La comunità internazionale
Publish date 28-10-2023
In un mondo in guerra, diviso, polarizzato, sempre più instabile, che senso ha parlare di comunità internazionale? Il multilateralismo ha ancora un valore? Che margini ci sono per affermare e promuovere i diritti umani? Non esistono risposte preconfezionate. Antonio Maria Costa lo dice senza mezzi termini. Economista, una lunga carriera alle spalle culminata nel ruolo di vicesegretario generale dell’Onu, una grande esperienza. Eppure, un “mondo in ebollizione” come quello di oggi chiede di non edulcorare in nessun modo la realtà. È da lì che bisogna partire. «Non possiamo buttare via ciò che abbiamo costruito dopo la Seconda guerra mondiale», spiega Costa.
Quell’idea di bene comune nata da milioni di morti e distruzione, confluita nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo, nella nascita delle Nazioni Unite.
Tuttavia, quei principi in molti contesti sono rimasti solo sulla carta…
Sì, però dobbiamo anche cogliere la realtà nel suo insieme. Partiamo dall’Europa.
Abbiamo avuto tragedie e guerre recenti come nella ex Jugoslavia e adesso in Ucraina, ma dobbiamo ammettere che l’Europa non ha mai vissuto un periodo così lungo di pace. Al contrario l’Africa soffre per numerosi conflitti: il potere coloniale ha inventato confini, ha diviso etnie che prima vivevano insieme e collaboravano. Sono conflitti retaggio del nostro imperialismo che ha creato una geopolitica falsa irrispettosa dei popoli e delle tradizioni locali. In Asia, se si escludono le guerre alimentate dall’esterno come quelle in Corea e in Vietnam, la maggior parte degli Stati ha vissuto in pace e questa pace ha portato progresso. Ci sono luci e ombre, insomma…
Sta di fatto che oggi l’ordine nato dalla seconda guerra mondiale viene messo in discussione. Soprattutto dopo la guerra tra Russia e Ucraina, per esempio, l’Onu è come bloccato da veti incrociati. Come si esce da questo stallo?
Purtroppo è così, ma devo dire che oggi l’ONU rischia l’irrilevanza non solo per colpa sua. Nella storia delle Nazioni Unite, abbiamo avuto diversi segretari generali che si sono battuti in prima persona per la pace, il secondo Dag Hammarskjöld addirittura è morto mentre cercava la pace in mezzo ai Paesi belligeranti. Oggi ci sono 192 Paesi, ma a contare sono in pochissimi.
Si dovrebbe avere il coraggio di riformare tutta l’istituzione a partire dal consiglio di sicurezza, secondo un principio equo della rappresentanza Ma è qui che arrivano i problemi.
Oggi hanno potere di veto Stati Uniti, Russia, Cina, Gran Bretagna e Francia.
Ma anche l’India reclama il suo seggio, i Paesi africani, il Sud America. Aspirazioni legittime. Il dibattito è iniziato oltre dieci anni fa e durerà molti anni ancora. Detto questo, dobbiamo ricordarci che l’Onu non è solo il Palazzo di Vetro di New York, ma una rete di istituzioni che lavorano sul campo.
Pensiamo alla fao, all’Organizzazione mondiale della sanità, all’unicef, all’unhcr, all’unesco. Sul campo si può fare veramente la differenza.
La comunità internazionale dopo la seconda guerra mondiale fu segnata dal ruolo delle democrazie. Oggi gran parte degli Stati hanno regimi non democratici. Che scenari si aprono per il bene comune quando non c’è democrazia? E come mai è così peggiorata la reputazione del cosiddetto mondo libero?
È vero, la democrazia sta vivendo dei grossi problemi. Ci sono alcune storture. Penso agli Stati Uniti che oggi vivono una distribuzione del reddito totalmente iniqua. La differenza di reddito tra un salariato e un dirigente sta crescendo in modo spaventosa: oggi un dirigente può guadagnare 3mila volte in più del reddito di un dipendente. Ma c’è un problema più profondo.
Quale?
La democrazia appare in difficoltà nella risoluzione dei problemi. Si sta diffondendo l’idea dell’inefficienza della democrazia. Lo si vede in Africa dove da tempo si ricorre a generali e uomini forti. Ma anche in Europa c’è un’aria di abdicazione dei diritti, una sorta di disarmo nell’impegno e nella responsabilità.
