Risorgeremo!

Publish date 11-04-2015

by Giuseppe Pollano

Alfredo Vismara, Cristo Risorto Vittoriosodi Giuseppe Pollano – Paolo dice che siamo tribolati ma non uccisi, patiamo ma non siamo distrutti (2Cor 4,8-9). Quando incontriamo chi crede in Gesù risorto e che è abbattuto come se tutto fosse finito, occorre sollevarlo, animarlo. Possiamo ad esempio dire: io piango con te come so e come posso, io soffro con te, condivido la tua disperazione per prenderti e tirarti su; guarda che anche questo passa, Gesù è andato a prepararti una misura di gloria che non è proporzionata nella sua grandezza a questa sofferenza che tu hai, anche se adesso ti sembra distruttiva.

Quando poi la morte di qualcuno ci sfiora o viene, misuriamo davvero la nostra alleanza con colui che ha vinto la morte. La morte è così quotidiana che non possiamo neanche più meravigliarcene, ci creiamo una corazza psicologica altrimenti non resisteremmo, diventiamo un po’ insensibili, però quando poi la morte si personalizza, ci sfiora di nuovo, diventa quella persona che amavo e che non c’è più, allora questa corazza diventa penetrabile e la disperazione è in agguato. Nel momento che noi affrontiamo la morte e tutte le sue raccapriccianti manifestazioni – non c’è solo la morte fisica, c’è la morte di un ideale, di un progetto – davanti al dolore, per non disperarci dobbiamo continuare a dare uno sguardo di intesa al Signore che ci dice: l’ho provato anch’io e sono di nuovo vivo, questa terribile e orrida morte che ti vedi attorno io l’ho vinta, non disperarti.


Non finiremo ma cominceremo

La prova della fede in Gesù risorto che ci aspetta nel regno dove ci ha preparato un posto, è proprio quando cominciamo a rovesciare la nostra mentalità, a non considerare più la morte come la fine ma come un inizio di vita. Istintivamente si pensa che la morte è la fine perché siamo un corpo che muore, ma secondo la fede non siamo solo corpo, è finita la vita corporale, non la persona.
In questo inizio di vita Cristo risorto ci verrà incontro a braccia aperte se avremo vissuto – dice la Scrittura – credendo in lui e amandolo anche senza averlo mai visto e ci ringrazierà perché siamo stati credenti in un mondo dove amare uno che non si vedeva sembrava una sciocchezza, era un atteggiamento circondato dall’ironia e dal compatimento per il fatto che ci consolavamo pensando a lassù!
Il Signore ci verrà incontro con molta gratitudine e ci condurrà – dice la Bibbia – dove sta il libro della vita (Ap 20,12), dove stanno scritte tutte le opere che abbiamo compiuto. Che bella cosa se noi in quelle pagine rileggeremo la nostra vita scritta nella luce dell’amore di Dio! Certo siamo tutti peccatori, però siamo andati alla Misericordia, abbiamo creduto nel perdono, ci siamo riconciliati e il libro della vita è rimasto luminoso. Noi crediamo in Colui che giustificherà anche i momenti più scuri, più ignoti, quelli che soltanto lui ha visto, perché nella nostra vita la gran parte dei momenti li vede soltanto Dio, specialmente i più profondi, i più sofferti, i più problematici e non dimentica nulla. E allora è molto bella questa fiducia che poi noi possiamo testimoniare.

Non considerare la morte una fine ma un inizio, perché tale è stata per Gesù Cristo, permette di orientare in questa prospettiva la nostra vita. Fa tanta compassione il modo che tanti, anche giovani, hanno di vivere la vita pagina per pagina, aspettando cosa capita, e inesorabilmente verrà l’ultima. Una vita senza senso. È terribile, è la condanna della cultura di oggi. Le grandi ideologie passate non davano il senso, perché il senso lo dà Dio, però davano una spinta ideale in cui credevi perché ti trascendeva, per cui pensavi valesse la pena di spenderti e in buona fede potevi anche fare tante belle cose, ma adesso non c’è più niente, adesso vivi una pagina dopo l’altra, che noia!

