Il segno di Giona

Publish date 14-08-2012

by gianni

di Gianni Giletti - Commento ai segni dei tempi per i discepoli che hanno dimenticato il pane.
I farisei e i sadducei si avvicinarono per metterlo alla prova e gli chiesero che mostrasse loro un segno dal cielo. Ma egli rispose loro: «Quando si fa sera, voi dite: “Bel tempo, perché il cielo rosseggia”; e al mattino: “Oggi burrasca, perché il cielo è rosso cupo”. Sapete dunque interpretare l’aspetto del cielo e non siete capaci di interpretare i segni dei tempi? Una generazione malvagia e adultera pretende un segno! Ma non le sarà dato alcun segno, se non il segno di Giona». Li lasciò e se ne andò. Nel passare all’altra riva, i discepoli avevano dimenticato di prendere del pane. Gesù disse loro: «Fate attenzione e guardatevi dal lievito dei farisei e dei sadducei». Ma essi parlavano tra loro e dicevano: «Non abbiamo preso del pane!». Gesù se ne accorse e disse: «Gente di poca fede, perché andate dicendo tra voi che non avete pane? Non capite ancora e non ricordate i cinque pani per i cinquemila, e quante ceste avete portato via? E neppure i sette pani per i quattromila, e quante sporte avete raccolto? Come mai non capite che non vi parlavo di pane? Guardatevi invece dal lievito dei farisei e dei sadducei». Allora essi compresero che egli non aveva detto di guardarsi dal lievito del pane, ma dall’insegnamento dei farisei e dei sadducei. Mt 16, 1-12


Un segno nascosto. Ecco il segno che Gesù da a chi ne pretendeva uno da lui. Chi si accorge di un uomo che per tre giorni resta nel ventre di un pesce, come successe a Giona? Eppure, uscito dal pesce, converte da solo una città intera, Ninive. Che valore hanno i tre giorni trascorsi da Gesù nella tomba? Eppure, uscito di lì risorto, cambia le sorti dell’umanità.

Gesù, allora come oggi, cambia il modo di vedere la storia dell’uomo, la storia di ognuno di noi. E non lo fa con un discorso sapiente, ma con l’esempio della sua vita. In questo brano mi colpisce a fondo la solitudine di Gesù, il suo non essere compreso. A pensarci bene, se lui è – e lo è – il figlio di Dio, Dio stesso sceso in terra, che ci faceva in un tempo oscuro come quello, in una nazione sicuramente non al centro del mondo, senza uno straccio di strategia di comunicazione per un messaggio così importante?
Lui che è Dio, non poteva scegliersi un tempo e un luogo più idoneo, più visibile, doveva proprio nascere in una stalla, da povero, doveva necessariamente non scrivere niente, lasciare ad altri la stesura e l’interpretazione del suo messaggio, sapendo che molti l’avrebbero travisato, doveva per forza finire in croce, accidenti? Torniamo sempre allo stesso punto, se lasciamo che la nostra “ragione”, il nostro “buon senso”, la nostra “visione equilibrata della vita” abbia il sopravvento. E invece Gesù insiste, continua a dimostrare che la vita vera è da un’altra parte. Guardando l’atteggiamento dei sadducei e dei farisei, mi viene in mente una frase molto dura che madre Teresa disse tanto tempo fa ad Ernesto Olivero: “Ognuno ragiona in base al marciume che ha dentro”.
Eppure Gesù non li fulmina sul posto, come avrebbe potuto fare. “Chiedete a me un segno dal cielo? A me? “. Sa che neanche se fosse sceso dalla croce li avrebbe convinti ed è questo che a Lui preme. Non schiacciarli, - per nostra fortuna - ma convincerli attraverso la sua persona. Per cui li lascia lì, aspetta.

Ma la solitudine di Gesù è profonda anche con gli apostoli, che gli vogliono bene, sì, ma che non capiscono. Lo lasciano solo, presi come sono dalle urgenze e dalle necessità della vita: non abbiamo preso il pane.

Quanta umanità in questa preoccupazione per il pane! Quanto ci riconosciamo oggi, dove centomila persone al giorno muoiono per la mancanza di pane. Ma allora tu Gesù, cosa vuoi da noi? Vuoi una vita disincarnata, lontano dalla realtà di tutti i giorni Vuoi che la nostra fede sia una fuga dai problemi quotidiani, che diventi un vuoto spiritualismo o la ripetizione meccanica di un rito?

E Gesù, che qui sembra un po’ seccato, ci dice, ma non vedete? Non vedete che non è il pane che manca a questo mondo, ma la vostra disponibilità a condividerlo? Quando vi siete fidati di me, vi è mai mancato? Mi ricordo di un amico di Ernesto, un po’ matto, che diceva: ma quando noi vediamo, cos’è che non vediamo?

Amici, per capire Gesù occorre essere buoni e disponibili e queste due cose non sono una caratteristica di qualche fortunato, ma una scelta che possiamo fare tutti. Non solo un sentimento, ma una volontà. Capire Gesù e seguirlo significa che l’altro divento io. E quando sbaglio, come vorrei essere trattato? E come vorrei essere capito, ascoltato, criticato, amato? Allora, se l’altro divento io, ecco la strada, quella che Gesù, imperterrito, mostra da duemila anni alla sua Chiesa, - cioè a noi- Chiesa che spesso fa le orecchie da mercante. La strada di Gesù è della piccolezza, della semplicità, della bontà. Della consapevolezza che non si può essere felici senza che lo siano anche gli altri. Gesù, ancora una volta, chiede a me e a ciascuno di noi, di avere fede, di alzare lo sguardo, di essere un piccolo pezzo di pane che tutti possano mangiare.

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