Mandati a far nuove tutte le cose

Publish date 27-11-2016

by Giuseppe Pollano

La radice di Jessedi Giuseppe Pollano – La celebre pagina di Isaia proposta dalla liturgia il martedì della prima settimana di avvento (Is 11,1-9) si può dividere idealmente in tre sezioni: la prima riprende l’idea del germoglio (11,1), poi c’è una sorta di ritratto di come sarà questo germoglio cresciuto e maturo (11,2-5), infine c’è un tratto che sembra di pura fiaba, di utopia (11,6-9). Da queste indicazioni della Parola cercheremo di cogliere il nostro impegno natalizio.


la prima sezione: lo slancio vitale di Dio nel mondo

Viene ripresa l’idea del germoglio, così cara alla rivelazione(1). Ritroviamo quella spinta vitalistica, possente che i profeti tengono a mettere in rilievo, anche perché parlano ad un povero popolo stremato, scoraggiato, più vicino a pensieri di morte che di vita. Il germoglio che spunta è lo slancio vitale di Dio dentro la nostra mortale debolezza.

Questo bambino è tutto sostenuto da quello che Dio si era ripromesso di fare: Gesù Cristo per sé, Padre, e per noi, fratelli.
Tornano in mente le scene del battesimo di Gesù dove il Cielo fa sentire la sua voce: “ecco il mio prediletto”, espresso in greco con un superlativo assoluto, che dà un’idea più forte: “il mio amatissimo”.
Il vangelo di Giovanni ha poi un’osservazione acuta laddove Gesù, parlando di se stesso, dice “Sul Figlio dell’Uomo, il Padre ha posto il suo sigillo”. Il sigillo, nell’antichità, era un termine molto forte: il segno del potere, della proprietà. Gesù porta il segno del Padre, appartiene al Padre, ha in sé la potenza e l’incarico del Padre.
Dunque il germoglio è questa potenzialità di Dio. All’inizio non si vede ancora, ma non si tarderà a vederlo, tanto che la storia che viviamo adesso è la vicenda di questa potenzialità buona e benefica di cui noi ora siamo consapevolmente incaricati.


la seconda sezione: le caratteristiche dell’uomo nuovo

Il germoglio, Gesù, è un uomo veramente nuovo. Isaia descrive la straordinaria identità di questo personaggio su cui si posa lo Spirito del Signore. Passo dopo passo Gesù ha maturato in sé questa identità fino alla testimonianza della Croce.
Gesù è l’uomo nuovo, poi veniamo noi. Nella lettera ai Romani Paolo definisce l’uomo – adamo – come la figura di colui che doveva venire (Rm 5,14). Siamo degli incompiuti, figure di colui che quando viene ci dà tutta la nostra verità, perché è come se, incontrando Cristo, scoprissimo come dovremmo essere. Quali le potenzialità dell’uomo vivificato dallo Spirito? “L'uomo lasciato alle sue forze non comprende le cose dello Spirito di Dio: esse sono follia per lui e non è capace di intenderle, perché di esse si può giudicare per mezzo dello Spirito. L'uomo mosso dallo Spirito, invece, giudica ogni cosa, senza poter essere giudicato da nessuno” (1Cor 2,14-15). Sono uomo spirituale e, conseguentemente, vivo, faccio.
Un uomo così, certamente è capace di cose grandi. Non giudicherà secondo le apparenze. Non prenderà decisioni per sentito dire, giudicherà con giustizia i poveri. Finalmente! Gesù giudicherà con giustizia tutti. Ed è bene, per cogliere la giustizia di Dio, rileggere i terribili “guai” che Gesù lancia contro scribi e farisei (Mt 23,13-29), lo sdegno di Dio per le liturgie e i sacrifici di chi non agisce con giustizia (Is 1,11-15) e il suo invito a fare il bene (Is 1,16-17).
Gesù, nell’episodio della donna adultera (Gv 8,4-11), giudica con giustizia laddove sembrava che giustizia fosse già fatta. Infatti la legge parlava molto chiaro: in situazioni come questa si uccideva il colpevole senza toccarlo (lapidazione), senza sporcarsi. Gesù ribadisce che non ci si può ergere a giudici quando si hanno dei propri peccati e che bisogna dare una nuova possibilità. È giusto essere buoni. Infatti Gesù invita la donna a non peccare più. Gesù ci consegna la sua giustizia e ci chiede di viverla, perché anche noi abbiamo il suo Spirito, anche noi siamo figli di Dio come lui.
La parola del giusto sarà una verga che percuote il violento. Nell’Apocalisse si parla del Verbo di Dio che viene e vince nella terribile vicenda che è la lotta immane tra il bene e il male con la sua spada, che è la parola della verità (Ap 19,15).
Anche noi siamo chiamati a usare parole che abbiano la potenza della verità, per dire la verità quando va detta, mai disgiunta dall’amore e dalla carità. Verità e carità.
Allora è veramente contemplabile questo germoglio che diventa il Gesù del vangelo.


