SIERRA LEONE: scuola di buon governo

Publish date 31-08-2009

by Elena Goisis


Ricostruzione, riconciliazione, risoluzione delle cause del conflitto sono i tre elementi indispensabili perché la pace prenda corpo in una società. Su questa strada si sta muovendo la Sierra Leone, dopo un conflitto decennale conclusosi nel 2002. L’esperienza della diocesi di Makeni.

di Elena Goisis e Simone Bernardi

Abbiamo conosciuto mons. Giorgio Biguzzi all’Arsenale della Pace di Torino. Romagnolo dalle idee chiare, deciso ma disponibile, è un uomo che ha guardato più volte la morte in faccia, senza farne un vanto. Vescovo di Makeni - 70 km dalla capitale Freetown - già prima della guerra civile, fu ordinato nel 1987 proprio per questa diocesi nella quale aveva già vissuto da missionario una decina d’anni. Della terribile guerra civile che ha devastato la Sierra Leone ha conosciuto tutti gli attori, affrontandoli a viso aperto e mani nude insieme agli altri capi religiosi del Paese - riunitisi in un Consiglio interreligioso - in una serie di colloqui che hanno avuto un peso determinante nel condurre il Paese alla pace.
La Sierra Leone, indipendente dal 1961, fino al 1992 era governata da un solo partito. Nel 1991 Joseph Momoh indisse un referendum per il multipartitismo: il 60% della popolazione votò sì. Nello stesso anno il Revolutionary United Front (RUF) dell’ex presidente Foday Sankoh lanciò la sua offensiva. Da allora, i colpi di Stato si sono succeduti in una guerra che ha visto coinvolti l’esercito regolare, i mercenari delle due compagnie private Executive Outcomes (sudafricana, sciolta nel 1999) e Sandline (inglese con sede alle Bahamas, tuttora operante), i soldati della forza di pace interafricana a comando nigeriano, miliziani liberiani (portatori delle mire espansionistiche dell’ex dittatore liberiano Charles Taylor) e l’esercito inglese.

Il conflitto è stato ufficialmente dichiarato concluso nel gennaio 2002, con il disarmo delle varie fazioni armate, benché la pace fosse già stata firmata nel luglio 1999 con il Trattato di Lomè (Nigeria). In 10 anni (1991-2001), ha provocato 50.000 - 75.000 morti, due milioni di profughi e 4000 mutilati su ca. 4,8 milioni di abitanti, scioccando il mondo per l’utilizzo di migliaia di bambini soldato (7000 quelli reinseriti nella società) e la terribile quanto diffusa pratica delle mutilazioni.

È seguito un processo di riconciliazione nazionale, grazie al lavoro del Tribunale speciale per la Sierra Leone (Tssl) - nato nel gennaio 2002 da un accordo tra l’Onu e il governo per giudicare i principali responsabili di crimini di guerra e contro l’umanità - e della Commissione Verità e Riconciliazione (TRC), creata dal parlamento nel 2002 con il compito di chiarire le cause del conflitto, far luce sulle violenze e ricostituire il tessuto sociale.

La TRC ha raccolto 8000 dichiarazioni, ascoltando 350 persone di entrambe le parti (per riaprire il dialogo fra vittime e carnefici) e ha presentato a fine ottobre 2004 il suo rapporto finale, nel quale tra l’altro si propongono modalità di riparazione per le vittime e si formulano una serie di raccomandazioni per evitare nuove guerre aprendo la via al futuro.

Ora il Paese chiede di voltare pagina, di non essere più ricordato per i bambini soldato, di poter investire sui propri giovani (oltre il 50% della popolazione è sotto i 20 anni).
Per il maggio 2007 sono previste le elezioni, presidenziali e parlamentari (il Paese è retto da una democrazia costituzionale); sino ad allora è prorogata la presenza dell’ONU.

Sulle prospettive future abbiamo interpellato mons. Giorgio Biguzzi.
“Dopo il grosso impegno per la pace e la sicurezza - risponde - anche come Chiesa dobbiamo guardare al futuro, ed affrontarne le sfide: la lotta alla corruzione, far sì che l’economia decolli e ci siano opportunità di lavoro, soprattutto per la massa dei giovani. La tragicità della guerra sta però avendo un risvolto positivo, c’è molta più coscienza nella gente, soprattutto dell’importanza dell’informazione, dell’istruzione. Si riflette su quello che è avvenuto e sulle direzioni del futuro. Questo ci dà speranza”.

