Una generazione da salvare

Publish date 31-08-2009

by Loris Dadam


Il male dell’Italia, e la causa fondamentale della sua crisi nello sviluppo economico e civile, è l’emarginazione dei giovani dai posti di responsabilità da parte di una generazione di sessantenni abbarbicati ai loro posti di potere.

di Loris Dadam
  
  
Il male dell’Italia, e la causa fondamentale della sua crisi nello sviluppo economico e civile, è l’emarginazione dei giovani dai posti di responsabilità da parte di una generazione di sessantenni abbarbicati ai loro posti di potere.
A questa tesi la rivista Time ha dedicato di recente una copertina con il titolo: Mentre una Nazione stanca sceglie fra due vecchi leader politici, quando potranno quelli di età inferiore ai 40 anni mostrare quello che sono capaci di fare?
Il nostro Paese sta diventando un Paese di vecchi. Anzi, già oggi è il Paese più vecchio, con un tasso di nascite di 1,3 bambini per donna (erano 2,7 negli anni ‘60) che non è in grado di rimpiazzare i decessi. Nel contempo, negli ultimi dieci anni, i pensionati sono passati dal 23% al 28% e, se il tasso di nascite resta invariato, nel 2040 saranno più della metà della popolazione.
In Italia ci sono oggi 16,3 milioni di pensioni, di cui circa 5 milioni vengono incassate da pensionati tra i 40 e 60 anni. I lavoratori sono 17 milioni, di cui 3,5 dipendenti pubblici, che non creano ricchezza in quanto pagati dalle tasse. Ne consegue che i rimanenti 13,5 milioni di lavoratori produttivi mantengono 16,3 milioni di pensionati vari, con una media di 1,2 pensionati per lavoratore produttivo.
Si dirà che le pensioni vengono pagate dai contributi versati dal pensionato quando lavorava, ma non è così: nel 2004 lo Stato ha trasferito all’INPS circa 49 miliardi di euro pari a circa il 5,1% del PIL e all’11% di tutti i salari produttivi (1,6 milioni di salari lordi!).

Ovviamente, si dirà che non è colpa di nessuno se, immediatamente dopo la guerra, c’è stato il baby-boom ed ora questi hanno raggiunto tutti l’età della pensione. Questo sarebbe solamente un problema economico se si trattasse di un fisiologico cambio generazionale, dove i giovani succedono ai padri e producono per garantire loro una serena vecchiaia. Ma così non è. Non c’è stato alcun cambio generazionale.
La gerontocrazia che consuma le risorse mantiene saldamente in mano le redini del potere creando una vera e propria barriera all’ingresso dei giovani ai posti di governo. Lo scontro generazionale c’è sempre stato, in tutte le epoche, solamente che quello odierno viene gestito da una generazione di furbastri che ha imparato le tecniche del consenso negli anni post-sessantotto. Hanno capito che riprodurre il tradizionale rapporto autoritario padre-figlio creava solo ribellione, ed hanno scelto una strada molto più soft: si educano i figli alla pratica del reclamo nei confronti dello Stato e, nel contempo, li si mantiene in casa fino all’età avanzata.

Più dell’80% dei maschi fra i 18 ed i 30 anni vivono con i loro genitori, felici di avere chi si occupa dei loro problemi correnti come cucinare, lavare, stirare e, nel contempo, sono liberi di trascorrere il loro tempo e spendere i loro soldi (pochi o tanti) come vogliono.
Questo prolungamento artificiale dell’infanzia dei propri figli è il sistema usato dalla generazione del sessantotto per evitare che il proprio potere venga messo in discussione ed è la causa di disastri immensi, umani e sociali.
Congelare una generazione negli anni di maggior energia ed entusiasmo significa privare il Paese della speranza di futuro e della fantasia necessaria per crearla. Anche la cultura consumata da questi giovani-vecchi è solo una variante revivalistica di quella dei padri post-sessantottini: dalla musica ai giornali, dal cinema fino al corteo No global, dove sembra confermata la profezia di Marx che nella storia lo stesso avvenimento si presenta una prima volta come dramma e la seconda come farsa.

Anche il calo demografico è il risultato di questo fenomeno: Francesco Billari, professore di demografia alla Bocconi di Milano spiega che in Europa Occidentale il calo demografico è causato dal fatto che i giovani sono troppo occupati nel realizzare i loro obiettivi di carriera per sopportare il peso di allevare bambini, mentre in Italia è esattamente il contrario: un’adolescenza prolungata che fa del maschio italiano quello che ha il primo figlio all’età più avanzata in tutta Europa, in media a 33 anni.
Gli Italiani sono quelli che si assumono le responsabilità dell’età adulta, andarsene di casa, sposarsi, avere figli, più tardi di ogni altro. Ma, mentre il tempo passa, senza lavorare, oppure con un lavoro precario mal pagato, ma integrato dalle mance della nonna, il senso di essere perennemente sotto tutela cresce e l’adolescenza protratta diventa un malessere da vecchiaia precoce, senza aver maturato un ruolo nella famiglia e nella società.
Fra il 1995 ed il 2001 l’occupazione nella fascia d’età tra i 15 e i 24 anni è diminuita del 14,5% e, nel 2001, il 23% faceva lavori temporanei. Più di un quarto dei più giovani e un sesto dei trentenni lavora ormai a termine, adattandosi a mestieri di bassa qualifica.

Nel suo articolo il Time sottolinea come in Italia non vi siano giovani leaders a cui affidare il futuro ed una delle maggiori cause di disperazione sia la scarsa prospettiva di ricambio ai vertici. Chiunque abbia vinto le elezioni, Berlusconi di anni 69 o Prodi di anni 63, la gioventù del Paese resterà esclusa dalle strutture di potere, non solo dal governo, ma anche dalla maggior parte delle istituzioni che determinano la vita della Nazione.
Per evitare qualsiasi forma di concorrenza da parte delle nuove generazioni, tutti i posti da dirigente sono assunti per cooptazione dall’alto, in una struttura diffusa di corporativismo, clientelismo e nepotismo, tesa solo a difendere chi ha già il posto: nei partiti politici, nei sindacati (dove ormai i pensionati sono la maggioranza degli iscritti), nelle università (dove c’è la più alta percentuale al mondo di professori ultra-sessantenni, il 43%), negli ordini professionali (che impediscono ai giovani senza soldi di lavorare), e così via.

Come diceva Brecht, il nemico è quasi sempre quello che marcia alla tua testa. Quella qui descritta non è la solita lamentela; vorrei fosse chiaro che stiamo parlando di un fatto cruciale per il futuro dell’Italia. Se le nuove generazioni non decidono di prendere in mano il loro destino, di rifiutare il conformismo familistico-televisivo che viene loro offerto, di ribellarsi ai propri padri, ai propri padroni, anche se sono democratici, ai mille lacci e laccioli che ne imbrigliano vitalità e fantasia, se non ci sarà qualcosa del genere, le prospettive sono oscure, non solo per i giovani, ma per tutti.

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