La strada della Pace

Publish date 21-06-2022

by Fabrizio Floris

In Africa si dice che “il giovane cammina più veloce, ma è il vecchio che conosce la strada”. Eppure il più giovane vescovo del collegio cardinalizio è proprio un africano.
Mons. Dieudonné Nzapalainga è dal 2012 responsabile della diocesi di Bangui dove è arrivato nel pieno delle tensioni tra governo e ribelli: ha vissuto tutti gli anni della guerra non sottraendosi alle sfide quotidiane neanche quando i ribelli sono arrivati nella capitale e sono entrati fin dentro la curia.
Ricorda di averli mandati via con la «forza del rosario […] gli ho detto chi cercate? Mettete fuori le armi (avevano fucili, lanciagranate e altre armi lunghe fino ai piedi di cui non conosco il nome) poi ho chiuso le porte e ho visto che aveva addosso tanti gris-gris (amuleti vudù che proteggono dal male), ho detto loro mostrando il rosario questo è il mio gris-gris e li ho mandati via».

Nzapalainga è figlio di contadini, nato in una famiglia di 10 figli dove ho imparato a stare con gli altri, mio padre era cattolico, mia madre protestante e venivano a trovarci sia pastori evangelici che preti cattolici, ho vissuto l’ecumenismo dentro casa».
Rimane affascinato da un prete bianco «che sta con i poveri e mangia con gli africani» (padre Lèon uno spiritano). Studia filosofia e poi viene mandato a Parigi a studiare teologia e lì che affronta un primo shock «come tutti gli africani sognavo l’Europa e pensavo che l’Europa fosse il Paese dei sogni, poi ho visto la gente che dormiva per strada, sono rimasto impressionato, ho iniziato a mettermi vicino a questa gente, ricordo che una volta ho invitato alcuni di questi poveri al seminario e molti miei compagni al vederli si sono allontanati perché l’odore e la puzza erano troppo forti». In seguito viene mandato a Marsiglia dove «ho visto tante situazioni sociali, famiglie di madri singole e giovani con grossi problemi con l’autorità […] insegnavo, ma era più il tempo che passato a cercare di far rispettare il silenzio che quello di lezione: 50 minuti per far stare tutti composti e 5 minuti di lezione […] mi chiedevo che ci faccio qui? Ho trovato la soluzione pregando, dicevo Signore se mi hai messo qui dammi la forza».

Dopo 9 anni viene mandato a Bangui e la guerra inizia. «si diceva che era una guerra tra cristiani e musulmani, ma con l’Imam e il pastore protestante abbiamo detto no alla guerra […] abbiamo cercato nei nostri libri sacri i passi che indicavano la pace e la riconciliazione, ci siamo confrontati e abbiamo scoperto di avere molto in comune […] abbiamo cercato ciò che ci univa e insieme andavamo ad incontrare i ribelli». Insieme all’imam Oumar Bobine Layama, presidente del Consiglio islamico superiore del Paese e a Nicolas Guérékpyaméné-Gbangou, leader dell’Alleanza evangelica del Centrafrica, fonda la piattaforma interreligiosa per la pace in Centrafrica. «In Africa di fronte ai problemi occorre sedersi: non si reagisce e non si agisce immediatamente come faremmo noi occidentali. Ci si siede, ci si parla e ci si ascolta».
Ricorda che quando il pastore protestante disse pubblicamente al Presidente che «non c’è sicurezza nel Paese e poi venne arrestato anch’io decisi di costituirmi […] è stato un gesto che ci ha avvicinato e ha avvicinato anche la gente». Il suo impegno non è stato solo teorico, ma pratico, ha aperto la sua casa, ricorda che una volta «ero andato a prendere una bambina che doveva essere operata urgentemente, il padre della bambina era musulmano, i ribelli hanno fermato la nostra auto e volevano ucciderlo, hanno preso il macete per colpirlo, per cercare di fermarli mi sono ferito ad una mano poi ho detto al papà di prendere la macchina e scappare così i ribelli hanno detto va bene adesso ammazziamo te al posto del musulmano».

Dieudonné è continuamente in mezzo «quando i ribelli uccidevano le persone volevano che i corpi non fossero seppelliti, ma io andavo lo stesso». Ad un certo punto, durante l’assedio della capitale, gli preparano una barca per passare il fiume e mettersi al sicuro in Congo, ma lui rifiuta «non potevo abbandonare la gente, non sono vescovo per abbandonare i fedeli nel momento di difficoltà». Forse è anche per la sua presenza tenace che il papa ha deciso di aprire la porta santa del Giubileo della misericordia proprio in Centrafrica nella cattedrale di Bangui che è diventata «capitale spirituale del mondo». La visita del Papa ricorda il cardinale era «impensabile dal punto di vista umano, militare e diplomatico […] lui ha osato per riconciliare le comunità è andato dai cattolici, dai protestanti e dai musulmani, la guerra ci ha paralizzato, chiuso il cuore in un prigione e il Papa è venuto ad aprire questa porta».

Da quel momento si sono fatti dei passi adesso «80% del Paese è sotto il controllo dello Stato, c’è una pace, ma è una pace fragile». Quando leggo il versetto del salmo «il Signore è il mio pastore», per me non è teoria: l’ho vissuto. Come Daniele nella fossa dei leoni, sono spesso andato tra i ribelli, senza armi che mi proteggessero e non mi hanno fatto fuori. Il potere magico che i miliziani mi hanno talvolta attribuito non è nient’altro che la grazia di Dio». Il motto del fondatore della nostra nazione, Barthélemy Boganda era «zo kwe zo», ogni essere umano è una persona. È questo il nostro compito impegnarci per l’altro […] portare segni di speranza». Il cardinale è giovane, ma conosce la strada.


Fabrizio Floris

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