La credibilità chiave dell'evangelizzazione

Publish date 31-08-2009

by Matteo Spicuglia


Ernesto Olivero prima di parlare di sé riflette, ti guarda con attenzione, non ha fretta, perché ogni parola abbia il giusto peso, il giusto significato, la giusta profondità. Sono tante le persone che conoscono il Sermig-Arsenale della Pace di Torino: la realtà di accoglienza e solidarietà capace di coinvolgere milioni di persone, l'oasi di spiritualità incarnata nelle sofferenze del mondo, il luogo in cui i giovani sono una risorsa su cui scommettere e non un problema. Ma dietro ogni progetto e slancio c'è la fede, la stessa che ha accompagnato Ernesto nel corso della vita, la scintilla di ogni scelta e impresa. È da qui che si deve partire per capire l'uomo e il Sermig, l'avventura nata dalla sua esperienza.

di Matteo Spicuglia


Ernesto, come nasce il suo rapporto con Dio?
“La mia fede è un'esperienza concreta: qualcuno mi ha guardato, amandomi con credibilità. La prima persona che lo ha fatto è stata la mia mamma, una madre vera che si toglieva il pane di bocca per darmelo. Se avevo bisogno di lei, arrivava anche alle due di notte e non mi diceva mai di essere stanca. Lei era una donna di preghiera ed è proprio per questo che la fede è entrata nella mia testa e nella mia vita come qualcosa di credibile. Un'esperienza proseguita poi con il mio parroco, un padre francescano che mi voleva bene e aveva fiducia in me. La fede è nata così da persone che mi hanno amato in modo credibile. E oggi è la stessa di allora”.

Eppure, è cambiato qualcosa nel cammino della vita?
“Non ho mai messo in discussione la fede, convinto che il segreto sia quello di rimanere bambini. Certo, oggi ho aumentato le conoscenze, ho un po' più di saggezza, ma non ho perso la curiosità di imparare. So che posso conoscere ancora tanto da Dio, come da un bambino, un vecchio, un credente o un ateo. Il mio pensiero giornaliero non è su cosa potrò insegnare, ma su quello che potrò imparare”.

Il suo è uno stupore che traspare anche in tanti scritti, specie di fronte alla storia del Sermig, realtà cresciuta oltre ogni previsione...
“È vero. Credo che lo stupore debba segnare sempre la vita. Ogni giorno, mi piacerebbe fare tutto ciò che il Signore vuole. Ma come farlo? C'è una frase molto bella che dice: 'Quando l'allievo è pronto, arriva il maestro'. Ecco, io voglio essere sempre quell'allievo”.

Come comunicare oggi la fede e questo stupore?
“Per me non è un assillo: sono convinto che chi cerca trova, anche la fede. Questo per dire che è necessario l’impegno personale; la fatica del cercare evita tanti falsi sorrisi e anche tante false gioie. Molti dicono che il cristianesimo è gioia, io sono convinto che il cristianesimo è prima di tutto l'incontro con Gesù Cristo, figlio di Dio, morto e risorto. Una realtà che dà una gioia immensa, ma anche dubbi e tristezza. Perché Gesù è stato ucciso? Perché tanti bambini violentati? Perché tanti morti di fame? Perché tanti carcerati che bussano alle porte e non ricevono risposte?”.

Perché?
“È lo stesso cristianesimo che chiede ad ognuno di diventare piccola risposta. Altrimenti, si confondono le persone e si fa fare brutta figura a Gesù. Il Vangelo ci dice che solo Cristo ha parole di vita eterna, ma quelle parole devono trovare una incarnazione e una disponibilità in noi. Se dico queste cose, chi mi chiama in piena notte deve trovarmi pronto e disponibile e il mio telefono deve essere sempre acceso. Solo così Gesù può continuare a comunicare qualcosa di profondo ad un mondo bruttissimo, corrotto e di plastica. Se i cristiani si innamorassero davvero di Cristo e lo facessero vivere dentro di loro, non ci sarebbe bisogno di altro”.

