Servire la pace
Publish date 19-12-2011
di Rosanna Tabasso – La regola del Sermig (5) Quando leggiamo questa pagina della Regola andiamo con il ricordo all’incontro di Ernesto Olivero con Giorgio La Pira, allora sindaco di Firenze e ora in concetto di santità. Era il 1973 e questo uomo mite e lungimirante ci scriveva: “Sì, al disarmo di Isaia non c’è alternativa: l’ARA PACIS (come fu al tempo di Augusto) – costituisce oggi – e sempre più – il senso unico della storia…”. La Pira ci ha insegnato a credere che la pace non è la vaga utopia di sognatori ma è la concretezza della speranza, è credere nel buio della notte che ogni mattino il sole torna a sorgere. Oggi nel mondo si contano oltre trenta conflitti e se ne sono aperti di nuovi in Nord Africa e in Medio Oriente. In qualche momento lo scoraggiamento può farsi strada, ma è un attimo, poi dal cuore riaffiora la risposta, limpida come una sorgente d’acqua: servire la pace è anzitutto coltivare la certa speranza che la pace è possibile nonostante la complessità con la quale ogni generazione si misura. È credere che la storia che viviamo è parte della storia di salvezza del Regno che avanza. Dio benedirà il Suo Regno con la giustizia e con la pace, come Gesù ha annunciato, ma non senza noi. La pace è possibile ma come ogni dono di Dio ci è data nella libertà di cercarla con l’impegno personale, di implorarla con una preghiera incessante, di sceglierla con la volontà di disarmare noi stessi. Non è banale ricordarci che ad ogni livello le scelte di pace sono sempre legate ai sì e ai no di singole persone, chiamate alla responsabilità di nazioni; persone come La Pira sono state capaci di anteporre agli interessi economici – pubblici o privati – il bene dei popoli e hanno fatto avanzare la pace. Non sono mai scelte facili e non si improvvisano; soprattutto non sono scelte sostenibili da soli. Bisogna coltivarle insieme ad altri, bisogna sostenersi l’un l’altro per preservarle.
La nostra è l’epoca del benessere, dello sviluppo economico ma anche dei grandi egoismi sociali e personali. Inutile negare che nella sostanza la pace non sia considerata come la priorità ma quasi come la debole bandiera di persone poco concrete. Non è così. La pace è la scelta di persone forti, determinate, disposte a pagare di persona nelle scelte personali come in quelle di responsabilità collettiva. Anche se non saremo coinvolti in decisioni che potranno cambiare i destini delle nazioni (mai dire mai…), tutti avremo sempre il compito di dissodare il terreno perché sia fertile alla pace, educandoci ad essa ed educando le persone – soprattutto i giovani – ad uno ad uno. Educando il lupo che è in noi, pronto ad aggredire per difendersi o per possedere, per vincere e per annientare l’altro. Il lupo dell’io, se lo si lascia spadroneggiare, non ha limite, riconosce solo se stesso e distrugge chiunque gli si avvicini. Si sopravvaluta e non ha più spazio di confronto con nessuno, l’io diventa la misura di tutto, gli altri sono nemici, i sentimenti più forti il rancore, la voglia di farla pagare. È la spirale dell’odio e si insinua in una famiglia come in una fraternità, nella politica di una nazione democratica come di uno Stato totalitario.
Educarci ed educare ad una cultura di pace e di vita significa educarci a superare l’odio, a scegliere la via del perdono, del rispetto, a cercare ciò che unisce, a superare le divisioni con il dialogo; contribuire a convertire il lupo della guerra, della fame, della disoccupazione, della non vita. Chi serve la pace resta vigile, non smette di sperare e di credere che come ha disarmato se stesso così insieme ad altri può disarmare eserciti. È visionario? No, è come la sentinella che nella notte vede sorgere l’alba all’orizzonte e annuncia il giorno della pace.
from NP 2011, n.5