La forza di chi partecipa
Publish date 09-08-2012
di Guido Morganti - Per costruire il futuro proprio e del mondo è indispensabile quell’io ci sto che deve accomunare giovani e adulti. Ulisse, nel canto XXVI dell’Inferno, pronuncia la famosa frase: “Fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e conoscenza”. La ricerca di essere se stessi, di far bene il bene, della verità, del chiedersi chi siamo, cosa è il mondo, perché si vive, è un cammino di umanizzazione che è in stallo. Avidità, indifferenza, scarso senso del bene comune mettono oggi a rischio il futuro delle nuove generazioni. Giorgio Ceragioli* su Progetto (ora NP) di dicembre 1985 aveva scritto un interessante articolo dove venivano evidenziate nove parole chiave da non dimenticare per costruire una società moderna e umana. Il titolo era La clessidra del XX secolo, ed essa, a forma di due piramidi con il vertice comune, veniva illustrata da un disegno: quattro parole ai vertici di un quadrato (libertà, pace, giustizia, sviluppo), altre quattro ai vertici di un altro quadrato (cultura, politica, tecnologia, autogestione) e, in mezzo, nel punto più stretto della clessidra, nel vertice comune delle due piramidi, la nona parola (amore).
Il primo quadrato rappresenta gli obiettivi da raggiungere, il secondo alcuni degli strumenti che possiamo avere a disposizione per perseguirli se siamo capaci di tenere abbastanza largo il canale dell’amore, canale che mette in relazione gli strumenti con gli obiettivi. La libertà è la fonte delle nostre scelte e assunzioni di responsabilità, senza di essa l’uomo non può realizzarsi. La pace con se stessi, con gli altri, con la natura, con Dio è un’aspirazione profonda che non si ingabbia nel privato, ma diventa vocazione di ogni comunità umana. La giustizia è una parola piena di trabocchetti, nel suo nome si possono compiere efferatezze di ogni genere. Decliniamola nel modo forse più immediato: esigenza che i diritti fondamentali della persona vengano rispettati, tutelati, promossi in ogni parte del mondo. Infine sviluppo, la molla che permette di costruire le opportunità per consentire ad ogni persona di vivere una vita piena di dignità.
Le parole indicate nel secondo quadrato naturalmente non indicano gli unici strumenti a disposizione. Ma diamo loro uno sguardo. Scriveva Ceragioli: “La volontà di risolvere i problemi passa attraverso una opzione, una scelta di fondo che si può chiamare culturale perché mette in gioco gli obiettivi ultimi dell’uomo, la sua natura profonda, le sue convinzioni sul suo destino, sul significato della vita, sul perché della società e del mondo. (…) Ma la cultura deve tradursi in politica, in atti concreti, in gestione del potere, in uso delle risorse, in programmazioni, in atti amministrativi, se si vuole passare dalle buone intenzioni alle realtà in campo sociale, nei rapporti fra le Nazioni come anche fra i gruppi e le persone. La politica è lo strumento di guida, è la trasformazione da idea a direttiva, da aspirazione a messa in movimento: senza la politica la cultura rischia di essere inerte o di avere ben scarsa incidenza specie sui fatti più complessi, più articolati e coinvolgenti le strutture della società.
Se la politica è strumento di guida, ovviamente indispensabile, essa ha tuttavia bisogno di altri strumenti tecnici per essere attuata: il complesso di questi strumenti, materiali e non materiali, li chiamiamo tecnologia, il complesso di strumenti che l’uomo si dà per raggiungere i suoi obiettivi, per aumentare le sue capacità di fare, per sottrarsi ai condizionamenti esterni”. Con il termine autogestione entra in gioco la volontà di assumersi responsabilità a livello personale, comunitario, sociale. Passiamo ora al “punto principale, il vertice attraverso il quale gli strumenti possono risolvere i problemi: il collo di bottiglia dalla cui larghezza è influenzata l’incisività di ogni strumento, la quantità di risultati che esso può portare.
L’amore o, se si vuole, in una visuale di fede, una spiritualità non violenta e affratellante”. Senza l’amore “le politiche rimangono teorie, spesso contrastanti con gli interessi dei più poveri; le tecnologie possono essere usate malamente; la cultura diventa segno di predominio e di separazione; l’autogestione o è cercata solo per pochi o diventa anarchia a danno di tutti”. Non sono forse questi dei punti fermi per una piattaforma educativa sulla quale si possano confrontare giovani e adulti? I giovani, soprattutto, oggi sono disponibili a darsi da fare, lo verifichiamo quotidianamente all’Arsenale della Pace. La volontà di partecipare è una forza, ma la partecipazione chiede disponibilità e obiettivi da raggiungere. Metterci la faccia, aprire le vedute per vedere cosa succede attorno nel mondo, quando sono conditi dalla passione, diventano atteggiamenti potenti e affascinanti per progettare il futuro insieme, giovani e adulti.
*Giorgio Ceragioli (1930-2008) è stato cofondatore e direttore di NP. Docente di Tecnologia dell’architettura al Politecnico di Torino, dalla metà del secolo scorso protagonista della solidarietà, promotore della mondialità, artefice di sviluppo del Terzo Mondo.
da NP 2011, n.8