Chet Baker

Publish date 10-08-2012

by gianni

di Gianni Giletti - Un disco di Chet Baker è come la città di Torino; se non sei attento, te li perdi.
Se lo ascolti distrattamente, boh, non ti dice molto, un po' noioso, che diavolo, è jazz !
Ma se per sbaglio ti passa un suo brano, lento, alla sera, dopo una giornata pesante, luce soffusa e mezza voglia di andare a dormire… tac, sei fatto !
La sua tromba e la sua voce ti conquistano e dopo, nulla è più lo stesso.
Chet Baker ha avuto una vita difficile, conclusa in maniera drammatica giù da un finestra ad Amsterdam nel 1988, in circostanze mai chiarite, ma ha seminato musica di alta classe, pur in mezzo a mille difficoltà e malesseri, droga e carcere, salute incerta e talento purissimo.
Come trombettista, la sua specialità è il suono "soffiato"; sui lenti è letale, il suo suono è unico, caldo, poetico, le note lunghe, tenute all'infinito, ti commuove per la delicatezza.
Un critico ha detto che il suo modo di tenere le note "ti faceva pensare al momento in cui una donna sta per piangere, quando la bellezza trabocca dal suo viso, in quell'attimo che, lo sai, non potrà durare. Ma in quell'attimo, più che in ogni altro, c'è il presentimento dell'eterno".
In questo disco, notturno se c'è n'è uno, Chet Baker è insieme ad un altro grande del jazz, il pianista Paul Bley, che sottolinea, scompare, grida e sussurra con il suo piano, accompagnando e divenendo complementare al grande trombettista.
Piano e tromba, oltre alla voce di Chet, ti prendono per mano e ti portano in un luogo misterioso, lontano eppure familiare, dove i tuoi sogni prendono forma e diventano suono, poesia.

DianeChet Baker & Paul Bley
Diane
1985 Steeple Chase 

 

 

 

 

 

La Musica che non c'è – Rubrica di Nuovo Progetto

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