Esiste la buona politica?

Publish date 02-05-2016

by Fulvia Mantino

di Fulvia Mantino* - Prendersi cura della propria comunità come forma alta ed esigente di carità.

Entrare in politica: quando ho accettato l’incarico di assessore in una realtà amministrativa di un Comune medio non ho immediatamente realizzato il significato attribuito a questa affermazione.
Quando arrivò la proposta infatti non mi ero mai assolutamente occupata di politica attiva e la proposta ha suscitato in me non poco stupore e perplessità: perché io?
Avrei avuto le capacità necessarie?
La proposta tuttavia aveva già iniziato il suo lavoro di turbamento: era arrivata una chiamata a cui si doveva decidere come rispondere.

L’assunzione del ruolo è stata in qualche modo una sorta di investitura che ha cambiato fortemente il tipo di immagine rimandata dall'esterno. Come ogni ruolo anche quello di amministratore locale non può che essere definito in un contesto di relazione nel quale entrambe le parti contribuiscono a definire il ruolo stesso. Questa definizione tuttavia è fortemente condizionata dal contesto culturale nel quale, a torto o a ragione, il soggetto politico non è per definizione positivo. Ne deriva che chi ricopre questo ruolo riceve dall'esterno messaggi fortemente contraddittori quasi che dovesse necessariamente caricare su di sé la responsabilità dell’intera categoria rendendo vana – o quantomeno critica – la possibilità di rappresentare uno stile nuovo di fare politica.

Vale a dire che viene applicato di norma uno stereotipo e che nella migliore delle ipotesi il politico in questione viene additato come una eccezione. Questo essere eccezionali è pertanto assai disfunzionale rispetto alla possibilità di cambiare profondamente il contesto poiché non rappresenta un nuovo stile quanto piuttosto una estemporanea rappresentazione di impegno che resta comunque così limitata da non far intravvedere un modo nuovo di fare politica. Per contro spesso il feed back ricevuto, nell'imperante contesto culturale improntato all'individualismo, è proprio quello di una attenzione particolare al singolo: come se il proprio interesse determinasse attese che non si percepiscono come incongruenti rispetto a quella modalità non populista e non opportunista che nelle affermazioni generali si intende combattere.

Altro elemento di difficoltà è determinato dalla dimensione di dono, di carità dell’esperienza politica: questa dimensione infatti è con vera difficoltà riconosciuta anche negli ambienti parrocchiali. Per fare un esempio molto semplice, si può considerare come sia assolutamente improbabile che l’attività politica venga additata come esempio di carità sempre superata da attività di volontariato, servizio parrocchiale, catechesi… mentre in questi casi chi offre il proprio servizio viene indicato come esempio di gratuità, nel caso dell’attività politica vi è sempre un substrato di sospetto legato alla valutazione di un possibile vantaggio personale – e quindi non gratuito – di chi esercita il ruolo. In altri termini mentre la generalità delle opere di carità suscitano una idea di riconoscenza, nel caso dell’attività politica non solo manca questo aspetto (peraltro superfluo a fronte della gratuità del dono) ma viene a mancare anche il riconoscimento ossia il vedere l’impegno profuso – a prescindere dalla possibilità di avere visioni politiche differenti –, il constatare l’utilità stessa del servizio reso.

Questo atteggiamento rischia di creare un effetto paradossale di scollamento ulteriore tra chi assume ruoli politici e chi dovrebbe supportarlo – anche con la critica e il dissenso – ma con un assoluto riconoscimento del ruolo. In questo l’effetto paradossale della profezia che si autodetermina è a portata di mano: se chi accetta la sfida non si sentirà riconosciuto sarà sempre più possibile che il ruolo venga assunto da chi interpreta lo stesso in maniera contraria a quella auspicata. Questa responsabilità diffusa di chi non assume ruoli politici attivi è scarsamente considerata. Un ulteriore elemento critico è dato dalla forte risonanza che immagini stereotipate quali quelle descritte vengano amplificate in un’epoca nella quale assumono un ruolo nuovo e determinante i social.

Attraverso questi mezzi passa infatti molta della virulenza di chi non distingue tra ruolo e persona. Mentre nella dialettica vis-à-vis è infatti possibile distinguere ruoli e persone e favorire un confronto che attraverso anche la divergenza di opinioni porti ad un dibattito costruttivo, le opinioni espresse attraverso i social sono spesso unilaterali e improntate allo stereotipo che vede nel politico un decisore sempre improntato all’interesse proprio o del proprio ristretto ambito di riferimento.

Pur con i limiti suesposti anche l’esperienza politica, come ogni forma di impegno, richiede la capacità di vedere il proprio dono senza pretesa di poter raccogliere il frutto dello stesso nell’immediato. Se imparassimo tuttavia a considerare l’importanza di prendersi cura della propria comunità come “alta ed esigente forma di carità” sapremmo imparare a riconoscere che ciò che otteniamo dai nostri governanti è strettamente connesso a ciò che ci attendiamo da loro e che non c’è buona politica attiva senza una altrettanto buona capacità di sostenere – anche con la necessaria correzione fraterna – chi questo ruolo ricopre.

Foto: Max Ferrero / SYNC
www.maxferrero.it
* Assessore alle politiche sociali Comune di Piossasco (TO)

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