GEORGIA: emergenza permanente

Publish date 31-08-2009

by sandro

Torniamo a parlare della Georgia, dopo la notizia della misteriosa morte del primo ministro Zurab Zhvania, ucciso ieri da una presunta fuga di gas in un appartamento di Tbilisi.

... a cura della redazione di N.P.

Secondo le prime informazioni, il primo ministro della Georgia, Zurab Zhvania, sarebbe stato ucciso da una fuga di gas. «In apparenza si è trattato dunque di un incidente» – riferisce il ministro dell’Interno georgiano – aggiungendo che accanto al corpo del 41enne premier è stato trovato anche quello di un suo amico, ugualmente esanime, la cui identità non è peraltro stata ufficialmente rivelata. Il direttore generale della società del gas di Tbilisi ha tuttavia sostenuto dopo un'ispezione che non c'è stata alcuna fuga di gas!

In Georgia, dal 25 gennaio 2004 è all’opera il giovane presidente Mikheil Saakashvili, trionfatore delle elezioni e di quella pacifica “rivoluzione delle rose” che aveva portato al crollo politico l’ex presidente Eduard Shevardnadze. Il Premier Zhvania era stato uno dei principali alleati di Shevardnadze. In seguito se ne era distaccato ed era diventato uno dei capi dell’opposizione durante la suddetta “rivoluzione”.

In attesa di avere ulteriori informazioni su questo Paese così cruciale nel “ballo geopolitico” del Caucaso, vi riproponiamo un intervista di Nuovo Progetto al Direttore della Caritas georgiana, padre Witold, che ci parla di una situazione di “emergenza” che dura da 12 anni.

 Povertà e Georgia sono purtroppo un binomio indissolubile: in futuro potrà esserci un’inversione di tendenza?
In Georgia, soprattutto in una città come Tiblisi, c’era tutto. Lo Stato controllava ed organizzava tutto: lavoro, scuole, vacanze, ospedali, sanità, pensioni... Da un giorno all’altro questo sistema è crollato, lo Stato non fa più niente e chi ci rimette è la gente, non abituata ad organizzarsi autonomamente.
Ai tempi sovietici c’erano scuole statali che funzionavano: oggi gli insegnanti guadagnano 15 euro al mese e se da un anno non ricevono salario, non si danno tanto da fare…. Ci sono scuole dove non c’è riscaldamento, dove mancano i vetri. I ragazzi analfabeti sono molti, le scuole private ci sono, ma chi può pagarle?
In Georgia c’è uno stato di emergenza che dura da 12 anni. C’è un piccolo gruppo di persone che ha tutto, ma la stragrande maggioranza vive sotto la soglia della povertà. L’ultimo rapporto mensile del Ministero degli Affari Sociali asseriva che il minimo per vivere è pari a poco più di 50 euro a persona al mese, mentre la pensione è pari a 6 euro, e capita spesso che per qualche mese neanche si vedano! Come si fa a vivere? Oltretutto in Georgia la gente vive molto a lungo. Nella nostra mensa vengono persone che hanno più di novanta anni. Penso a una persona di quell’età: cosa può fare per guadagnarsi qualcosa per vivere? Non può cominciare un’altra vita, andare a fare i corsi di formazione, e così via. Nelle città i problemi sono molto grandi: è aumentata la malnutrizione, scarseggiano i medicinali…
In merito alla situazione politica e agli aiuti internazionali?
Il nuovo Presidente ha deciso di ristrutturare un vecchio palazzo per farne la sua residenza: in un Paese dove la gente muore di fame, si pensa di spendere 40 milioni di euro, reperibili all’estero, per ostentazione! Con quei soldi si può sfamare la gente, creare posti di lavoro, rifare almeno una centrale elettrica….
Sarebbe anche molto importante che i governi europei, gli USA e altri Paesi che aiutano la Georgia, controllino come vengono spesi i soldi: negli ultimi anni hanno inviato miliardi, il problema è che la maggior parte dei fondi sono finiti in tasche private… Pochi giorni fa il governo giapponese ci ha accreditato dei fondi per la casa dei bambini e la mensa dei poveri: sembra che il sovvenzionare organizzazioni non governative, piccole entità però controllate e seguite, sia una strada che possa portare piccoli cambiamenti. Certo non possiamo costruire o rinnovare le centrali elettriche o le strade, ma è una politica di aiuti che può portare dei frutti.

