Condividere il dolore

Publish date 03-02-2016

by Matteo Spicuglia

di Matteo Spicuglia - L’esperienza di un giornalista turco davanti alla divisione della memoria: la sua lezione di perdono.

In Turchia, tutti conoscono Hasan Cemal, uno dei giornalisti più citati, nel bene e nel male. Nato nel 1944, è stato una firma di punta dei principali giornali del Paese: Chumhuriyet fino al 1992, Sabah fino al 1998, poi il Milliyet fino al 2013, l’anno delle dimissioni seguite alle critiche dell’ex primo ministro Recep Tayyip Erdoğan a un suo articolo. Cemal era diventato una voce scomoda non solo per le sue idee politiche, ma soprattutto per la sua storia, per il suo cognome pesante. Hasan è il nipote di Cemal Pasha, uno dei triumviri che governò l’Impero Ottomano durante la prima guerra mondiale, uno dei responsabili dello sterminio delle popolazioni cristiane di tutta l’Anatolia, a cominciare dagli armeni.
Hasan Cemal è cresciuto con il mito del nonno, in un Paese che continua a negare il genocidio di un secolo fa, di quell’estate in cui l’esercito ottomano e le bande paramilitari turche e curde uccisero almeno un milione di persone. Tuttora, la storia ufficiale in Turchia è un’altra, il negazionismo, una bussola, la cornice che a scuola e nelle università alimenta diffidenze e pregiudizi.

Cemal però è riuscito ad andare oltre. Lo ha fatto grazie all’amicizia con due figure chiave: lo storico turco Taner Akcam, uno dei principali studiosi del genocidio armeno. “Lui - scrive Hasan - è stata la chiave che ha aperto la mia testa”.
Poi, l’esempio dell’intellettuale armeno Hrant Dink, ucciso a Istanbul nel gennaio del 2007, “la chiave che ha aperto il mio cuore”. È il miracolo dell’amicizia che apre testa e cuore e dopo tanti anni darà ad Hasan il dono della limpidezza e dell’onestà intellettuale, le condizioni che lo porteranno a prendere pubblicamente le distanze dalle responsabilità del nonno, a riconoscere senza se e senza ma il genocidio e a chiedere scusa agli armeni e ai loro discendenti. Un passo coraggioso, per nulla scontato, anche perché in Turchia chi sostiene posizioni simili può trovarsi in un’aula di tribunale, a rispondere di offesa all’identità turca. Hasan ha raccontato il suo cammino interiore in un libro bellissimo, tradotto in italiano con il titolo: “1915: genocidio armeno”. È la testimonianza di come sia possibile cambiare le proprie idee in nome della verità, ma anche costruire concretamente un futuro di pace, dopo decenni di nonsenso e di disperazione.

Hasan riconduce tutto al dolore, la dimensione in cui gli uomini e le donne possono incontrarsi. In Turchia, spiega, tutti hanno un dolore, che spesso devono tenere nascosto. Ci sono armeni che hanno ascoltato i racconti terribili dei loro avi, che fanno memoria di uccisioni indiscriminate, di soprusi, di razzie, di una cultura sradicata dopo millenni. Ma in Turchia ci sono anche curdi che hanno sofferto umiliazioni profonde, che hanno visto negato il loro diritto all’esistenza, che hanno pianto mariti, mogli, figli, genitori. Così anche i turchi che in famiglia continuano a ricordare le pulizie etniche dei Balcani degli inizi del ‘900, le storie di chi trovò rifugio in Anatolia, di chi perse tutto.

“Si può aver paura della storia? – si chiede Cemal – Noi in Turchia ne abbiamo ed è una paura molto profonda... Forse per questo il nostro inno nazionale turco inizia con la parola paura”. Eppure, “un domani verrà fuori qualcuno che riporterà in un libro i dolori della sua nonna turca, un altro quelli della sua nonna curda. Lo faccia. Di cosa dovremmo avere paura? Chiunque ha dei legittimi dolori”. Dolori concreti, dolori che toccano la memoria e la carne, dolori che meritano uguale rispetto. Perché la chiave della pace, insegna Hasan Cemal, è smetterla di confrontare i dolori, pretendere di classificarli attraverso la lente dell’ideologia e della politica. No, i dolori non si confrontano. Si condividono! Chi lo fa, non avrà più davanti un cristiano, un musulmano, un turco, un armeno, ma un uomo o una donna che ha sofferto, una storia che ti interpella, che non chiede nulla. Solo di essere ascoltata. Hasan lo chiede ai turchi. Forse, senza rendersene conto, lo dice anche ad ognuno di noi, al mondo intero.

 

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