Perché una regola di vita (1/3)

L’obiettivo da raggiungere - Avere un regola di vita non è soltanto la caratteristica di qualcuno, ma è necessità di tutti. Ci sono infatti due modi di vivere: uno è a corto raggio, affidato allo spontaneismo. L’altro è orientato a una finalità, grazie al contributo di una regola che mette ordine tra gli obiettivi e le azioni.

di Giuseppe Pollano



1)      Necessità di una regola di vita

Per vivere una vita degna si deve avere l’umiltà e anche la forza di orientarsi. Lo spontaneismo dà l’impressione di essere estremamente libero, sciolto da tutto; in realtà è condannato ad agire nel breve raggio delle cose che danno piacere, perché i nostri istinti è lì che vanno. Quindi, è ben poco libero. Dobbiamo tenere conto che viviamo in una società spontaneistica e anche mantenuta in un clima di spontaneismo da una accorta, occulta strategia culturale; quindi in una società pochissimo razionale, pochissimo libera.
Indicazioni stradali contrapposte e caoticheSicuramente abbiamo bisogno di orientarci, e orientarsi vuol dire “darsi un ordine”, intendendo con ordine un fine molto chiaro a cui la persona ragionevole e libera orienta tutto. Isaia, parlando di una città di cui non si sa bene il nome, che è l’antagonista di Gerusalemme, la chiama “la città del caos” (Is 24,10). Il caos c’è quando c’è molto movimento e pochissimo ordine. Una vita orientata, al contrario, è una vita che ha un fine, degli obiettivi, delle risorse e che le organizza per non perire nel caos delle proprie emozioni, delle proprie esperienze a raggio corto.


2)      Caratteristiche della regola di vita

Una regola di vita è il tentativo di tenere insieme la nostra personalità, giorno per giorno, forzandola a rimanere fedele alla finalità. È il segno della nostra fedeltà. Nessuno può imporla dall’esterno. È dunque qualche cosa che apprendo, che colgo, che assimilo, che continuamente riscelgo, che mi aiuta nei momenti di fatica, di snervamento e di disorientamento.
San Francesco d’Assisi ebbe moltissima difficoltà a dettare una minima regola di vita per i suoi “frati minimi”, perché gli sembrava che imprigionare una vita spirituale dentro a delle norme fosse come soffocarla; resistette fino all’ultimo, e soltanto quando il Papa gli disse che era necessaria una struttura perché la sua opera continuasse, si piegò a malincuore. Furono poi i suoi successori che definirono la regola. Anch’egli, tuttavia, intuì che non si poteva vivere in modo del tutto spontaneo.


3)      Mettere in ordine gli obiettivi

Dio è il fine. Dobbiamo arrivare di fronte a lui faccia a faccia e ogni giorno fare esperienza che c’è, che ci parla, che ci riempie il cuore. Ogni giornata è piena di obiettivi, dal nutrirci a tutte le faccende della giornata. Il primo disordine è lasciare che gli obiettivi facciano scomparire l’Obiettivo, e questo è un pericolo tanto più grande quando più gli obiettivi sono buoni: è molto facile intuire che se un obiettivo è perverso mi nasconde Dio; è meno facile rendersene conto quando l’obiettivo è buono.
Qual è il limite degli obiettivi? Che non sono Dio. Colmarsi di opere buone ma non avere più fame e sete di Assoluto è un errore abbastanza abituale, perdere di vista l’Assoluto, non frequentarlo con assiduità, moltiplicare gli obiettivi è sicuramente la nostra patologia. Enrico Gabardi, I colori della preghieraSiamo malati quando continuiamo a fare molte cose buone e lodevoli che la gente ci chiede, ma la nostra preghiera si inaridisce, il nostro gusto di stare con Dio languisce, il nostro bisogno di sentire o di mangiare la parola di Dio si indebolisce. È un pericolo permanente, specie in questa epoca che valorizza molto l’obiettivo immediato, ancor più se visibile.
Il segreto di una regola di vita che salva il primato dell’Assoluto è la scala valoriale: mettere gli obiettivi in fila, in modo che il primo sia veramente il primo. Come questa regola possa essere congegnata dipende dalle circostanze, dalle culture,... ma rimane vero che una giornata ha diritto di dire che è una giornata ordinata, regolata, se il suo primato pratico è Dio presente.
Questo è il primo criterio di fondo: metti l’Assoluto al primo posto, e poi metti le altre cose in ordine, in riferimento a lui. Non è la fedeltà il primo criterio; è apprezzabile, ma se il nostro temperamento è quello di essere fedeli ad una regola fino all’ossessione, si può cadere nell’osservanza, nel legalismo. Un atteggiamento di tanti uomini religiosi del suo tempo che Gesù condannava.


4)      Mettere in ordine le azioni

Tutto ha una certa trasparenza di Dio. Dio passa attraverso tutte le realtà, ma arriva a noi con una lucentezza diversa: ci sono azioni più trasparenti, ed altre meno.
Le nostre azioni in favore del prossimo sono incontri con Dio, hanno una trasparenza straordinaria, si potrebbero quasi confondere con Dio, ci tengono nella luminosità della grazia di Dio, nella carità, nell’amore; altre azioni sono meno trasparenti, ad esempio quelle che dedichiamo più a noi. La nostra maniera di vivere è molto opaca, e Dio passa a stento nell’egoismo. Chi vive in modo egoistico ha già rovinato le regole di fondo.
Allora mettiamo in ordine le nostre azioni. Prima di tutto quell’incontro abbagliante con Dio: non ci deve essere nulla tra me e lui, siamo in due, faccia a faccia. Poi quelle azioni che sono così vicine al divino e che danno luce: noi e il prossimo, gli altri. Dobbiamo, invece, diffidare molto di ciò che faremmo per noi o del fatto che noi, facendo delle cose, continuiamo a pensarci. Da questo punto di vista il nostro “io” è insidiosissimo perché, essendo affamato e avido di imporsi, ci scosta dall’Assoluto.


5)      La frontiera tra il guardare a Dio e il guardare a noi

L’assoluto del nostro “io” non può andare d’accordo con l’Assoluto vero. Non per niente le grandi regole spirituali hanno sempre insistito su un sottofondo di umiltà, di annientamento, di mortificazione: farai in modo di non lasciarti trarre via da Dio ad opera di quel piccolo dio che sei tu.
Mani che imitano una colomba sullo sfondo del cieloL’esperienza ci insegna a percepire con pronto discernimento il punto di frontiera dove cominciamo a non guardare più l’Assoluto perché stiamo guardando noi stessi. Nessuno può negare di essere ogni giorno tentato di valicare all’indietro questa frontiera interiore.
Il primato delle cose di Dio si concretizza in un certo stile. Noi uomini siamo molto limitati: dobbiamo evitare il difetto dell’angelismo, ossia pensare che possiamo ignorare i nostri limiti, i nostri condizionamenti. L’angelismo pretenderebbe di toccare sempre Dio, senza problemi.
Noi siamo condizionati dalle nostre molte sensibilità e perciò la nostra regola di vita diventa una scelta interiore che non nasconde la fatica; d’altronde siamo fuori dallo spontaneismo che ignora tutto e scorre per i fatti suoi. Se mi lascio andare ad una sensualità, ad un’avidità, ad un’irascibilità, evidentemente in quel momento ho rovesciato i fini; in sostanza, ho sbagliato.


tratto da un incontro all’Arsenale della Pace
testo non rivisto dall'autore
 
 

Vedi anche le riflessioni inedite di Mons. Giuseppe Pollano per la Fraternità del Sermig in Spiritualità

 

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