Quando la morte tocca noi basta un gesto, uno sguardo per far passare il senso diverso di fiducia che si radica in Gesù risorto. Il cristiano che di fronte al dolore piange, ma non piange da disperato, è uno dei testimoni più efficaci di Gesù risorto, anche Gesù ha pianto dinanzi al morto Lazzaro. La presenza solleva. Siccome intorno c'è tanta sofferenza, è importante saper essere missionari andando ai confini del cuore delle anime disperate.
Noi ringraziamo e lodiamo Dio per le gioie che la vita ci offre, ma sappiamo che sono piccole, appassiranno come succede per un fiore. Ci rende più liberi il fatto che Gesù sia risorto, che la nostra felicità non consista nelle cose e neanche nelle persone, ma vada oltre. A chi chiede come si fa a vivere senza denaro, senza giocare con il sesso, senza cercare di essere più importante, si può rispondere: mi sto preparando al meglio, ho una vita in più. Se Gesù non fosse risorto tu avresti ragione, ma Gesù non è morto, lo frequento, parlo con lui, lo ascolto nella Parola, prego, lo ricevo e quindi non meravigliarti che non mi lasci prendere dalle “cose del mondo” come se tutto fosse qui.
Se siamo sinceri, puri, onesti, poveri, buoni, più liberi è proprio perché siamo sollevati oltre dalla misteriosa Vita che Dio ci dà e ci darà.


Vivere con Gesù da risorti

Viviamo in una cultura che è stata denominata più di una volta cultura della morte. In questa cultura il pensiero e l'ossessione della morte dominano un po’ come un sottofondo cupo la vita di tutti. Non solo la morte c’è, la morte si dà, si riceve, anche perché ci sono strategie e progetti di morte che conducono la persona non a essere uccisa fisicamente, ma culturalmente.
Siamo educati a questo non più, a un ancora un po’ e poi basta, si finisce. Invece noi siamo vivissimi e dobbiamo splendere come stelle nel cielo buio perché abbiamo questo istinto di vita profondo, che non è il solo vitalismo – pur bello – della natura, è molto di più, è la vitalità della grazia di Dio in noi, questa serena forza che si manifesta quando la gente ci trova buoni, dolci, morbidi e nello stesso tempo acciaio, perché su certe cose non ci pieghiamo. È proprio per questo che poi siamo capaci di donare, perché un fiore può essere bellissimo e profumato, ma se non ha uno stelo forte non ce ne facciamo niente.

Noi guardiamo il risorto, siamo conrisorti, risorti con Cristo, un concetto utilizzato da Paolo tre volte (Ef 2,6; Col 2,12-13; Col 3,1). Un termine molto più forte di risorti. I greci lo adoperavano per dire svegliati insieme, per esempio di una camerata di gente che dorme e poi suona la sveglia. Noi siamo conrisorti, risorti con Gesù perché siamo suoi, perché la sua grazia è in noi, perché siamo il suo corpo.
Il Signore ci invita a vivere oggi con lui da risorti: avremo gioia, pace, ricchezza di cuore, capacità contagiosa di far sentire agli altri che vale la pena di vivere, che morire non è finire ma cominciare, che abbiamo un orizzonte di luce di fronte a noi. Non è un caso che Gesù infatti abbia immediatamente fatto risorgere Maria. Il dogma dell’assunzione è la coerenza, lui il primo, lei subito dopo, e quindi noi con lui. Questo è un modo di ragionare che deve continuare anche dopo che è finito il tempo pasquale, deve diventare normale. È una mentalità che più la coltiviamo, più diventiamo capaci di vivere la missione.

Giuseppe Pollano
tratto da un incontro all’Arsenale della Pace
testo non rivisto dall'autore

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