Qual è il ruolo della Chiesa in questo processo? “Anzitutto puntiamo sulla formazione delle persone, anche in senso cristiano, spirituale; formazione alla politica come servizio - tipico valore cristiano. Abbiniamo anche esperienze pratiche di ricostruzione, di sviluppo agricolo per uscire dall’agricoltura di sussistenza, progetti che producano lavoro e possano creare un giro finanziario”.

Sin dalla fine della guerra, mons. Biguzzi progettava in particolare di formare la nuova classe politica. Ora ci conferma con gioia che a Makeni è nato il Fatima Institute, per le scienze sociali e religiose: tra i corsi offerti, dall’ottobre 2005 al luglio 2006 si è tenuto in tre località un corso di Buon governo e diritti umani per i Capi Tradizionali (un tempo chiamati Capi Tribù) e per i consiglieri comunali e provinciali di varie zone del Paese da poco eletti (in tutto, 85 persone).
“Sono loro che devono dare la giusta impronta al Paese, - sottolinea mons. Biguzzi, e aggiunge - la risposta è stata buona e la partecipazione molto alta. Il direttore del corso è il sacerdote diocesano sierraleonese Joseph Turay, laureato in sociologia presso la Pontificia Università Gregoriana”.

Notevoli i risultati ottenuti, elencati nel Rapporto finale del corso:
Le relazioni tra consiglieri e supervisori nei vari consigli è notevolmente migliorata, hanno acquisito abilità di leadership, la capacità di lavorare come gruppo, conoscenza dei propri limiti, capacità di monitorare i propri resoconti. Non vedono più le persone loro affidate come semplici beneficiari, ma come partner nel processo di sviluppo. Le donne e i giovani sono diventati attivi nei consigli. I capi, infine, non ritardano più l’esame dei casi nelle proprie corti.

POPOLAZIONE
La Sierra Leone è al 176° posto sui 177 Paesi censiti. Il 75% della popolazione vive con meno di 2 dollari al giorno, la speranza di vita è di 41 anni, il 43% non ha accesso ad acqua potabile, il 27% dei bimbi tra 0 e 5 anni sono sottopeso.
Il 64,9% al di sopra dei 15 anni è analfabeta.

undp.org
(Report 2006, dati anno 2004)

Significativo il fatto che il progetto è definito appartenente alla comunità, tanto che è previsto il trasferimento della responsabilità formativa ai primi beneficiari. Perciò si sta lavorando a stretto contatto con i consiglieri e supervisori,… in modo da renderli capaci di poter in seguito rilevare il progetto e continuarlo in modo tale da assicurarne la sostenibilità. Il Rapporto constata con soddisfazione che i consiglieri e i supervisori ora interagiscono in un ambiente molto amichevole e non minaccioso e, osservando il successo ottenuto, suggerisce una replica del progetto in altri consigli.

Mons. Biguzzi ci ha fornito altresì la Relazione 2006/2007 della Commissione Giustizia e Pace e Diritti Umani (JPHR) della diocesi di Makeni, che lotta per mantenere una pace sostenibile e il riconoscimento dei diritti della gente nella regione nord della Sierra Leone. Molteplici le attività: costruzione della capacità di gestione delle finanze nel consiglio della Città di Makeni e nelle amministrazioni dei distretti di Port Loko, Kambia e Koinadugu; formazione su pace, conflitto, diritti umani; costruzione di capacità di cura del trauma e ricostruzione psicosociale; formazione di una coalizione per monitorare gli strumenti dei diritti umani internazionali in Sierra Leone; ricerca sulla riduzione della povertà attraverso l’esame di casi pilota; partecipazione delle donne nella decentralizzazione, con il diritto ad un ruolo nei processi di decisione; sensibilizzazione legale riguardo alle violenze sessuali e domestiche contro donne e bambini; formazione di personale locale per i tribunali e di persone incaricate di applicare la legge; addestramento e sensibilizzazione legale comunitaria per autisti di taxi e piccoli commercianti.

Attraverso programmi radio di discussione è stata inoltre promossa nelle comunità della regione nord la maggior conoscenza possibile delle pratiche di buon governo, costruzione della pace, cultura e ricerca sui diritti umani.
Quanto ai programmi futuri della JPHR, al primo posto è la tutela di donne e bambini, inclusa la prevenzione del traffico di minori, accanto all’implementazione di tutte le altre attività.

Elena Goisis e Simone Bernardi
da Nuovo Progetto gennaio 2007

 

 

 

 

 

 

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