ROMANIA: Dalla strada alla vita

Publish date 31-08-2009

by Claudio Maria Picco

La Fundatia De Voluntari Somaschi a Baia Mare è un punto di riferimento che crea occasioni di accoglienza e di sviluppo. Dalle parole di Albano Allocco, somasco, emerge uno spaccato poco conosciuto di un Paese europeo emergente, la Romania.

di Claudio Maria Picco

Dana è una ragazza rom, storpiata da piccola, obbligata a elemosinare in città. È arrivata a Casa Miani - una delle realtà d’accoglienza dei padri somaschi in Romania - incinta, ha chiesto protezione. Da alcune settimane è ospite del centro dove padre Albano, con l’aiuto di volontari ed operatori, raccoglie bambini di strada. In questo momento ce ne sono più di cento, dai 6 ai 20 anni. Alcuni si fermano, altri vanno e vengono. Ricevono vestiti puliti, una doccia, un pasto e - se scatta un minimo di interesse per una giornata diversa strappata alla colla - la possibilità di ottenere istruzione, cure e magari quell’affetto che avrebbero dovuto ricevere dalla famiglia o dal clan. “A Baia Mare e a Tirgoviste abbiamo sia comunità interne sia attività rivolte al territorio. Di giorno e di notte usciamo con un camper e incontriamo centinaia di ragazzi abbandonati”.

Padre AlbanoIn Romania gli abbandoni di minori sono tantissimi: “Molte famiglie mandano i ragazzi a elemosinare e li picchiano se non portano a casa i soldi”. Uno dei problemi che spesso mettono a rischio il recupero è il fatto che le famiglie possono riprendersi quando vogliono i propri figli che si sono rifugiati nei circuiti di accoglienza. Alcuni dei ragazzi che frequentano il centro diurno di padre Albano hanno i genitori che lavorano all’estero. Finiscono per strada perché i nonni a cui sono affidati non riescono a seguirli. Altri, i più difficili, sono quelli che scappano dalle case famiglia, che il governo ha aperto dopo aver chiuso gli orfanotrofi. È il caso di Joan: la famiglia a cui era stato affidato prendeva i soldi del governo, ma non se ne occupava. Lui ha preferito stare alla Fundatia.

“In sede europea lo Stato sostiene di aver fatto un’operazione brillantissima chiudendo gli orfanotrofi, ma di fatto i minori non sono tutelati in modo adeguato, e io posso testimoniarlo con tanto di documentazione”. Dana non ha voluto saperne di ritornare a casa. È rimasta anche lei alla Fundatia.
Pochi giorni fa ha partorito una bella bambina, frequenta il laboratorio di cucito, si è staccata dalla famiglia, non ha più bisogno di vendersi e di chiedere l’elemosina. Per lei è cominciata una vita nuova. Per migliaia di ragazzi come lei c’è solo un tragico presente fatto di prostituzione, di furti, di droga - colla e anfetamine - e di violenze.

Padre Albano non è nuovo a questi problemi. Ha una lunga esperienza con i ragazzi difficili del carcere minorile, maturata a Torino. Venti anni di fatiche, in prima linea per strapparli al degrado, alla malavita, alla violenza. Ci incontriamo nella sede del Sermig a Cumiana. Con un lavoro di anni e con l’aiuto di tanti amici, il Sermig l’ha fatta diventare una vera e propria stazione di rifornimento per la solidarietà. Da lì partono container carichi di materiali, di alimenti, di vestiti, di medicine, aiuti di prima necessità ma anche progetti di sviluppo, idee, soluzioni tecnologiche innovative, insomma tutto quello che serve ad una crescita umana nella dignità e nella giustizia.
Padre Albano è arrivato con due furgoni e con la carica contagiosa della sua grinta. Ragazzi che lavoranoSi capisce che ha una mission nella testa, ma ancora di più nel cuore. Facciamo un giro nel deposito per scegliere i materiali che utilizzerà nel suo centro di Baia Mare. Il Sermig qualche tempo fa gli ha mandato cinque lavatrici che ora si stanno confermando come un piccolo miracolo. Servono a lavare gli indumenti sporchi dei ragazzi, ma servono anche alle famiglie del vicinato che vengono fino alla Fundatia con i loro panni sporchi. In questo modo si intrecciano relazioni, si avviano iniziative. “Al mattino abbiamo la fila di mamme e una ventina dei loro piccoli sono ormai costantemente inseriti nell’alfabetizzazione; stiamo anche cercando di fare dei lavatoi pubblici dotati di acqua calda.

