Vicini di casa

Publish date 11-08-2012

by Renato Locatelli

di Renato Locatelli - Rom, un popolo senza un proprio territorio, le cui radici vanno ricercate nel Pakistan ed in India da dove secoli fa iniziarono una lenta migrazione. Cacciati, perseguitati (500.000 furono uccisi dai nazisti), oggi sono presenti a piccoli nuclei nelle nostre città e sembrano essere un pericolo per la nostra sicurezza.
Tre anni fa scoprii che il comune di Faenza, la mia città, aveva collocato alcune famiglie rom a meno di 1 km da casa mia. Prima avevano vissuto per anni sull' argine di un fiume che lambisce Faenza, ma la vista del degrado di tale sistemazione, roulotte fatiscenti e furgoni tutto fare, aveva creato non poche proteste da parte di molti cittadini per cui l' amministrazione decise di spostarli in piena campagna. Eravamo sotto elezioni e risultava politicamente utile dire di aver rimosso il problema rendendoli semplicemente meno visibili. Gli autori della protesta si trovarono poi di nuovo in contrasto con il Comune a causa della costruzione di un' enorme antenna per la telefonia mobile sullo spazio in precedenza occupato dai rom ed esposero uno striscione con la scritta: Non vogliamo lantenna, ridateci gli zingari. Siamo proprio strani!

Allinizio pensai che la loro presenza vicino a casa mia era un imprevisto che non mi riguardava, ma poi ho capito che potevo interessarmi delle loro condizioni. Sentivo che dovevo andare a trovarli, a conoscerli, ma quale scusa trovare, come spiegare la mia intrusione? Se poi avessero preso male la cosa, come sarebbe finita? Un giorno presi il coraggio a due mani ed imboccai in bici il viottolo sterrato che porta alla loro baracca. Mi avvistarono quando ero ancora a 300-400 metri e subito comparve una frotta di bambini seguiti poi dagli adulti. Inventai la scusa che mi ero perso e loro molto premurosamente mi indicarono come ritornare verso casa mia. Credo che a questa mia frottola non ci abbiamo mai creduto, ma tantè, rompemmo il ghiaccio.

Il giorno dopo ritornai con la fotocamera digitale e tutti i bambini si misero in posa per farsi riprendere e successivamente portai loro le stampe come avevo promesso. A quel punto alcuni bimbi corsero dentro la baracca e ne uscirono con le cartelle di scuola. Vidi quaderni ordinati come mai avrei pensato di trovare lì. Il ghiaccio era rotto. In seguito in più occasioni ho dato una mano al padre nel portarli a scuola, finché il Comune non ha concesso una deviazione al percorso dello scuolabus che dalla campagna va in città. Da tre anni a questa parte non hanno mai saltato un giorno di scuola, salvo per malattia. Una frequenza favorita dalla residenza fissa. I figli dei rom, costretti come sono a spostarsi da una città allaltra, difficilmente hanno la possibilità di frequentare la scuola.

Si dice che non hanno voglia di lavorare, ma quando, poco dopo averli conosciuti, andai con alcuni amici ad aiutarli a fare pulizia nel loro campo (uno spiazzo di terra dove avevano costruito una baracca), anche loro, compresi i bambini più piccoli, si misero con noi a raccogliere i rifiuti sparsi in giro. Credo che se noi ci sforziamo di conoscerli meglio, se ci accostiamo come amici, loro rispondono alla stessa maniera, pur restando le enormi differenze di mentalità, di carattere, specie per gli uomini che sono veramente lo zoccolo duro. Hanno un forte senso della famiglia, del clan e, anche se le liti al loro interno sono frequenti, vi è un forte spirito di ospitalità e di reciproco aiuto. Se diventi loro amico e lo dimostri con i fatti non con le chiacchiere, in un certo senso ti adottano. In occasione di alcuni problemi nella mia famiglia ho ricevuto da parte loro più attenzioni di quante ho avuto da conoscenti ed amici.

Questa adozione comporta però il fatto che quando loro hanno un problema si rivolgono a te come a tutti i loro parenti, ad ogni ora del giorno e, a volte, anche della notte. L' abitudine di non programmare un minimo la loro vita fa si che vivano alla giornata, in una forma di precarietà permanente che è estranea al nostro modo di pensare, anche se oggi cresce il numero di chi tra noi deve far fronte alla precarietà. Questo comporta che da loro viene ogni giorno un problema, una richiesta, ed a quel punto, non resta che accogliere l' imprevisto, e cercare di fare il possibile.

Questi miei vicini vivono raccogliendo rottami (in passato ne hanno anche rubato) ed ho convinto il capofamiglia a regolarizzare la sua posizione con partita IVA, licenza comunale per il commercio ed iscrizione alla Camera di Commercio. Pensavo che con le carte in regola le cose sarebbero state più agevoli, ma a quel punto ho toccato con mano l' ipocrisia del nostro ambiente. Tutte le aziende, che producono scarti che vanno in rottamazione, alle quali ci siamo rivolti, hanno chiuso la porta giustificandosi con i rigori della nostra legislazione in tema di recupero e trasporto rifiuti, pratiche burocratiche a misura di grandi imprese e con un costo non sostenibile per un piccolo rottamaio.

Abbiamo incontrato anche qualche grossista di rottami che ha rifiutato di acquistare da questo rom il poco ferro che riesce a raccogliere, giustificandosi dicendo che non vuole aver a che fare con gli zingari. Non cè da meravigliarsi se avvertono un odio nei loro confronti da parte della nostra società. È innegabile che certi loro comportamenti e la difficoltà a recepire e rispettare le regole del nostro modo di vivere non attirino simpatie, ma questo giustifica certe chiusure?

Dopo tre anni l' unico risultato visibile è la frequenza scolastica dei bambini, il loro livello di vita non è cambiato. Troppo poco, verrebbe da dire. Forse il vero risultato sta nel gruppo di persone che, con varie modalità, hanno iniziato a guardare con occhi nuovi questi rom, a vedere in loro non un problema ma degli uomini, donne, bambini come tutti noi. Queste persone forniscono un supporto, sono disponibili a conoscere questa realtà e danno il proprio contributo di idee e proposte per costruire una via basata sulla testimonianza di una convivenza possibile.
Renato Locatelli
 
 
 
 

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