La luce di Orano

Publish date 04-06-2019

by Claudio Monge

di Claudio Monge - Il frutto del martirio per gli emarginati della società
Celebrare ad Orano la beatificazione dei 19 martiri di Algeria era una opzione complessa e rischiosa: si trattava della prima volta in un Paese musulmano, con il concreto pericolo di pesanti strumentalizzazioni politiche, viste le molte ombre mai dissipate, neppure a distanza di decenni, sulle complicità del Governo di Algeri nella mattanza degli anni bui della guerra civile algerina.

La scommessa è stata vinta e la scelta di un pugno di uomini e donne, cristiani e consacrati a Dio, di restare a fianco del popolo algerino in uno dei periodi più tragici della sua storia, segnato da una violenza inaudita condotta contro tutti coloro che percorrevano le vie del dialogo, che credevano all’incontro delle diversità, che affermavano la possibilità di una convivenza pacifica tra persone di diverse religioni e culture, è diventata non tanto un atto di accusa ai perpetuatori di violenze, quanto un dono che nobilita e unisce tutte le “sofferenze liberamente assunte” che non hanno colore o appartenenza confessionale.

I fratelli e sorelle martiri erano e rimangono un segno di fedeltà ad una terra e a un popolo tutto, uccisi perché paradossalmente troppo vicini, troppo radicalmente al servizio degli algerini. Il celebrarli come “eroi della fede cristiana” ha permesso di mettere in evidenza l’esistenza di centinaia di “comuni eroi della fede”, tra cui più di cento imam musulmani, che hanno pagato con le loro vite la lotta contro la strumentalizzazione violenta della loro religione.

Da Orano nasce la consapevolezza che se una Chiesa non esiste senza un popolo, questo popolo non è composto dai soli battezzati, ma anche da tutti coloro per i quali la Chiesa intercede nel suo quotidiano celebrare e nella condivisione della costruzione di un vissuto inclusivo e attento soprattutto ai più deboli ed emarginati della società.
Nessuno può strappare la vita a chi ha deciso di donarla: ecco perché, l’eucaristia del 8 dicembre scorso, nella spianata del santuario di Notre-Dâme di Santa Cruz, ha visto la partecipazione anche di un gran numero di musulmani nel ricordo di un congiunto o una persona cara da piangere: uno spaccato di società complessa alla quale la violenza non ha potuto strappare la speranza.

Storie concrete di uomini e donne capaci di diventare pane spezzato per gli altri, come quel Mohamed Bouchikhi, giovane autista di mons. Claverie che scelse di rimanere con il vescovo di Orano, a rischio della sua vita, vergando questa sua scelta nel testamento spirituale trovato dopo la sua morte e letto in apertura di celebrazione.
Una rivoluzionaria reinterpretazione dell’idea di martirio al cuore dell’islam stesso, nel quale lo shahid è stato molto più spesso considerato un combattente che deve fare il maggior numero di vittime possibili fra i nemici “infedeli” per ottenere la vittoria – secondo la volontà di Allah.
Mohamed saltò in aria vittima dei giustizieri di quel vescovo che l’aveva accolto come un figlio rispettandone e proteggendone la fede islamica ricevuta dalla sua famiglia e soprattutto dalla mamma, Zouawiya, presente all’eucaristia di beatificazione dei martiri di Algeria, mano nella mano con Anne-Marie, sorella di mons. Pierre.

Si è concretizzata anche così la profezia del testamento spirituale del priore di Tibhirine, frère Christian de Chèrge, anche lui tra i nuovo beati d’Algeria: «Se mi capitasse un giorno … di essere vittima del terrorismo che sembra voler coinvolgere ora tutti gli stranieri che vivono in Algeria, vorrei che la mia comunità, la mia Chiesa, la mia famiglia, si ricordassero che la mia vita era donata a Dio e a questo Paese…
Che sapessero associare questa morte a tante altre ugualmente violente, lasciate nell’indifferenza dell’anonimato. La mia vita non ha valore più di un’altra. Non ne ha neanche di meno».

Claudio Monge
LEVANTE
Rubrica di NUOVO PROGETTO

 

 

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