L’AIDS, le multinazionali e noi

Publish date 31-08-2009

by andrea


Alla Conferenza Internazionale sull'AIDS, tenutasi a
Durban nel 2000, prende la parola un ragazzino sudafricano
di undici anni, Nkosi Johnson, nato HIV positivo, come altri cinque milioni di suoi compatrioti:
"abbiate cura di noi, accettateci, siamo tutti esseri umani, siamo normali, abbiamo mani, abbiamo piedi, camminiamo, parliamo, abbiamo gli stessi bisogni di tutti gli altri esseri umani.
Non abbiate paura di noi. Siamo tutti uguali."
...Loris Dadam

Undici mesi più tardi, Nkosi muore.
Nei paesi poveri muoiono circa tre milioni di persone ogni anno per AIDS o per malattie correlate. 40 milioni sono affette dal virus HIV, di cui tre milioni sono bambini sotto i 15 anni. Più di 13 milioni di bambini hanno perso un genitore o sono orfani a causa della malattia. Solo nel 2001 sono stati colpiti dal virus 5 milioni, con una media di 14.000 al giorno.
Il costo del mix di medicine necessarie per tenere in vita e mantenere sana una persona affetta da HIV è di 15.000 Euro all'anno.
Il reddito medio annuo dello Zimbabwe, dove il 25% degli adulti è HIV-positivo, è di 625 Euro, ventiquattro volte meno del costo delle medicine. In Sud Africa, il paese africano più ricco, con un reddito medio pro capite di 3.000 Euro/anno, solo pochi benestanti sono in grado di comperare le medicine necessarie.
Il costo di produzione di tali medicine è molto più basso del prezzo richiesto dalle case farmaceutiche: un'industria farmaceutica indiana, la Cipla, si è offerta di fornire delle copie delle medicine anti-HIV per un costo di 350 Euro/anno, quaranta volte inferiore a quello delle case farmaceutiche che ne possiedono il brevetto.
Il problema è che non è possibile farlo in quanto il World Trade Organisation (WTO), in forza di un accordo internazionale, il TRIPS (Trade Related aspects of Intellectual Property right), tutela la proprietà intellettuale dei vari prodotti messi in commercio, fra cui quelli medici, mediante sanzioni agli stati da cui provengono prodotti "copiati" da quelli ufficialmente registrati e brevettati.
Così viene difeso il monopolio delle multinazionali farmaceutiche (Merck, Pfizer, Eli Lilly, Novartis, Roche,…), da un'organizzazione che dovrebbe, per statuto, difendere il libero commercio internazionale.
Questo è l'ennesimo esempio, assieme a quello "classico" delle politiche agricole, che dimostra come il protezionismo dei paesi ricchi condanna i poveri alla fame ed alle malattie, mentre il libero commercio potrebbe permettere ai loro prodotti agricoli di fare la concorrenza ai nostri ed ai loro ammalati di curarsi con medicine di basso costo da acquistare in India, in Brasile, od altrove sul "mercato globale".
A parte l'ovvio obiettivo di guadagnare il più possibile, l'unico pretesto plausibile avanzato dalle multinazionali farmaceutiche per giustificare gli alti prezzi delle medicine e la protezione dei brevetti è quello che, senza i guadagni risultanti dal temporaneo monopolio dato dai brevetti, non sono in grado di finanziare gli alti costi della ricerca medica per sviluppare nuove medicine.
Il problema è reale, ma non è ideologico, nel senso che la tutela della proprietà intellettuale da parte dei governi non viene fatto perché è un qualche diritto naturale dell'inventore, ma per motivi pratici, nel senso che oggi la ricerca scientifica ha bisogno di una quantità tale di risorse che è necessario incentivarne il finanziamento con riconoscimenti e brevetti.
Ovviamente l'atteggiamento "morale" che sottende tutto ciò ha poco da spartire con quello dei grandi ricercatori del passato: Alexander Fleming non è certo diventato milionario pur avendo scoperto la penicillina e Jonas Salk si è rifiutato di registrare il brevetto del vaccino anti-polio, perché, diceva, "sarebbe come brevettare il sole".
