Trapianti senza cuore

Publish date 31-08-2009

by Gian Mario Ricciardi


Il commercio di organi è una piaga del nostro tempo che si incancrenisce nell’indifferenza dei governi e dell’opinione pubblica.

 

di Gian Mario Ricciardi


Tremila dollari, per non morire. È il prezzo d’un rene da trapiantare ad un ricco. Scompaiono a migliaia i bambini. Scompaiono mentre giocano in strada tra i rifiuti o corrono su una piazza lungo il mare. Scompaiono in Brasile, Filippine, India, Pakistan e… in Europa.
Sono figli di Paesi poveri, figli di famiglie massacrate dalle difficoltà, figli di quel miliardo di uomini e donne che vivono, meglio sopravvivono, con meno di un dollaro al giorno. Sono i figli venduti dai genitori perché non sanno come sfamarli, usati ed abusati per egoismo, ricchezza, ignoranza.
E il mondo, purtroppo, sta a guardare. S’infiamma soltanto quando la cronaca gli offre la vicenda di un bimbo non più riemerso dalle nebbie delle grandi città, soprattutto nei Paesi dell’est, ma anche nel vecchio continente. Allora sì. Il circo Barnum dell’informazione, ormai purtroppo sempre più cannibalizzata ed in modo terribilmente inumano, cerca le lacrime delle madri o quelle del papà, le rughe dei nonni e riempie tv e talk show. Solo allora e soltanto per poche ore, il tempo di alzare l’audience di qualche trasmissione. Poi, subito, si torna sulle tracce di altre tragedie, di altro sangue. È pazzesco, ma è così.
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I sorrisi dei ragazzini che si spengono come il tramonto non fanno notizia. Se ne parla da anni, tra sospetti, qualche timida inchiesta e tanta malinconia. Ora ci sono le cifre dell’Onu. Le cifre del traffico più orrendo che esista.
Nel 2006 ci sono stati nei cinque continenti 66mila trapianti di rene; il dieci per cento arriva da chi è praticamente obbligato, nella totale disperazione, a vendersi a pezzi. Dal 2000, da quando cioè la globalizzazione ha aperto le frontiere anche ai delinquenti, la domanda sulle segrete piazze del mondo è cresciuta di quasi il 35 per cento. Soltanto in Pakistan vengono effettuati 2.000 trapianti illegali di reni ogni anno, nelle Filippine 3.000. In Cina, nel 2006, 11.000 operazioni sono state fatte con reni presi ai condannati a morte.
Esattamente a ottomila persone è stato portato via il rene, a tremila il fegato, a duecento il cuore. È pazzesco, ma è così. E, soprattutto, la tratta ci è arrivata in casa anche se ancora non ce ne siamo accorti.

I governi sono troppo spesso indifferenti e a lottare rimangono, quasi sempre soli, preti o suore di congregazioni religiose, molte delle quali nate e cresciute in Italia e anche a Torino nell’Ottocento dei santi. Combattono, ma da soli non ce la faranno mai. Ecco come funziona. Il rene chiavi in mano costa 120 mila dollari. A garantire il traffico ci sono le forti organizzazioni criminali, non bande isolate di delinquenti, ma vere e proprie holding. I loro corrispondenti vengono mobilitati attraverso una rete di allerta clandestina. In molti si mettono in movimento per trovare il pezzo. Quando tutto è pronto il malato raggiunge una località del Paese povero, la clinica scelta e il gioco è fatto. Sono pezzi di ricambio per ricchi.

È pazzesco, ma è così. I prezzi variano, ma in tasca alle vittime non arrivano mai più di due-tremila dollari. A febbraio s’è conclusa in Nepal la fuga di colui che la polizia indiana considera la mente del più grande tra i racket di trapianto di reni mai scoperto finora. Il dottor Amit Kumar è stato arrestato in un lussuoso albergo tra angoli di verde incontaminato.
L’accusa sostiene che il chirurgo quarantenne avrebbe tolto il rene ad almeno cinquecento persone. Lui nega tutto. Dirà poi la magistratura che con lui ha fermato altre sei persone. Ma per una volta si è alzata quella pesante cappa di silenzio che sovrasta la rapina degli organi. Corre il prezzo del petrolio, cresce la voglia di vivere più a lungo e, ancora una volta, a saldare il conto sono i poveri; la povertà diventa serbatoio del commercio della vita, del commercio dell’orrore.
La vita sempre e comunque: un valore inviolabile ed inattaccabile. Certo. Eppure il mondo non piange quasi mai quando, con la complicità di medici, cliniche di lusso, traduttori e scafati delinquenti di rione o di strada, viene rubato un rene o altro ad un bambino.

Non importa se tutto avviene per la miseria insopportabile nelle favelas latino-americane o dietro le lamiere contorte che Madre Teresa di Calcutta per fortuna ha alzato in India. Nessuno piange quando, anche nelle periferie d’Italia, arrivano e si perdono nelle strade del disagio e della povertà bambini bellissimi che si ritrovano, sempre più spesso, obbligati a mendicare, costretti a rubare e, a volte, a sparire per essere loro stessi depredati di una parte del soffio della vita.
Nessuno piange per loro perché non hanno nome, non hanno storia, non hanno drammi che buchino lo schermo o riempiano pagine di giornale. Ma sono tanti. Purtroppo sono sempre di più, ma nessuno piangerà per loro finché una notte non busseranno alle porte delle nostre case serenamente blindate.
di Gian Mario Rcciardi
da Nuovo Progetto Aprile 2008
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