Lettera dall’Africa

Publish date 31-08-2009

by Aldo Maria Valli

Con il suo primo viaggio in terra africana Benedetto XVI ha indicato a tutti, non solo alla Chiesa cattolica, la strada per aiutare davvero i Paesi che una volta si chiamavano in via di sviluppo e ora rischiano di ritrovarsi sulla via di una nuova colonizzazione.

di Aldo Maria Valli

Come amare l’Africa senza cadere in un terzomondismo di maniera. Sia in Camerun sia in Angola, il Papa ha riconosciuto i torti subiti da questi popoli e ha messo bene in luce tutti i soprusi di cui ancora oggi sono vittime, ma soprattutto li ha richiamati a un’assunzione di responsabilità. L’aiuto dei Paesi più ricchi resta insostituibile (e il pontefice li ha esortati al rispetto della promessa di devolvere lo 0,7 per cento del pil alla cooperazione internazionale), ma l’Africa deve trovare da sé la strada dell’emancipazione. A Luanda, capitale dell’Angola, rivolto a politici e ambasciatori, Benedetto XVI non ha fatto sconti: bisogna puntare sui diritti civili inalienabili, garantire amministrazioni trasparenti, estirpare la corruzione, permettere a tutti di accedere all’istruzione e alle cure sanitarie, assicurare nei fatti, specie con il diritto alla casa, quella dignità umana che attualmente è ancora troppo spesso calpestata.
In un paese come l’Angola, sfibrato da ventisette anni di guerra civile e ora lanciato verso una ripresa economica tumultuosa, le parole di Benedetto XVI sono risuonate come un ammonimento verso la classe dirigente, ma la stampa locale ha preferito glissare, puntando sugli aspetti più folcloristici ed emotivi. Con una crescita economica che tocca il 25% annuo e una produzione di greggio che le ha permesso di superare perfino il gigante nigeriano e di entrare a gonfie vele nell’Opec, l’Angola ha tutte le carte in regola per diventare un Paese florido. Ma finora la ricchezza resta appannaggio di pochi, mentre la gran parte della popolazione continua a vivere in mezzo a difficoltà indicibili. Per rendersene conto è sufficiente girare un po’ per la capitale. Le strade sono perennemente bloccate da migliaia di auto, molte delle quali fiammanti: grosse vetture straniere, suv imponenti, fuoristrada dai vetri oscurati. il Papa in Africa
Il paesaggio cittadino cambia di giorno in giorno. Palazzi di molti piani vengono costruiti a ritmi vertiginosi, contando anche su una manodopera a basso prezzo, per ospitare uffici di società straniere. Sportelli bancari appaiono un po’ ovunque. Eppure, percorsi pochi chilometri, ecco baraccopoli sterminate, spesso su montagne di rifiuti, dove i bambini giocano nell’acqua melmosa dei canali di scolo tra miasmi che lasciano senza fiato. Accanto al petrolio, i diamanti sono un’altra ricchezza di questo Paese abitato da 15 milioni di persone e grande quattro volte l’Italia. Ma anche in questo caso si tratta di una ricchezza avvelenata, che va a ingrassare i conti all’estero di pochi privilegiati senza beneficio per la gente del posto. Ecco perché il papa ha messo in guardia dalle nuove forme di colonialismo che rischiano di soffocare sul nascere le potenzialità dell’Africa. Il grande investitore è la Cina, ma che cosa resta ai bambini delle baraccopoli?
Il presidente Dos Santos, al potere da trent’anni, burocrate di scuola sovietica, dopo il successo nella guerra civile ha agito con grande spregiudicatezza, prima aprendo agli USA, poi allacciando rapporti privilegiati con Pechino. Ma tanta capacità imprenditoriale non ha coinciso con un’azione altrettanto decisa per sostenere un popolo uscito da un conflitto lungo e sanguinoso. Quasi non bastasse, l’Angola deve fare i conti con la minaccia subdola e devastante delle mine antiuomo. A milioni (qualcuno dice addirittura 15, una per abitante) sono rimaste nascoste nel terreno e continuano a mietere vittime. Ovunque si vedono mutilati, anche molto giovani, e se in città qualche forma di assistenza esiste, nelle campagne queste persone sono destinate all’abbandono. “L’opera di sminamento è molto costosa e richiede tempi lunghi”, spiega Danny Kavanagh, inglese, direttore del programma di bonifica “Saves lives, builds future”. La Comunità europea ha dato un contributo, ma ancora una volta la parola decisiva spetta ai governanti locali.
Le esortazioni che il Papa ha rivolto all’Africa sono state numerose e pressanti. Ha chiesto all’intero continente di non lasciarsi intrappolare dai tribalismi e dalle lotte etniche, ha raccomandato di rifiutare forme di spiritismo e stregoneria che sfociano spesso nell’abbandono di bambini di strada e anziani se non addirittura in sacrifici umani, ha chiesto il rispetto della donna e il riconoscimento della sua pari dignità raccomandando a padri e mariti di assumersi le proprie responsabilità. Benedetto XVI è entrato con delicatezza ma anche concretezza nei nodi di questo continente e le sue parole costituiscono una vera e propria agenda di lavoro oltre che un documento di grande forza spirituale. Ai giovani ha chiesto di scegliere senza paura la via indicata da Gesù, la sola che può assicurare riscatto, giustizia e autentica fratellanza. Dalla società e dalla cultura dominante arrivano richiami suadenti: libertinismo, sfruttamento sessuale, droga, relativismo morale. Ma se questa marea invaderà l’Africa sarà davvero difficile vedere la luce.
In tale contesto la Chiesa, specie in vista del prossimo sinodo speciale per l’Africa in programma in ottobre (il papa ha portato in Camerun il documento preparatorio) ha il dovere di dare una testimonianza coerente rispetto al Vangelo scegliendo senza esitazioni né compromessi la parte di chi non ha voce. Benedetto XVI ha ringraziato tutti coloro che operano in tal senso, ma ha anche messo in guardia da certi comportamenti e stili di vita che, in quanto a coerenza evangelica, lasciano molto a desiderare.
In Italia e in Europa il viaggio del papa è stato sulle prime pagine di molti giornali soprattutto per le affermazioni fatte dal pontefice durante il volo di andata, a proposito dell’uso del preservativo. La condanna della cultura “progressista” è scattata a comando, quasi non aspettasse altro che poter bacchettare il papa “retrogrado”. Ma Benedetto XVI non ha fatto che sottolineare una verità ovvia per chi non abbia paraocchi ideologici: il preservativo non è mai stato né mai potrà essere uno strumento adatto a combattere la diffusione dell’aids. Lo dimostrano tutti gli studi e, fra l’altro, la realtà di New York, dove la malattia si sta diffondendo nonostante una grande disponibilità di questi strumenti e la più larga informazione. L’aids lo si batte a monte, con la fedeltà coniugale e il rifiuto della promiscuità. Questo dice la Chiesa, questo ha ricordato il papa. E non è certo un caso che le accuse siano arrivate dai quei circoli culturali e politici che, sbandierando l’ideale dell’autodeterminazione, non perdono occasione di stendere sulle persone e sulla società il loro mantello di tenebra.

di Aldo Maria Valli
da Nuovo Progetto aprile 2009

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