Non abbiamo a che fare con il totalitarismo, ma con la convinzione diffusa che non serve impegnarsi e che è meglio delegare ad altri. Questo è un inganno, perché i problemi si affrontano proprio con la responsabilità di tutti.
Dobbiamo ripartire dalla scuola con una vera “educazione civica”. Insegnare ai giovani che vivono in una comunità che anche i piccoli gesti sono decisivi.
La mancanza di senso di appartenenza è evidente e su questo bisogna operare.
Sul piano economico invece, la globalizzazione non si arresta con effetti paradossali. Di fatto circolano liberamente le merci, anche gli affari illegali, ma non le persone e i loro diritti. Come si può pensare di costruire la fraternità prescindendo da questo elemento?
Se parliamo di migrazioni, il tema è difficilissimo da gestire, come l’Intelligenza artificiale e l’ambiente. Bisogna mettere sul tavolo tutti gli elementi: da una parte c’è un mondo di povertà che legittimamente bussa alle nostre porte, però c’è la paura di ipotetiche “invasioni”. Dall’altra, c’è bisogno di lavoratori stranieri per sopperire le carenze di personale e la crisi demografica. Al tempo stesso, permane una crisi economica che crea tensioni profonde e ineguaglianze. Io non ho una soluzione, ma abbiamo la responsabilità di trovare soluzioni umane e misericordiose ma anche realistiche. A complicare le cose è una sorta di concorrenza geopolitica che rischia di frammentare il mondo. Sono tante le potenze effettive o aspiranti tali (dagli USA alla Cina, dalla Russia all’India) e quindi è sempre più difficile parlare di bene comune in senso universale e condiviso perché emergono punti di vista sempre più diversi. Ogni Paese intende il bene comune in senso proprio. È una situazione di incertezza che temo durerà a lungo.
In tutto questo, si continua a spendere moltissimo in armamenti, a scapito dello sviluppo. Solo nel 2022, oltre 2.240 miliardi di dollari…
Quando si parla di spese militari, bisogna distinguere il concetto di difesa da quello dell’industria bellica.
Io credo nella pace perché credo nel diritto. Però non si può abbandonare il principio della difesa del proprio Stato. La sicurezza non può essere messa in discussione perché altrimenti vorrebbe dire abbandonare la cittadinanza alla paura. Secondo me non è logico confondere i piani. Altro discorso è l’industria delle armi, la cui logica del profitto può essere pericolosa. Nel caso dell’Europa, le spese per la difesa sono state sempre limitate per la protezione degli USA. La situazione contingente europea impone un’attenzione particolare al tema della difesa.
Va bene difendersi, ma che ruolo può giocare la diplomazia? Perché non funziona?
Uso una provocazione: io chiuderei le nostre ambasciate perché oggi hanno solo un valore simbolico, soprattutto quelle in Europa. Il mondo è cambiato così tanto che la diplomazia come struttura non serve più a molto. Le ambasciate hanno ancora un valore di promozione economica. Come valore però la diplomazia è necessaria ed essenziale, anche se è sempre più difficile proporre negoziati. È il tema di oggi: sembra incredibile, ma il negoziato viene visto come debolezza. Diplomazia e negoziati sembrano essere in questo periodo fuori tempo. Non dobbiamo arrenderci…
In uno scenario così contraddittorio, le singole persone cosa possono fare?
Rispondo con una storia. C’è un incendio in una foresta, un uccellino si riempie il becco d’acqua per spegnere il fuoco. Un altro uccello lo richiama e gli dice: «Ma cosa fai? Non serve a niente!». E l’altro risponde: «La mia goccia vale». Ha ragione, ognuno deve fare la propria parte anche perché un piccolo gesto serve a motivare altre persone a fare lo stesso. Si può lavorare dal basso per trasformare la mentalità soprattutto dei più giovani. Loro possono diventare dinamite per la società.
Quindi c’è speranza…
Deve esserci. Spesso vengono evidenziati gli elementi negativi delle vicende umane. Ma io, nella mia vita, nella mia lunga carriera, ho avuto esperienza di tanta umanità, di tante azioni buone, di tanta solidarietà. Azioni che non fanno notizia ma che sono reali e che dimostrano che non siamo soli.
A cura della Redazione
NP novembre 2023
Incontro completo
Foto: Renzo Bussio