ARGENTINA: ex granaio del mondo

Publish date 31-08-2009

by sandro


Nonostante la ripresa economica, il 47% della ricchezza nazionale è nelle mani del 10% della popolazione più ricca, mentre ci sono famiglie che vivono con 2-3 euro al giorno.

di Alberto Barlocci

Una volta si diceva che l’Argentina era il granaio del mondo. Carne e cereali sono prodotti in decine di milioni di tonnellate annuali. Eppure, in queste terre c’è chi soffre la fame: il 40% della popolazione è povera, gli indigenti sono 5 milioni, di questi 3,7 sono bambini. Famiglie che vivono con 2-3 euro al giorno, dove ciascuno consuma meno delle calorie giornaliere necessarie. E ciò innesta ciò che gli economisti chiamano le “trappole della povertà”.
Anche in piena crescita economica – come la attuale, dato che dopo la tragedia del 2001 l’economia argentina ha via via ripreso la marcia, ed oggi è in ripresa – i settori più poveri possono vedersi svantaggiati da un mercato la cui produzione varia secondo i prezzi più convenienti, passando magari dal grano alla carne, ma senza tener conto che i più poveri possono non essere in grado di accedere alla carne.
 Anche in Argentina si muore di fame. L’ultimo caso è quello di un bimbo di due mesi morto a Paranà. I medici dell’ospedale dove è stato ricoverato non potevano credere ai loro occhi: la pelle appiccicata alle ossa, il corpo coperto di scabbia, come il resto della sua famiglia: madre e quattro tra fratelli e sorelle. L’ultima ha 2 anni e pesa meno di 10 kg. La madre riceve due sussidi per 60 euro al mese. Vivono in una minuscola baracca di mattoni. Il mio latte non riusciva a nutrirlo, ha spiegato la madre, non senza un grado di confusione.
Lo stesso succede a Tucuman, dove migliaia di famiglie dipendono dal sussidio statale.
Generezioni intere di figli non hanno mai visto lavorare i loro papà. I soldi che entrano sono pochi, l’alcolismo impera. I casi di morti per denutrizione tre anni fa fecero scalpore. Ma lo scalpore lo fecero i giornali – mi spiega irritata una dottoressa di un ospedale pubblico –, perché noi questi casi li vediamo spesso. Le mamme aspettano fino all’ultimo momento prima di portare il figlioletto debolissimo – aggiunge –. Hanno già scelto chi dovrà morire.
Il deficit alimentare investe anche le famiglie delle tribu aborigene del nord. Da sempre emarginate ed ingannate. Nonostante la presenza di numerose lingue, e di grandi gruppi come i Toba, i Mapuche, Wichi, ecc. le loro lingue non si insegnano nelle scuole, i cartelli sono solo in spagnolo anche nei loro territori.
 Ma la povertà è anche una strategia applicata qui ed in altre provincie, (l’Argentina è uno Stato federale), spesso gestite in modo feudale. Me lo spiega un politico della provincia di Salta. Siamo 1,2 milioni di abitanti. Il turismo attrae moltissimi capitali, abbiamo gas, abbiamo minerali, ma il 50% della popolazione è ingiustificatamente povero perché... conviene. I poveri votano chi gli dà un sussidio, l’elemosina. Lo stesso accadeva fino a poco fa nella provincia di Santiago del Estero, dove la famiglia al potere per 50 anni impediva lo sviluppo economico.
Le fabbriche si spostavano nella provincia vicina, Catamarca, perché fortemente penalizzate dalle tasse – mi spiega una giornalista santiagueña – sai com’è, il lavoro ti rende indipendente. Le poche imprese, la banca locale, erano tutte nelle mani di un unico impresario amico della famiglia al potere. Quasi la metà della forza lavoro sono impiegati pubblici, obbligati a votare le stesse persone. Oggi questo circolo vizioso è stato spezzato grazie al commissariamento della provincia ed alle successive elezioni. Ma questo stile feudale che usa la povertà continua nelle provincie di Formosa, Corrientes. La Rioja, Catamarca, San Luis i cui governatori restano in carica per 12, 15, 18 anni. Da dove ricavano i voti? Dai poveri. Ossia, dalla fame.

Buenos Aires, ore 18,00. Frotte di impiegati escono dagli uffici per tornare a casa. Nel frattempo le strade si riempiono di cartoneros, quelli che vivono della carta e dei cartoni. Arrivano in treno, in infami vagoni sgangherati, con i loro carretti costruiti chissà come, provenienti dall’interland bonaerense. Vivono nelle centinaia di baraccopoli disseminate nei dintorni e nella stessa capitale. Rovistano tra i sacchetti, selezionano quello che è vendibile. La città si trasforma in una immensa discarica, uno spettacolo triste al quale il Comune reagisce con ben poca efficienza. Il risultato è una sporcizia che oltraggia la vocazione turistica della reina del Plata. Tra i sacchetti appaiono resti di cibi dei ristoranti. Inizia così il banchetto dei miseri, pezzi di carne, pollo, pasta. La gente passa e non nasconde la pena. Non è facile distrarsi davanti a tale spettacolo.

Il 40% dei bambini tra i 6 mesi ed i 2 anni soffre di anemia per mancanza di ferro. Il ferro è un elemento che interviene nel metabolismo cerebrale e, a seconda della severità del quadro, un bambino paga questa carenza col prezzo di una educabilità futura, chiarisce Sergio Britos del Centro Studi sulla Nutrizione Infantile. La lotta contro la fame è parallela a quella per l’educazione, aggiunge Juan Esteban Belderrain, direttore della Fondazione Claritas, che si dedica alla formazione di giovani alla politica. C’è un’emergenza alimentare, e c’è una emergenza educativa. Bisogna lottare sui due fronti, per ottenere che l’educazione rompa la spirale che condanna generazioni intere alla povertà.

 

È il frutto di anni di neoliberalismo selvaggio che hanno concentrato il 47% della ricchezza argentina nelle mani del 10% della popolazione più ricca. Il problema infatti non è solo generare crescita economica, ma che questa si redistribuisca in modo più equitativo, aggiunge Cecilia Di Lasci, presidente del Movimento Politico per l’Unità, una ong attiva nella società civile e che coagula politici di differenti partiti attorno alla costruzione del bene comune. Il nostro impegno è generare lavoro produttivo che aumenti le entrate delle famiglie – sono parole di Daniel Arroyo, viceministro del dicastero per lo Sviluppo Sociale –. Il nostro ruolo, in quanto Stato, è di dare un pesce, insegnare a pescare ed anche far sì che ci sia pesce nella laguna, uno sforzo nel quale Stato, imprese private e società civile dobbiamo lavorare insieme. È la grande sfida di questo immenso e stupendo Paese.


di Alberto Barlocci
da Nuovo Progetto novembre 05




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