Lettera agli amici - 21 novembre 2013

Publish date 29-11-2013

by Ernesto Olivero

Cari amici,

inizio a scrivere questa lettera a San Paolo, all’Arsenale della Speranza, e il primo pensiero che mi sale da dentro è ringraziare, pensando a quanto bene abbiamo ricevuto in Brasile. Dom Helder Camara era brasiliano; ci ha voluto bene e ci ha visto con gli occhi di Dio quando ancora balbettavamo. Poi dom Luciano Mendes de Almeida, che ci ha amato tanto anche lui e ci ha guardato con gli occhi di Dio dal primo attimo. Un attimo ancora presente, perché i miei, i nostri cari amici Lorenzo, Simone, Gianfranco e Marco sono in Brasile. E profumano di Cristo. Sono diversi l’uno dall’altro, ma tutti sanno di Cristo. Dal Brasile vedo tanti amici a Torino, in Giordania e in giro per il mondo che hanno lo stesso sapore. E vorrei che ognuno di noi, cari amici, ovunque siamo, qualunque sia la nostra età, la nostra condizione di sposati o di consacrati… avesse il sapore di Cristo. Questa lettera è per ringraziare con voi Dio Padre perché ci ha dato Gesù, e per aiutarci a profumare di Lui.

Proprio qui, in Brasile, ho capito fisicamente quanto il mondo corre verso il male. Una parte di mondo si è fatta un dio a sua misura, un’immagine, una proiezione delle proprie voglie, dei propri egoismi. Ma Dio è Dio. Proprio qui in Brasile ripeto con forza che noi vogliamo vivere nel Dio vivente, nel Dio della Scrittura, alla sua presenza, in ogni momento. Le mafie del potere che vivono in tanti palazzi, nell’ombra, credono di poter fare quello che vogliono; lo possono fare, ma solo nel male. A volte hanno usato Dio per confondere e non possono vedere chi fa il bene, non lo possono sopportare. Ma anche nei momenti di paura sento che il meglio di noi deve ancora venire alla luce, che quello che abbiamo vissuto finora è solo la punta di un iceberg sommerso.

Penso a quanto Dio Padre è contento di avere scommesso su di noi, sulla nostra buona volontà, sul nostro sì. Forse potremo ancora crescere di numero, diventare tanti; ma il nostro segreto è essere sempre uno ad uno davanti a Dio, andare a due a due senza bisacce, senza sicurezze, non forti ma innamorati di Dio, lasciandoci amare da Lui.

Non cadiamo nella trappola di pensare che il nostro sì - da sposati, da consacrati, da giovani, da adulti, da anziani, da preti - sia il sì che ci dà tranquillità. Molti vivono un sì che non ha un “oltre”. Allora è una trappola. Ti fa vivere nel tuo piccolo respiro, nel tuo piccolo angolo. Quello che vedo io è un sì che va oltre, quando percepisci di vivere dentro un’immensità della mente e del cuore. Quel sì-oltre non teme nulla, perché trasforma in opportunità qualsiasi tragedia che la vita ci fa incontrare.

È il sì degli amici che in qualsiasi posto sono a casa, che vivono perennemente davanti all’oltre che va oltre la sicurezza, la certezza, un oltre che nulla e nessuno potrà mai toglierti.
È il sì del Signore, che mi dice di desiderare che il mio sì non trovi mai sicurezza.
Solo sperimentando l’oltre ci accorgiamo quanto sia soffocante il sì-trappola.

Il sì-oltre ci fa vivere un amore senza confini. Non siamo mai a posto come vuole farci credere il sì-trappola. Nessuno è a posto fino a che ci saranno tragedie, guerre, dolore, violenza.

Solo il sì-oltre ci fa ascoltare una ad una, come se fosse l’unica, le persone che bussano alle nostre porte, che riversano su di noi il loro buio, che ci mettono in difficoltà, che ci possono infettare, che possono portarci morte.

Diamo da dormire a tantissime persone ma non c’è posto per tutti quelli che chiedono. Piangiamo per chi resta fuori e non ci viene da sentirci a posto perché più di mille sono entrati e per questa notte dormono al caldo. Piangiamo per l’unico che è fuori, portiamo al Padre il nostro pianto e piangeremo fino a quando il mondo intero non sarà nel sì, fino a quando ogni cristiano, ogni uomo di buona volontà non si farà abitare dall’oltre, fino a quando qualcuno che soffre resta fuori senza essere consolato.

Tutte le volte che restituiamo le nostre forze quando non le abbiamo, la speranza quando non la abbiamo, ci accorgiamo che il Signore vuole allargare la nostra vela. Vuole Lui stesso diventare vela che ci porta, farci sentire il vento del suo Spirito che ci spinge oltre, oltre, per farci scoprire che la felicità è solo far felici gli altri.

Il Signore ci guarda, e credo che dica: “Ho fatto bene a scommettere su di loro”. Essere guardati da Lui è la più grande felicità. Come vorrei che tutti potessero dire: a me capita, ho capito che non si può essere felici da soli, che ogni tristezza, ogni angoscia può trasformarsi in un’opportunità se mi fido e vado oltre. Oltre me stesso, oltre le mie forze. Oltre.

Il nostro “oltre” è in Dio che ci sazia delle sue consolazioni, ci fa partecipare della sua gloria (Is. 66,10-13). Il nostro “oltre” è in Gesù che ci assicura: “La gloria che tu hai dato a me, io l’ho data loro perché siano una cosa sola come noi siamo una sola cosa” (Gv.17,22).

Vorrei che fosse il nostro desiderio più intimo in questo tempo che ci separa dall’8 dicembre e da Natale, il modo migliore di prenderci cura della nostra vocazione, il modo migliore per entrare nella sintesi della nostra storia: diventare semplicemente cristiani. La nostra storia è la cosa più bella che ci potesse capitare. Non facciamola diventare abitudine, pretesa, predica.

Impariamo sempre più a servirci tra noi, a lavarci i piedi gli uni gli altri. Nei fatti. Farlo a parole ci fa entrare nell’ipocrisia che ha già affossato tante vocazioni e può affossare anche le nostre. Impariamo a vivere nello stupore: ogni giorno è un giorno nuovo, lo aspettiamo per amarlo, per fasciarlo di preghiera e di tanti gesti.

Siamo patrimonio di Dio e vorrei che Lui potesse essere contento di noi, di noi famiglie, di noi consacrati, di noi giovani, di noi adulti. Vorrei che potesse commuoversi di noi, perché ognuno mette tutto se stesso nel cercare di servire, aperti 24 ore su 24 per Lui, veramente solo per Lui.

Cari amici,

stiamo vivendo un’avventura di Dio. Grazie a Dio vi vedo infaticabili. Sempre stanchi ma felici. Sono commosso di voi e con questo spirito vi benedico, chiedendo a Dio e a voi di benedirmi con lo stesso spirito.

Ernesto Olivero

San Paolo - Torino, 21 novembre 2013
Presentazione della Beata Vergine Maria



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