la terza sezione: dall’utopia all’escatologia

Questo germoglio, che è Gesù Cristo, apre un nuovo periodo storico. Isaia, presentandoci il lupo che dimora con l’agnello, spacca delle categorie, e lavora su questa contraddizione che umanamente e storicamente è impossibile, costruendo apposta questa scena irreale, per stupirci. Avremmo diritto di dire che questa è la fiaba a lieto fine.
Ma c’è molto di più.
Innanzi tutto c’è l’esigenza umana di realizzare un mondo dove tutti vivono concordi. La realtà presentata da Isaia è molto di più di una utopia: è una visione utopica che diventa possibile a noi, adesso, perché Gesù è risorto, perché, ci dice Pietro, “e poi, secondo la sua promessa, noi aspettiamo nuovi cieli e una terra nuova, nei quali avrà stabile dimora la giustizia” (2Pt 3,13).
Stiamo ad aspettare Gesù operando. La stupenda possibilità del cristiano è anticipare il Regno. È vero che siamo ancora qui, ma è pur vero che siamo già con Cristo. Se muoio vado dove sono già, con Cristo. Insomma, la fiaba è diventata possibile perché Cristo, il creatore del mondo, rende capaci di vivere la realizzazione del già in questo mondo, nell’ancora della dialettica della realtà umana, buio e luce, grano e zizzania.
Allora l’utopia non si chiama più utopia, ma, con termine teologico, escatologia: ciò che arriverà all’ultimo, ma ci è già anticipato.
Questo ci dà possibilità impensate perché rimane allora vero che si tratta di lavorare dentro l’umano. E sono rapporti umani quelli indicati da Isaia: insieme, con, accanto. La questione di fondo, socialmente parlando, è essere felici insieme. Il sistema cristiano non è isolarsi, ma far riemergere, in una umanità desolata imbruttita desolata, la bellezza dell’umanità stessa.
L’azione di Cristo – e adesso nostra, se lo vogliamo – fa riemergere perciò giorno per giorno la bellezza della creazione che il peccato ha deturpata.
Noi crediamo che sia possibile questa non fiaba, non utopia, ma programma di vita cristiana che si alimenta dalla forza della resurrezione.


il nostro impegno

Gesù è stato mandato per far nuove tutte le cose e noi siamo parte di questo progetto. Il cristiano è perciò un mandato, un missionario. Vivere sempre nel brutto operando affinché diventi bello non è cosa umana, ma divina. Diventa un nostro impegno e il cammino che il Natale ci indica. Se non lo percorriamo, trasformiamo Gesù in un personaggio simbolico, facendo un’operazione molta ingiusta verso di lui, ma anche verso di noi, perché portiamo la sua vita. Sicché dobbiamo accettare che tutti coloro che incontriamo possano essere più compiuti in Gesù attraverso il nostro essere insieme, accanto, con. Non mi vuoi? Ebbene, ti sto insieme, vicino. Sei repellente? Non guardo la tua faccia, ma cerco la novità del tuo cuore. Sei un morto putrefatto? Allora mi ricordo di Lazzaro. Non è certamente una vita gratificante e comoda, ma la sfida di Gesù è questa, e non è un caso che sia andato in un sepolcro e poi sia risorto.
Lo stile del cristiano di guardare l’umano è la filocalia, l’amore delle cose belle: non è affatto un aspetto estetico, ma pratico della vita, far riemergere e restituire la bellezza, come ha fatto Gesù e come continua a fare con noi.

Ringraziamo il germoglio perché lui porta lo slancio vitale di Dio che non possederemmo; ringraziamolo perché è l’uomo griffato da Dio, perché è colmo di uno spirito straordinario, multiforme, con tanti colori della verità che lo rendono affascinante e che lo hanno reso quel Gesù straordinario del vangelo. E questo ora siamo noi, perché siamo stati unti dello stesso Spirito, capaci come lui di giudicare con giustizia, di parlare con un amore anche inflessibile, quando necessario, ma sempre consolante e buono; e capaci soprattutto di accettare la sfida incredibile di stare insieme al lupo come agnelli. Ci vuole coraggio, speranza, pazzia di Dio, ma i santi ci dimostrano che tutte queste azioni si concludono nel modo giusto: infatti il lupo non ti divora, il serpente non ti morde se tu, con la semplicità di un bambino, metti la mano nel suo covo, cioè se cerchi di entrare con dolcezza nel suo cuore. Il mistero della grazia è questo. La missione incomincia qui.
Chiediamo di essere anche noi un bellissimo germoglio: Dio lo aspetta molto. L’avvento per noi è aspettare Dio, ma anche Dio aspetta noi.

Giuseppe Pollano
tratto da un incontro all’Arsenale della Pace
testo non rivisto dall'autore

(1) (cfr Gen 49,22; Sal 79,16; Pr 14,3; Sir 47,22; Sir 50,8; Is 4,2; Is 11,1; Ger 23,5; Ger 33,15; Ez 17,5; Dan 11,7; Zac 3,8; Zac 6,12; Mal 3,19; Ap 5,5)



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