Era una notte che pioveva

Publish date 11-08-2012

by Mauro Tabasso


La pace si può costruire dal basso? Sì, persino in guerra. Natale in trincea.

di Mauro Tabasso 

 

Era il 24 dicembre 1914. Le truppe tedesche e i Camerons scozzesi si fronteggiavano nei pressi di Ypres, una piccola cittadina belga a ridosso del confine con la Francia. La pioggia fredda che cadeva ormai da giorni aveva trasformato le trincee in piccoli corsi d’acqua dai letti alti e fangosi. Si conviveva con il freddo, la fame e i topi. I soldati erano allo stremo delle forze, e il conflitto, la Grande Guerra, sarebbe durato ancora anni, ma erano già moltissimi i civili e i militari che avevano perso la motivazione, lo slancio iniziale. Si chiedevano perché dovevano ancora combattere, perché quella maledetta guerra dovesse ancora reclamare il sangue di qualcuno.
latreguadinatale.jpg Le munizioni scarseggiavano, così come il cibo e soprattutto il sonno. Le due trincee nemiche erano così vicine (poche decine di metri) che nel silenzio della notte le sentinelle potevano udire ogni sussurro del nemico. Era una situazione di stallo dove ognuna delle parti aveva timore di fare la prima mossa.

Tutti erano pronti a rispondere al fuoco ma esitavano a sparare per primi. A quella distanza anche la minima intraprendenza era destinata a essere punita con la morte. Ad un certo punto gli scozzesi presero coraggio e iniziativa, e un sottufficiale con quattro soldati sgusciarono, nell’alba ancora buia, fuori dalla trincea per tentare di guadagnare qualche metro. Arrivarono a meno di dieci passi dalla linea nemica, poi un rumore provocato involontariamente li tradì. Si buttarono a terra in mezzo al fango, attendendo la fine, certa, inevitabile. La reazione dei tedeschi sarebbe stata fatale. Ma i secondi passarono e non successe nulla. Divennero minuti e ancora nulla. Sicuramente erano stati uditi perché le sentinelle nemiche avevano cessato bruscamente le loro chiacchiere sommesse. Cominciarono a strisciare all’indietro nel fango. Metro dopo metro riuscirono a raggiungere la loro trincea e a sprofondarvi dentro. A quel punto il silenzio fu rotto dai passi fangosi e pesanti di un uomo.

Un soldato tedesco era uscito allo scoperto e stava camminando adagio nella terra di nessuno. Sembrava disarmato, e teneva le braccia lungo il corpo, staccate dai fianchi. Un vociare concitato sembrava fargli eco, e sembrava dirgli: “Sei diventato matto? Torna qui. Vuoi farti ammazzare? Presto, torna indietro”. Gli scozzesi cercarono di pensare velocemente. Che fare? Sparare? Abbattere quell’uomo apparentemente inerme? Poteva essere una trappola. L’enorme soldato si avvicinava alla trincea, bisognava decidere in fretta, ormai era a pochi metri. Parlava ad alta voce, lentamente, ma nessuno capiva il significato delle sue parole dai suoni così spigolosi, così appuntiti. Anche lui evidentemente non sapeva bene che fare. Sapeva di non essere stato compreso, e, forse preso dal terrore, si mise a cantare ad alta voce. Intonò un canto natalizio e con la voce tremante cercò in questo modo di stabilire un contatto pacifico con i nemici, nella speranza che essi comprendessero le sue reali intenzioni. Il sottufficiale scozzese, capoposto, era in preda all’isterismo, non sapeva qualera la decisione giusta da prendere.

Un suo subalterno, un insegnante che aveva moglie e figli a casa, lo tolse dall’impaccio; decise di tentare il tutto per tutto e con un salto balzò fuori dalla trincea, disarmato, anche lui con le braccia lungo i fianchi. I due si guardarono a lungo, il tedesco smise di cantare, attendendo la reazione dell’avversario. Lo scozzese non sapeva come farsi capire, come comunicare. Il tedesco riprese a cantare fissando l’avversario, che gli rispose… intonando a sua volta un canto natalizio scozzese. Quella sembrava essere l’unica lingua che entrambi capivano: un canto di pace, di amore, non importava l’idioma. Quello che esprimeva non poteva essere frainteso in nessun modo. Lentamente, il sottufficiale e così il suo omologo tedesco, seguiti da tutti gli altri soldati, uscirono dalle trincee, disarmati, ognuno unendosi al coro della propria canzone. Avvisati di quanto stava succedendo due ufficiali delle rispettive fazioni si recarono nelle trincee per decidere sul da farsi. Giunti là, videro le trincee abbandonate e i soldati in piedi nella terra di nessuno che cantavano, si scambiavano sigarette, si mostravano fotografie gesticolando per comunicare.

Vedendoli, soldati e sottufficiali piombarono nel panico, timorosi delle conseguenze che potevano derivare dall’aver fraternizzato col nemico, reato assimilabile al tradimento, e come tale punito con la morte. Gli ufficiali, sbigottiti e presi in contropiede dall’intera truppa, optarono fortunatamente per la via diplomatica e a loro volta… si misero a cantare. I tedeschi donarono agli scozzesi un barile di birra, che questi ricambiarono con del whysky. La giornata continuò tra canti, partite a calcio (alcune lettere dal fronte ne documentano perfino i risultati), fumate e bevute in compagnia, come si fa tra vecchi compagni di scuola, tra amici.

Nello stesso modo trascorsero diversi giorni (forse due settimane) prima che i rispettivi Stati Maggiori rompessero l’incanto della pace, quella pace cominciata dal gradino più basso, dalla truppa, con un canto natalizio e terminata con una tromba che suonava la carica. La fine della storia, poi, la conosciamo tutti. Ma quell’episodio, passato ai posteri come La tregua di Natale del 1914 fa ancora riflettere, sulla guerra, su tutte le guerre che si stanno combattendo. Tedeschi e Scozzesi cantarono perché non sapevano in che altro modo comunicare. Lasciamoci prendere anche noi dal desiderio di pace. Lasciamoci prendere anche noi da una melodia natalizia e teniamo nel cuore la sua magia, la sua commozione, la sua bellezza ineffabile, senza tempo, senza confini… Sinceri auguri a tutti voi.

 

 

 

 

 

 

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