LAB.BAMBINI/4: Sconfiggere il ''Digital divide''
Publish date 2000-06-23
Una proposta perché tutti abbiano pari opportunità di sviluppo: un computer portatile per ogni bambino.
Con “digital divide” si intende il divario esistente tra coloro che hanno accesso alle nuove tecnologie (internet, computer), e chi non può farlo per motivi diversi come reddito insufficiente, ignoranza, assenza di infrastrutture (come nel caso dei Paesi sotto sviluppati). Ed è un circolo vizioso, perché col passare del tempo chi ha accesso alle nuove tenologie le utilizza per migliorarne l’efficienza ed aumentarne la diffusione, allargando il divario.
Così, mentre in Italia un bambino cresce circondato da tv, telefonini e computer che lo mettono in contatto con (fin troppa...) informazione, nei Paesi in via di sviluppo ha difficoltà ad “uscire” persino dai confini del proprio villaggio. |
Chiaramente le priorità di ogni Paese sono commisurate alle proprie necessità: un Paese dove si muore di fame e di sete ha un bisogno immediato di cibo; un Paese dilaniato da una guerra civile ha un bisogno immediato di pace. Ma un Paese la cui società ha bisogno di crescere oltre il livello di sussistenza ha un bisogno immediato di cultura e di istruzione per le generazioni presenti e future. In questo solco si pone il progetto di “One Laptop Per Child”: l’idea visionaria di Nicholas Negroponte, direttore del Media Lab presso il M.I.T. di Boston, di realizzare un computer portatile ad un costo molto basso, $100, da distribuire ad ogni bambino in età scolare come supporto per lo studio, il divertimento, e la comunicazione. |
Alcune delle caratteristiche di questo portatile: Dall’annuncio del progetto - gennaio 2005 - ad oggi il progetto è avanzato tra difficoltà tecniche (ad esempio, allo stato attuale, sembra che il portatile costerà intorno ai $140) e politiche (la produzione non partirà in larga scala finché non siano stati firmati ordinativi da parte degli Stati per almeno 5 milioni di unità); ma nel mese scorso la Libia ha ordinato 1.2 milioni di unità, con Brasile, Argentina, Nigeria e Tailandia che si apprestano a fare altrettanto, ed in questi giorni i primi 1.000 computer sono usciti dalla catena di montaggio per affrontare una fase di test “sul campo”. Alberto Massari
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