Missionari del regno (1/2)

Publish date 18-04-2015

by Giuseppe Pollano

di Giuseppe Pollano – Nel prefazio della liturgia quando si festeggia Cristo Re si parla di un regno “eterno e universale: regno di verità e di vita, regno di santità e di grazia, regno di giustizia, di amore, di pace”. Un regno quindi che non passa attraverso le strategie o le tattiche terrene. Gesù ha sempre voluto e continua a voler regnare sui nostri cuori, non sui nostri sentimenti e sulla nostra volontà. Vuole soltanto dei sudditi convinti, non spaventati e intimoriti, il suo regno è fatto di amici (cfr Gv 15,15). L’esperienza ci insegna che quando siamo amici siamo fedeli non per convenienze politiche, economiche, di vario genere, che sono fedeltà da servi, da schiavi. Invece l’amicizia è interiormente libera ed è fedelissima, il vero amico è fedele fino alla morte, proprio come Gesù ha fatto con noi.


Fr Beniamino, Cristo re dell'UniversoCome Gesù ha annunziato il suo Regno?

Gesù ha inteso il suo regno come regno sui cuori, dominati dall'influsso della bontà amorevole, della verità proposta, della umiltà pacifica, della generosità eroica.


La bontà amorevole

Gli ebrei si aspettavano un rabbi che insegnava, ma la cosa inaspettata è stata la bontà amorevole, gratuita, a tutti senza distinzione di persona da parte di Gesù. Anche i giudei erano buoni, ma stavano molto attenti a vedere chi beneficavano. Gesù no, con la sua bontà a piene mani – sprecando, potremmo dire noi umanamente – ha incominciato a guarire, a fare esorcismi, a risanare. E non dobbiamo pensare che tutti quei beneficati per ciò stesso siano diventati discepoli. È una bontà sua tipica, una bontà un po’ folle umanamente parlando e, secondo i nostri criteri, decisamente esagerata.
I discepoli non hanno capito questa bontà, erano uomini come noi. Ad esempio: quando scendono dalla Galilea a Gerusalemme e attraversano la Samaria, sono trattati male e la reazione a questa non accoglienza si traduce in "Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?" (Lc 9,54). E ricevono il rimprovero di Gesù, perché non avevano ancora capito che Gesù è buono con tutti e sempre. Lo hanno capito dopo la Pentecoste.
Lo stile di Gesù dovrebbe essere il nostro, di noi che siamo i missionari di adesso, pertanto a poco a poco dobbiamo incominciare ad annunziare il regno facendo capire che è un regno dove regna la bontà, ben sapendo che la bontà è la mia bontà, non qualcosa di astratto. La mia bontà è il segno che qualcosa di diverso capita. Una bontà che, come quella di Gesù, è del tutto inaspettata da chi la riceve, perché gratuita, senza pretesa di tornaconto, capace di porre nel cuore del beneficiato la domanda: “Ma chi glielo fa fare? Perché?”. Una domanda che apre la porta del regno.


La verità non imposta ma proposta

Ci sono tre modi di offrire la verità: esporla, imporla, proporla.
La verità non si impone come una cosa che è nostra. Quando il missionario incomincia a discutere, ad entrare nel clima di affrontare l’altro per avere ragione in nome della verità, sta sbagliando metodo. La verità non ci dà il diritto di trattare gli altri con quella specie di sicurezza che dà agli altri l’impressione che noi vogliamo vincere una partita.
La verità si propone. Il vangelo si propone e nella proposta c’è amore, c’è cuore. Se si propone il vangelo col cuore arriva al cuore, perché mentre l’imposizione ha come effetto un rimbalzo, la proposta cordiale, amichevole, umile arriva al cuore. Da cuore a cuore. Leggendo il vangelo riscontriamo che Gesù, anche per le verità più alte e serie, propone sempre. “Chi ha orecchi...”. Quando parla di sé come via, verità, vita e i discepoli sono perplessi, fa un amorevole rimprovero, non li prende per il collo. Chissà come era la voce di Gesù quando proponeva il regno! Certamente chi lo ascoltava percepiva amore, amicizia, entusiasmo. Lo stile di Gesù non è imporre.


L'umiltà pacifica

Come è difficile annunciare la verità con umiltà pacifica! Perché la verità è come ci desse un diritto, ma non ci dà mai il diritto di non essere umili. Gesù ci ha detto chiaramente di imparare da lui che è umile e mite di cuore, di trattare gli altri come lui li ha trattati. A Pilato che gli dice: “Non sai che ho il potere di metterti in libertà e il potere di metterti in croce?” (Gv 19,10), Gesù gli risponde che non avrebbe nessun potere se non glielo avesse dato Dio, quindi decida secondo la sua coscienza. Non è Pilato che ha nelle mani la vita di Gesù, ma viceversa.
I grandi missionari inviati dove Gesù non era stato ancora annunciato sono sempre stati umili, cioè si sono messi a servire. Non hanno messo una cattedra da cui esporre il vangelo. Evangelizzavano, parlavano di Gesù, ma prima aprivano un dispensario per gli ammalati e cominciavano a mettersi a servire con bontà amorevole. Erano arrivati dei bianchi che non facevano i padroni, si mettevano in ginocchio davanti al lebbroso e gli lavavano le piaghe. È un esempio anche per noi, missionari tra la gente.


La generosità eroica

La storia di Gesù è la storia di una generosità incredibile, ci vuole così bene che ha offerto la sua vita per noi. “Io offro la mia vita”; “Nessuno ha un amore più grande…”; “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno”.
Il missionario è sempre generoso.

Noi dobbiamo sempre, nel nostro piccolo, cercare di imitare questi aspetti se vogliamo capire qualcosa di cosa è annunziare il regno. È troppo facile pensare di aver annunciato il regno perché si sono dette le cose giuste secondo il catechismo. Il catechista in parrocchia che si limitasse ad istruire i suoi allievi, farebbe sì passare una verità, ma non avrebbe annunciato il regno se non avesse parlato con umanità, con compassione, se non avesse amato quei piccoli davanti a lui anche se discoli, se non fosse credibile attraverso la sua vita.

Giuseppe Pollano
tratto da un incontro all’Arsenale della Pace
testo non rivisto dall'autore

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