Insomma, un popolo di credenti credibili...
“Se sono una rosa profumata, il profumo si espande ovunque. Se invece, sono una rosa di plastica posso incantare chi voglio, ma il profumo non viene fuori. Soltanto dalla credibilità nascono l'evangelizzazione e il dubbio per gli altri. La gente deve poter dire dei cristiani: 'Guardate come si vogliono bene!'. Se non avviene questo, possiamo fare mille concerti, pubblicare libri e trasmettere speciali televisivi, ma nessuno ci crederà”.

Il Sermig è stato fondato nel 1964, epoca di grandi contrapposizioni ideologiche. Oggi, la situazione sembra opposta. Come sono cambiate le attese dei giovani in questi anni?
“Credo che il Sermig sia sorto per volontà di Dio. All'inizio non avrei mai immaginato ciò che sarebbe diventato. A partire dal nome, che in realtà non mi è mai piaciuto. Si arrivò a quella scelta perché volevamo offrire un servizio, avevamo il sogno di sconfiggere la fame nel mondo ed eravamo giovani. Da qui, il Servizio Missionario Giovani (Ser.Mi.G). Eppure, con il tempo ho capito che quell'ideale era sostanziale, un ideale alto da proporre. Il problema oggi è proprio questo: i ragazzi non hanno ideali alti, perché il mondo degli adulti li ha corrotti, molti muoiono di niente e per niente, ma continuano ad avere la bellezza dentro. Mi viene in mente un episodio significativo...”

Quale?
“Nel 2002 abbiamo promosso a Torino un incontro che per certi aspetti non è stato ancora capito. Un piccolo gruppo come il nostro, senza l'aiuto dei giornali e dei media, è stato capace di radunare 100mila giovani per l'appuntamento mondiale dei Giovani della Pace. Mi aspettavo al massimo 10mila ragazzi. Ricordo che di prima mattina, mi dissero che un gruppo di squatter voleva parlarmi. Accettai e mi trovai di fronte ad una scommessa: 'Nessuno parlerà di questo evento, perché non dirai a noi giovani di spaccare vetrine o occupare banche'.

Quei ragazzi avevano ragione. Per fare notizia, non sono bastati neppure 100mila ragazzi riuniti per parlare di giustizia, di amore, di un mondo migliore, capaci addirittura di ripulire la piazza prima di tornare a casa. Possibile che se i giovani non spaccano le vetrine, non si violentano e non si menano, nessuno ne parla?”.

Qual è il vostro metodo con i ragazzi?
“Abbiamo un feeling profondo con i giovani, ma non siamo buonisti. Vogliamo bene ai giovani, e per questo siamo anche severissimi. Spesso dico loro che sono dei “disgraziati” quando fanno uso di droghe, perché si ammazzano due volte. La prima perché distruggono le loro potenzialità e non faranno mai emergere il Francesco, la Chiara, il dom Luciano Mendez, il Michelangelo, … che hanno dentro. La seconda perché dietro spinelli e droga c'è sempre la criminalità e anche chi ne fa uso diventa amico della mafia. Quando lo spiego, cala il silenzio, ma molti ascoltano e a volte cambiano. Vedi, sono convinto che i giovani debbano essere guardati in faccia e anche essere presi di petto. La Chiesa deve avere per loro un amore sconfinato, ma anche il coraggio di mettersi in discussione e gridare a cuore aperto: diteci i nostri difetti, raccontateli, aiutateci a cambiare. In questo modo le vocazioni ritorneranno...”

Ernesto, cosa si aspetta dalla Chiesa oggi?
“Mi aspetto che si chieda perché i giovani non vanno più in chiesa. Dovremmo chiederlo a loro e scopriremmo che i ragazzi ci accusano di non credere nelle cose che diciamo. Me lo disse del suo educatore, un bambino siciliano che ho conosciuto qualche anno fa. Per questo è importante ascoltare i giovani, non perché santi, perfetti, puri e miti, ma perché ti sputano in faccia la “verità”. È possibile che tra imperfetti si possa trovare qualcosa di veramente bello!”.

Matteo Spicuglia
Korazym.org
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