Maria Pia Bonanate all'Università del Dialogo
Publish date 14-04-2014
All'Università del Dialogo il racconto di una storia d'amore, di amicizia e fraternità che si evolve nel tempo. "È stato l'amore a guidarci verso un viaggio ignoto, tutto da scoprire, tutto da riscrivere... Otto anni fa mio marito è stato colpito dalla sindrome di Locked-in, una forma di coma che al più consente un’ombra di coscienza e un minimo di comunicazione attraverso il battito delle ciglia". Maria Pia ha raccontato la sua esperienza martedì scorso durante il penultimo incontro della sessione 2013-2014 dell'Università del Dialogo Sermig.
Partendo dal suo ultimo libro, Io sono qui. Il mistero di una vita sospesa (Mondadori), Maria Pia ha risposto alle domande dei tanti giovani e adulti presenti. "La persona colpita da questa sindrome rimane lucida in un corpo immobile, c'è perché è viva, anche se la dimensione della sua vita cambia. Non abbiamo accettato di mettere mio marito in una struttura, abbiamo deciso di portarlo a casa, era giusto che continuasse ad essere al centro della nostra famiglia, come era prima.
Prima della malattia eravamo una coppia che aveva capito che poteva crescere solo aprendo le porte della propria casa. Dopo la malattia non ho voluto chiudere le porte, nonostante tutto, come sarebbe stato normale. Abbiamo continuato ad accogliere, siamo diventati una piccola Chiesa dove il letto di mio marito è l'altare. Certo, ho attraversato la notte oscura di cui parlano i mistici: per me la notte oscura è il dolore provato in prima persona che stritola, che soffoca. Nei primi tempi è stato terribile. Poi il Signore mi ha fatto incontrare la figura di Etty Hillesum; leggendo il suo diario, Etty mi ha aiutato ad affrontare questo viaggio. Nella terribile esperienza della persecuzione nazista che l'ha portata alla morte nel lager, lei testimonia che nessun dolore o sofferenza può avere la meglio sull'amore. Nella più grande sofferenza c'è sempre una Presenza in noi. La ragione non può aiutarci a superare il dolore, bisogna affidarsi a Dio con sensi nuovi, con una relazione nuova con Lui.
Bisogna però cambiare stile di vita, lasciare da parte l'esteriorità vivendo il mistero, che per me é stato la presenza della persona nonostante l'immobilità. Ho dovuto cercare modalità nuove per relazionarmi con mio marito, senza parole ma con il silenzio, con sguardi profondi, con un contatto fisico fatto di baci ed abbracci e, sembra incredibile ma vi assicuro che è vero, insieme così abbiamo raggiunto un'intensità d'amore superiore rispetto agli anni precedenti. Devo poi ringraziare per tante persone, amici, volontari, personale medico che ci hanno aiutato in tutti questi anni, non lasciandoci mai soli. Per tutto questo mi sento di dire a chi attraversa un'esperienza come quella che sta vivendo la mia famiglia: non chiudetevi nel vostro dolore, tenete aperte le finestre della vostra casa: entrerà la speranza".
Renato Bonomo
foto: G. De Franceschi / NP
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