È la cosa peggiore. Ma ci sono anche quelli che da Torino a Salerno si inventano professioni e riaccendono in sé e negli altri la speranza. Paure mai viste: di veder sfumare in una notte i risparmi di una vita, di non riuscire a passare la giornata con la pensione, di non farcela a superare ‘a nuttata. Tra gli anziani non si parla d’altro. Paure che il mondo impazzito divori tutte le certezze e travolga tutto. Sciocchezze da fine del mondo inventate. Paure che i folli, organizzati o isolati non importa, tornino a sparare come a Genova o facciano esplodere bombole di gas davanti alle scuole come a Brindisi spargendo ancora una volta il sangue degli innocenti. È un anno orribile il 2012 che riversa sull’Italia ondate di freddo mai viste, gelate improvvise, terremoti come in Emilia, alluvioni e all’inizio dell’estate un tempo bizzarro e imprevedibile. In frantumi va uno stile di vita: ci dicono di dire addio al posto fisso, slittano di anni le pensioni sognate, chiudono fabbriche per le quali avremmo messo le mani (tutte e due) sul fuoco. Crollano i consumi, si vive più in casa, si torna a riciclare vestiti e cibo come negli anni della miseria del dopoguerra.



Quando tutto traballa è più facile aver paura: per noi, soprattutto per i nostri figli e i nostri nipoti. Anche perché i grandi economisti (che sappia io) ci dicono cosa è successo ma sempre dopo, mai prima; perché l’Europa con troppi burocrati e nessuna unità politica combatte una battaglia impossibile nel difendere l’euro, ma a spese nostre.
Quando le ragioni del sorriso vengono meno tutto diventa più scuro, buio, triste, malinconico. E allora serve uno scatto d’orgoglio, un colpo d’ali, un atto di coraggio per trovare i primi segnali di speranza.
Ci sono
. Cerchiamoli nell’economia che, sia pure lentissimamente, decollerà di nuovo; nelle case cui la sobrietà ha restituito la voglia di parlare, di dialogare, di guardarsi in faccia ricostruendo quei rapporti mandati in mille pezzi dal troppo di prima; nelle scuole dove il coraggio e la genialità dei giovani stanno rilanciando stili di vita nuovi più puliti, più autentici; nelle chiese che in questo periodo di crisi hanno aperto porte e teso mani moltiplicando con la fantasia il “Caritas Christi urget nos” del Cottolengo; negli ospedali dove la ricerca ha fatto passi da gigante anche se sono ancora troppi quelli che muoiono di cancro; nella silenziosa rete della Provvidenza che permette di rifornire la Caritas e le borse della spesa delle parrocchie; negli occhi dei bambini che ci guardano così perché sono certi che usciremo dal tunnel.
Ci sono: cerchiamoli. Non dimentichiamo il grido che ha attraversato il mondo con Giovanni Paolo II: “Non abbiate paura, non abbiate paura”. Le liti, le meschinità, le invidie, lasciamole agli altri. Noi continuiamo a sognare e a costruire un mondo migliore. Instancabilmente.

Illustrazione: Giampiero Ferrari

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