La nostra filosofia non è fare la carità, ma creare sviluppo. Sono convinto che nel campo della solidarietà bisogna fare impresa sociale”. E lui di imprese ne sta avviando. “Gli adolescenti quando entrano in contatto con noi ci chiedono lavoro, per farsi la loro vita. La Romania è un grande Paese che non ha risorse, per cui anche l’offerta sociale non c’è”. Ha messo in piedi un centro diurno dove si fa alfabetizzazione, recupero scolastico e laboratori dove si insegna un mestiere. Il laboratorio di sartoria occupa 20 ragazze dell’orfanotrofio, che in questo modo sono sottratte al rischio di finire nuovamente per strada. Con quello che resta dopo aver pagato spese e stipendi copre una bella fetta dei costi di Casa Miani.

Ragazzi che lavoranoI prodotti sono commercializzati da imprese italiane che da anni lavorano in Romania. “Quest’anno un aiuto importante è arrivato da Umberto Albarosa della Cefin (vedi NP marzo ‘09). Fa da sponsor ad alcune nostre iniziative per creare risorse lavorative. È un circuito vincente perché crea sviluppo sul posto; dà qualità anche culturale al romeno - le cose non bisogna solo farle, ma farle in un certo modo -; infine fa carità senza accorgersene”. Un significativo intreccio di sinergie tra mondo delle imprese e mondo della solidarietà con un impatto più che positivo in un’area in cui il 20% della popolazione è povera e il 15% è a livello di pura sopravvivenza. Per tanti si tratta di un’alternativa seria all’emigrazione. Ma non c’è solo il taglia e cuci. In un’area lì vicino alcuni operai producono mattoni di cemento per l’edilizia, più in là funzionano un ambulatorio e una farmacia dove si distribuiscono farmaci alle tante persone che ne hanno bisogno. “Ne diamo addirittura all’ospedale – conferma padre Albano - non solo, alla città di Baia Mare la fondazione Somasca fornisce anche il servizio di ambulanza”.

Gli chiedo che senso ha quello che sta facendo. “Lavoro volentieri in Romania. Stando sul posto ho visto che c’è un potenziale, che si può fare molto. C’è bisogno di una cultura di tipo europeo e cristiano, in grado di prendersi cura delle situazioni di povertà - compito questo che spetta innanzitutto al governo - e nello stesso tempo occorre creare una cultura del volontariato, per ora in gran parte assente.
Per il momento è l’ambiente cattolico che veicola di più questa cultura della solidarietà”. Ne vale la pena? “Certo che ne vale la pena, quello che faccio qui è il senso della mia vocazione, è la mia mission. In una cultura asfissiante come la nostra in cui tutti giudicano tutti, abbiamo bisogno di alzarci e camminare. Il vangelo è propositivo, non è negativo!”. Vedi un futuro per i ragazzi che accogli? “Molto, molto. In Romania i ragazzini sono abbandonati, ma non sono rovinati e viziati come spesso i nostri.
Quando trovano il giusto aiuto, ce la fanno. In questo momento ne recuperiamo almeno l’80%, in Italia la percentuale era del 40-50%”. Il tempo è volato, devo chiudere.
Lo aspetta un pranzo di corsa con gli amici del Sermig e mille altri impegni nel pomeriggio.
 

Claudio Maria Picco
Nuovo Progetto aprile 2009

 

 

 

 

 

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