La terra perduta

Publish date 22-05-2015

by Matteo Spicuglia

Un viaggio nel cuore dei cristiani del Medio Oriente. “Fin quando non te la trovi davanti, non puoi immaginare. La Mesopotamia è una tavolozza, una distesa senza confini che ha fatto incontrare civiltà di ogni dove: la culla dei Babilonesi, la terra di Abramo, il cuore antico degli Aramei. È la terra che ha dato origine a tutto, la terra madre che dà la vita, la terra bambina che ha ancora bisogno di cure, la terra adulta che conosce il valore della sapienza e l’orrore del cuore dell’uomo”. La Mesopotamia è la terra che fa da sfondo al libro di Matteo Spicuglia
La terra perduta. Inizia proprio qui, in questa culla della civiltà, la tragedia e la speranza di un popolo cui è stata strappata insieme terra e vita. Sogni, speranze, futuro spazzati via in modo brutale, scientifico dall’odio per chi è diverso da te, per chi forse conosce strade che tu ignori. È il popolo arameo, che ha condiviso con gli armeni e altre minoranze religiose la persecuzione ad opera del governo turco di inizio Novecento. L’autore ha scelto di raccontarne la storia dopo aver incontrato gli ultimi esponenti, nei villaggi anatolici dimenticati da un secolo e nelle città della diaspora. Ne ha raccolto le confidenze, i segreti, i sogni di un possibile ritorno con la delicatezza di chi sa di non poter capire tutto ma vuole sapere per dare testimonianza.

Gente fiera ma pacifica, gli Aramei furono raggiunti dal Vangelo ad opera dei discepoli di San Pietro. La fede in Gesù li accompagnerà per sempre, anche nelle persecuzioni di Roma. Resteranno fedeli al Vangelo nel secolo terribile, quel 1915 delle deportazioni, degli stermini, dei massacri perpetrati dai nuovi padroni della Turchia, i nazionalisti di Ataturk. Chi sopravvisse, fuggì portandosi dietro vecchi e bambini, ma non la terra. Quella, restò agli assassini, ai ladri, agli approfittatori. Pochissimi riuscirono a restare, forse dimenticati o creduti morti. Ma non fu una mattanza di pecore mute: ad Einvert, ad esempio, tutto il villaggio si coalizzò per respingere gli assalitori. Prima fra tutti, una ragazzina, Merita Keco, scomparsa pochi anni fa ultranovantenne.

“La memoria di chi ha sofferto è una memoria di carne”. Anche Nura, emigrata in Svezia con marito e figli, non può dimenticare il figlio primogenito Aho, sgozzato una terribile notte di giugno di 28 anni fa. Nura conosce l’assassino, ma non può parlare: troppo pericoloso, anche adesso. A Midyat abita sua figlia, Adiba, che con la famiglia ha una piccola azienda vinicola e un alberghetto. Hanno deciso di restare, a tutti i costi. “Se dobbiamo morire, meglio nella nostra patria”.

Qualche emigrato sceglie di tornare. Per un giorno, come hanno fatto Naile e Anah, due spose senza più marito. Il dolore mai sepolto le ha spinte di nuovo nella casa dei primi giorni insieme. Per padre Saliba Erdan, invece, emigrato in Svizzera, è un ritorno definitivo, la risposta ad un invito. “C’è un villaggio senza più un sacerdote… Te la senti?”. P. Saliba ci ha pensato su, e poi ha preso le valigie.

condividere rischi e speranze rimangono anche i vescovi e i monaci dei monasteri di Tur Abdin, la “Montagna dei servitori di Dio”. Un tempo erano centinaia, questi luoghi sospesi tra terra e cielo, come Mosè interpreti presso l’Alto. Ora sono pochissimi, ma la missione è la stessa. Parlare a Dio dell’uomo e di Dio all’uomo, risvegliare la sua coscienza. Sopravvivono tra mille difficoltà, il pericolo di dover abbandonare per sempre mura e patria è dietro l’angolo: il governo turco non perseguita più ufficialmente le minoranze, ma la mentalità separatista rimane. Mor Samuel Aktas, il vescovo di Mor Gabriel, difende con coraggio il suo monastero, dove si insegna ancora l’aramaico ai bambini. È il monastero più caro al cuore degli aramei, la loro Gerusalemme. Un gioiello di pietra e santità fondato dal santo monaco Gabriel nel 97 dC. 


Gli fa eco Mor Filuksinos, nel suo semplice studio del monastero Zafferano, che domina la città di Mardin. Qui le pietre sono impastate con la preziosa spezia, che dona ad ogni alba e tramonto riflessi d’oro. Il monastero in passato ha ospitato una scuola di medicina famosa in tutto il Medio Oriente.
“La cultura aramea ha gettato le basi per tutte le altre, questa è la verità”. Chi parla è il rettore dell’Università Artuklu di Mardin. Sorta nel 325 dC, gli studi erano indirizzati ad astronomia, filosofia, legge, medicina, teologia. Si traducevano testi dal greco in aramaico, e da questo all’arabo. Un esempio? L’Opera Omnia di Aristotele, testo che, giunto in Spagna con gli arabi, venne tradotto in latino. E tutto è partito da lì, da quelle pietre poste tra terra e cielo.

Quale sarà il futuro di questa gente? Nessuno può prevederlo, ma i segnali di speranza partono ancora una volta dai giovani. Fabronia è una di loro. È rimasta nel suo villaggio, con mille difficoltà è andata a studiare ad Istanbul, ora parla cinque lingue e lavora in banca. Recentemente è stata eletta come vice sindaco – il primo cristiano – di Mardin. Ha vinto la paura, è lei che fa la differenza. La paura schiaccia o ti dà ali, ammorba o ti fa spaccare il mondo. Fabronia ha scelto la seconda opzione. “Voglio restare qui, in questo niente apparente. Io amo la mia patria”.
Le parole sono pietre e in Turchia forse pesano più che altrove. La strada davanti è ancora lunga, ma “ti giochi tutto, perché sai che in quel cielo senza fine abita anche la tua buona stella”.

Annamaria Gobbato

 

Matteo Spicuglia - La terra perduta - Effatà 2015 
Disponibile nelle librerie, su Amazon e i circuiti on line.

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