I giganti farmaceutici, inoltre, non forniscono credibili cifre sui costi reali della ricerca scientifica che svolgono: ogni volta alzano il prezzo, una volta ci vogliono 300 milioni di Euro per sviluppare una nuova medicina, poi diventano 500 milioni, poi un miliardo, e così via. Per non parlare della scandalosa lunghezza del periodo di brevetto monopolistico, fissato in venti anni.
Recentemente i monopoli sono sottoposti ad una campagna internazionale per costringerli a tagliare i prezzi delle medicine nei paesi poveri. In prima fila troviamo organizzazioni come Oxfam (inglese), HealthGAP (USA), Médecins Sans Frontières e Act Up-Paris (francesi), Treatment Action Campaign (Sud Africa), Third World Network (Malesia) e GIV - Grupo de Incentivo a Vida (Brasile).
L'obiettivo è quello di denunciare davanti alle opinioni pubbliche le conseguenze devastanti del sistema di protezioni che godono le multinazionali e di screditarne l'immagine, come è già successo con le multinazionali del tabacco, con caduta delle vendite e del valore delle azioni.
Una delle prime vittorie si è avuta nel giugno del 2001, quando gli Stati Uniti hanno ritirato la denuncia presentata al WTO contro la legge sui brevetti brasiliana, che consentiva di non rispettare la proprietà intellettuale di quello che non viene prodotto sul posto.
Si trattava soprattutto di una fase della campagna internazionale iniziata dal Brasile contro le compagnie farmaceutiche degli Stati Uniti, portata davanti alla World Health Organisation (WHO) ed alla Commissione dei Diritti Umani dell'ONU, oltre che sui media.
Il Brasile infatti è riuscito a realizzare un programma anti-AIDS di grande successo, che ha ridotto i morti di un terzo in tre anni, somministrando gratuitamente un mix di medicine. Esso sostiene con ragione che la politica protezionistica delle grandi case farmaceutiche minaccia la possibilità di proseguire sulla strada intrapresa.
Il problema dei brevetti potrebbe, comunque, essere facilmente risolto dalla comunità internazionale, mediante il finanziamento da parte dei governi, di parte della ricerca medica in cambio della messa a disposizione di medicine a basso costo per i paesi poveri.
Si tratta poi di operare la distribuzione delle medicine ai malati attraverso canali sicuri, per evitare che, passando per le mani di governi dittatoriali o tirannici, non arrivino mai a destinazione e vengano rivendute ad alto prezzo nei paesi ricchi.
Si tratta di creare (cosa non facile) un sistema a doppio prezzo, dove lo stesso prodotto viene fornito a prezzo di costo nei paesi poveri e a prezzo molto più alto in quelli ricchi: in tal modo si può salvare le vite dell'Africa e permettere di proseguire la ricerca nei laboratori Svizzeri.
Senza dimenticare che avere delle medicine a basso prezzo, anche abbassandolo da 15.000 a 350 Euro, è solo una parte della soluzione del problema, in quanto, nei paesi più poveri, anche un Euro al giorno di spesa sanitaria è al di là delle possibilità di gran parte degli abitanti.
Questo significa che, comunque, senza l'aiuto diretto dei paesi ricchi, questi paesi non saranno in grado di acquistare le medicine anti-AIDS anche se togliamo il sovrapprezzo dato dal monopolio dei brevetti.
Infatti la stessa cosa vale per medicine non più soggette a brevetto, come quelle anti-malaria o come i più comuni vaccini.
Nel gennaio 2002 è stato creato un Fondo Globale per combattere l'AIDS, la tubercolosi e la malaria: il fondo necessita dai 7 ai 10 miliardi di Euro all'anno, ma a fine gennaio i versamenti ammontavano a solo 2 miliardi di Euro.
Le malattie per cui il Fondo è stato creato uccidono sei milioni di persone all'anno. Le persone che vivono nei paesi ricchi (OECD) sono 900 milioni. Questo significa che con 11 Euro a testa possiamo salvare 6 milioni di esseri umani all'anno.

Loris Dadam

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