Il Sindacato di Pope

Publish date 10-08-2012

by Aldo Maria Valli

di Aldo Maria Valli - Tempi difficili per la Chiesa ortodossa rumena, scossa da una contestazione interna senza precedenti. All’inizio di febbraio la Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo ha dato ragione a una trentina di pope schierati contro le alte gerarchie. I religiosi, ha stabilito la Corte, hanno tutto il diritto di riunirsi in un sindacato, chiamato Il buon pastore, istituito circa quattro anni fa nel sud-ovest del Paese per tutelare gli interessi della categoria, iniziativa duramente criticata dal patriarcato di Bucarest. “Il prete – si legge in un comunicato dei responsabili della Chiesa ortodossa rumena – non è l’impiegato di una compagnia e non può dunque fare sciopero. Non può disattendere alla sua missione, che è quella di battezzare i bambini, celebrare il matrimonio degli sposi e amministrare i sacramenti per i suoi fedeli, perché ritiene insufficiente il proprio salario. Il patriarcato ricorda che i salari dei religiosi non sono negoziabili, in quanto fissati dalla Stato”.

I pope, che in Romania ricevono dallo Stato metà del loro stipendio, mentre il resto è assicurato dal contributo dei fedeli, contestano anche per vie legali la presa di posizione della loro gerarchia, giudicandola contraria ai diritti dell’uomo. Tutto nasce dal fatto che, nonostante una diffusa ricchezza, ci sono grossi squilibri economici fra i livelli più alti della gerarchia e i religiosi impegnati sul territorio, dove i pope spesso vivono in condizioni difficili. Alla fede ortodossa aderisce l’87 per cento dei rumeni e l’influenza della Chiesa nella vita pubblica è considerevole. Dalla caduta della dittatura comunista, ventidue anni fa, sono stati costruiti quattromila edifici di culto grazie ai fondi pubblici, e nello stesso tempo la Chiesa ha incrementato il proprio patrimonio.

La caduta del regime comunista ha determinato il crollo del vecchio sistema di protezione sociale e molti rumeni oggi trovano aiuto nella Chiesa e nelle sue attività. Rientrata in possesso delle proprietà nazionalizzate, la Chiesa rumena dispone oggi di ottantamila ettari di terre e di foreste e il suo patrimonio è stimato in tre miliardi di euro. Nelle scuole la religione è materia obbligatoria e la Chiesa sta cercando di rafforzare ulteriormente la propria influenza, soprattutto in tempi di crisi. Sembrerebbe una situazione ideale, ma le differenze di reddito e di stile di vita hanno introdotto rivalità e rancori tra Chiesa alta e Chiesa bassa. Di fronte alla decisione della Corte di Strasburgo, il patriarcato ha espresso la propria collera in un comunicato, reso pubblico giovedì 2 febbraio, nel quale chiede l’aiuto delle autorità civili: “Noi speriamo che lo Stato rumeno contesti con forza questa decisione inadeguata. Siamo convinti che la Corte europea dei diritti dell’uomo correggerà la decisione concernente il sindacato, che non tiene conto del funzionamento dei culti religiosi in uno Stato democratico”. Ma per il momento il patriarcato è tenuto a versare ai pope sindacalisti diecimila euro di risarcimento.

L'inviato – Rubrica di Nuovo Progetto

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