Nel suo Paese convivono la Chiesa ortodossa e la Chiesa cattolica: quali sono i rapporti fra gli esponenti delle due confessioni? E quali i rapporti con le altre religioni?
Gli ortodossi sono la stragrande maggioranza, la presenza dei cattolici è piccola, sulle 80.000 persone, i luterani sono pochissimi, come i battisti; i musulmani sono circa il doppio dei cattolici e la maggioranza di loro vive vicino alla frontiera con la Turchia.
Quando nel 1993 sono arrivato in Georgia al seguito del primo Nunzio, il primo incontro con il Patriarca ortodosso è iniziato molto formalmente, ma dopo una ventina di minuti si è “sciolto” e ha detto due cose che non dimenticherò mai.
Ha affermato che gli ortodossi hanno paura dei cattolici perché siamo molto numerosi, organizzati, efficienti: dove mettiamo piede pensano che arrivi un esercito di sacerdoti e suore, con mezzi infiniti per “comprare” la gente. Ha poi aggiunto che gli ortodossi devono imparare dai cattolici ad andare verso il popolo, a cercare la gente, senza aspettare che venga da sola. Abbiamo subito capito che dovevamo essere molto prudenti per non apparire fautori di proselitismo, e vi posso assicurare che in dieci anni non abbiamo mai chiesto a chi aiutiamo se e a quale religione appartenga.
Con il mondo musulmano abbiamo ben pochi rapporti, perché a Tiblisi c’è una comunità mussulmana piccolissima. In essa non c’è fondamentalismo, hanno tanti altri problemi quotidiani, un piccolo gruppo è costituito da profughi della Cecenia, che non percepiscono nemmeno i 3 euro al mese che il governo assegna ai profughi, per comprarsi un po’ di pane, perché li ritengono terroristi e invece è gente come noi: bambini, anziani, famiglie intere... La Caritas tedesca ci ha dato 50 mila euro per aiutarli: per loro significa 3 o 4 mesi di vita.

La vostra casa per i senza tetto è diventata famosa dopo che il Papa ci ha abitato durante la sua visita in Georgia...
La casa per i senza tetto era un mio sogno, dopo che un mattino avevo trovato davanti al nostro ufficio il cadavere di una donna morta di notte per il freddo. Veniva da noi alla mensa per i poveri. Ho chiamato più volte la polizia. Alla fine sono arrivati due agenti, hanno toccato un po’ con il piede il cadavere, le hanno messo sopra la testa un pezzo di carta sporca trovato tra le immondizie e sono andati via. Ho protestato, ho richiamato. Verso mezzogiorno si è fermato un camion che raccoglieva i rifiuti, uno ha preso il cadavere per le gambe, l’altro per le mani. L’hanno gettata sul camion e sono andati via. Era l’inverno del 1994. Dopo qualche giorno sono andato a Roma da Monsignor Dziwisz, mi ha dato tutto quello che aveva. Con una parte di questi soldi abbiamo aperto un primo poliambulatorio e con gli altri iniziato le pratiche e i progetti per costruire una casa su un terreno che mi aveva regalato un signore. Mi rimanevano duemila dollari. La Provvidenza è intervenuta. In meno di due anni la casa era quasi completata. A metà agosto del ’99 è arrivato il Sostituto della Segreteria di Stato del Vaticano per consacrare la chiesa ricostruita. Con lui abbiamo cominciato ad ipotizzare una visita del Santo Padre durante il viaggio di ritorno dall’India. La nunziatura era molto piccola e con tanti gradini, e non esisteva nessuna casa religiosa. Ho pensato alla casa per i senza tetto. Per finirla in tempo utile occorrevano ancora centomila dollari. Ancora una volta la Provvidenza ci è venuta incontro. Il Santo Padre è stato il primo a dormire in quella casa.
E quando abbiamo mangiato l’ultimo pasto insieme, il Santo Padre mi chiese cosa avrei fatto dopo questa casa. “Il mio sogno è una casa più grande per i bambini, specialmente quelli abbandonati per strada”. E lui “Bene, bene, devi farlo…”. E io gli rispondo: “È un po’ più complicato farla che dirlo…” e lui: “E perché?”. Allora gli ho detto che sarei andato a Roma per trovare i soldi che mi mancavano.
Due ore prima della partenza dalla casa il Papa mi chiama. L’ho trovato che si preparava alla partenza, la suora gli stava mettendo il mantello, e lui mi dice: “Tieni”. E mi ha dato un assegno insieme a un libretto della liturgia con una sua frase in polacco: “Per la Caritas della Georgia da Giovanni Paolo II”. E poi mi ha preso per mano e mi ha detto: “Adesso andiamo a pregare insieme”. Per me è stato uno dei momenti più belli della mia vita.

a cura della redazione di N.P.
da Nuovo Progetto novembre 2005

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