In ginocchio

Publish date 01-11-2015

by Flaminia Morandi

Vincent Van Gogh, Uomo in preghieradi Flaminia Morandi – Un gran strepitare di inginocchiatoi abbassati al momento della consacrazione, ed ecco che il momento più alto di tutto il dramma liturgico, l’epifania del divino, si consegna alla nostra umana volgarità. Se ci inginocchiamo abbiamo bisogno di un’imbottitura che ci protegga le ginocchia. Ci inginocchiamo meccanicamente. Se ancora lo facciamo.
Chissà come mai Giacomo, il fratello del Signore, primo vescovo di Gerusalemme e capo della Chiesa giudeo-cristiana, al posto delle ginocchia aveva una sorta di pelle di cammello. Per il continuo inginocchiarsi a implorare il Signore per la salvezza del suo popolo, spiega sant’Egesippo, che doveva averlo saputo forse non di prima mano ma di seconda, essendo vissuto un paio di secoli dopo di lui.

A quel tempo le ginocchia erano tenute in tutt’altra considerazione, a giudicare da certi scritti dei Padri del deserto che raccontano di un’apparizione avuta da abbà Apollo, il quale aveva visto il diavolo faccia a faccia. Che fosse proprio il demonio il buon abbà non aveva dubbi: perché era orribile a vedersi ma soprattutto era privo di ginocchia; insomma, così superbo da non avere neppure l’organo che permette al corpo di inchinarsi.
La descrizione apre uno spiraglio sulla concezione che i Padri avevano della persona: una tale unità tra corpo, anima e Spirito che ogni espressione del corpo corrisponde a ciò che avviene interiormente.

Viste dall’alto, chissà cosa esprimono le nostre espressioni esteriori durante la messa. Abbiamo l’aria di pensare soprattutto a noi stessi e ai nostri guai, e va bene, dopotutto è la nostra miseria che offriamo nella liturgia: parola che del resto in greco significa opera del popolo. Solo che, ripiegati su noi stessi, non sappiamo più ascoltare il coro degli angeli accordato al nostro canto né contemplare l’invisibile presente sull’altare, il cielo sceso sulla terra e il Risorto in mezzo a noi. Né ricordare che la messa non è una ripetizione umana ma comunicazione con la vita divina al di là del tempo. Per i primi cristiani questo realismo era evidente e non avrebbero proprio potuto non proskinein, inginocchiarsi o gonypetein, cadere in ginocchio o addirittura prostrarsi a terra. Il Nuovo Testamento è pieno zeppo di ginocchia che si piegano, come l’Antico è zeppo di barak, del piegarsi delle ginocchia cioè della forza umana davanti al Dio vivente, perché qualsiasi forza viene da Dio: per i giudei e per i primi cristiani era impossibile scordarlo.

Se Plutarco, Teofrasto e Aristotele dicevano che inginocchiarsi davanti agli dei era un gesto indegno di un uomo libero, avevano ragione: i capricciosi e falsi dei pagani passavano il tempo cercando di sottomettere l’uomo all’adorazione del potere e del proprio egoismo. Noi non ci inginocchiamo davanti alla potenza che schiaccia, diceva sant’Agostino, ma davanti all’umiltà che libera. Noi ci inginocchiamo davanti a un Dio che ha ribaltato la storia e la nostra condizione, ci pieghiamo davanti a un Dio che per amore si è sottomesso alla morte, ci prostriamo davanti a un Dio disposto a tutto pur di farci diventare come lui.

MINIMA – Rubrica di Nuovo Progetto

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