Dimmi delle galere

Publish date 26-09-2012

by Davide Mosso

di Davide Mosso - Ho scritto queste righe tornato in studio dopo alcuni colloqui in prigione. La persona che assistevo, in carcere da un mese circa in custodia cautelare, mi aveva riferito di aver dormito i primi cinque giorni per terra e fino a qualche giorno prima in una cella sulla rete metallica (mancava il materasso). E che di fare una doccia non se ne parla.
Dettato dalla necessità di risolvere la questione sovraffollamento, entrò in vigore l’1 agosto 2006 un indulto, con il quale si condonavano tre anni di pena. Ad esso si sono sommati due altri provvedimenti: la sospensione condizionata per le pene sotto i due anni nel 2003 e, nel 2010, la detenzione domiciliare per le pene inferiori ad un anno.

Aver svuotato, con l’indulto del 2006, le carceri senza però modificare le leggi che generavano carcerizzazione pur in assenza di pericolosità sociale, o comunque di una pericolosità così spiccata da destare allarme, è stato come offrire un maxiprestito ad un imprenditore i cui affari vanno male, non intervenire sulle cause prime del dissesto e poi stupirsi che il prestito non sia servito a nulla ed il dissesto sia peggiore di prima. Le conseguenze di queste decisioni (e non-decisioni) in quanto a politica securitaria e penitenziaria non sono state e non sono da poco. Si pensi, ad esempio, alla Bossi Fini. Nel periodo 2002–2011 in cui è stata in vigore, essa non ha pressoché per nulla inciso sulla delinquenza e criminalità non comunitaria.

Applicata, com’è stato per la più parte, a badanti, muratori e prostitute clandestini, in ossequio alla statistica ed al fatto che era molto più semplice controllare ed arrestare costoro che gli stranieri illegali effettivamente pericolosi. Detto questo, che attiene però alle scelte politiche e di polizia, e rispetto alle quali a noi non rimaneva e non rimane, come operatori di giustizia, che l’azione delle eccezioni di legittimità e delle difese nel merito, vediamo se e cosa possiamo invece fare a fronte della condizione di illegalità nella quale versano gli istituti penitenziari italiani.
In questo senso l’obiettivo primo ritengo sia sensibilizzare a questo tema coloro i quali, magistrati del cautelare e della sorveglianza, su carcere e libertà sono deputati a prendere decisioni.

Non tutto è delegabile e non di tutto è responsabile solo e soltanto il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria. Al rispetto della legalità richiesta ai suoi cittadini, lo Stato deve rispondere con il rispetto della legalità da parte sua. E la carcerazione, tanto in esecuzione di pena detentiva quanto di misura coercitiva, è regolamentata da condizioni di legalità che vanno rispettate.

Così credo non si possa trascurare, nella valutazione sulla sussistenza dei presupposti che giustificano l’eccezionalità della misura carceraria, anche in che modo verrà svolta la detenzione e che debba essere applicato in concreto quanto previsto dall’articolo 2 del D.M. 5 luglio 1975, ossia che ogni persona in carcere debba avere a propria disposizione nella cella in cui è chiusa uno spazio di 9 metri quadrati se da sola, 14 se in due, ulteriori 5 per ogni persona in più. E comunque almeno 7 metri quadrati a persona e 4 aggiuntivi (cfr. punto 43 degli Standard del Comitato Europeo per la prevenzione della tortura). Poiché la mancanza di spazio personale costituisce “trattamento disumano degradante che viola l’art. 3 della Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti Umani”.

Al contempo le condizioni di detenzione devono essere rispettose di quanto statuito dagli articoli 6, 7 e 13 del Regolamento di esecuzione dell’Ordinamento penitenziario.
Temo ci vorrà tempo prima di realizzare, anche in Italia come è già nei Paesi civili, una lista d’attesa d’ingresso per i reati meno gravi quando il numero delle persone detenute raggiunga il limite massimo. Nel frattempo abbiamo però il dovere di fare ogni sforzo perché la permanenza nelle carceri del nostro Paese sia rispettosa dei principi enunciati nelle Convenzioni internazionali, nella Costituzione e nelle nostre leggi penitenziarie.  

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